“Essere Pro-Vita per me significa affermare una concezione organica dell’individuo e la sua unicità”.
Lettera da Oxford
Quando arrivai a Oxford come matricola del corso di matematica, oltre tre anni fa, ero pieno di buoni propositi inerenti ai miei studi, ma poco o nulla sapevo di cosa significasse il termine “Pro-Vita”.
Come spesso capita, pur essendomi diplomato presso una scuola cattolica, la Fondazione Sacro Cuore, o forse proprio per quello e per lo spirito leggermente ribelle di un adolescente che desidera trovare risposte da solo e che non sempre si accontenta di quelle che gli vengono offerte, poco mi importava della fede, per non parlare di etica pratica. In una cosa credevo e credo tuttora: che tutti gli esseri umani abbiano uguale dignità.
Una volta immersomi nella realtà universitaria, le cose mutarono molto in fretta. A Oxford mi resi conto delle distorsioni, del relativismo provocato da una certa cultura “liberal” basata su un profondo egoismo, autoreferenziale e dogmatica, che ha chiuso tanti scheletri in un armadio e che risponde rabbiosamente a ogni tentativo di discussione. Una cultura che penso sia riassunta bene dal paradigma “MY body, MY choice” – “il MIO corpo, la MIA scelta”.
Quando fui invitato alla serata organizzata da una certa “Oxford Students for Life” – nota anche come OSFL, giacché gli inglesi sono grandi amanti degli acronimi – anche io mi trovai di fronte a una scelta da fare. Ascoltai il tranquillo ma fermo appello di un dottore che ci illustrava di come lui al suo ospedale salvasse bimbi di ventiquattro settimane mentre al piano superiore le vite di bimbi di trenta e oltre settimane erano interrotte, magari perché affetti da sindrome di Down; del dramma cui sono sottoposti in Inghilterra i ginecologi e tanti medici di famiglia obiettori di coscienza, ormai impossibilitati a esercitare la loro professione; ma soprattutto del fatto che oltre il novanta per cento dei nascituri cui viene diagnosticata la sindrome di Down tramite amniocentesi è abortito.
Come era possibile che nessuno parlasse o si stracciasse le vesti di questa profonda ingiustizia? Perché essere affetto da una disabilità, non certo invalidante, doveva equivalere a una sentenza di morte? Ero di fronte a una scelta. Ascoltare il consiglio di amici che mi dicevano che Oxford Students for Life fosse un gruppo di bigotti con idee estremiste (!), o considerare quello che avevo veduto e sentito, e la mia ragione. Scelsi la seconda opzione. Ovviamente, non era una scelta cosi drammatica come quella cui si trova di fronte una donna incinta magari abbandonata da tutti. Tuttavia, mentre l’istanza dello slogan “my body my choice” è una fuga, un liberarsi dalle “catene” di una gravidanza che la nostra società configura come un peso, invitandoci a mettere molte altre cose davanti a essa, la mia piccola scelta fu una scelta di aderire a un messaggio di profonda bellezza. Inoltre, il solo fatto che un’associazione studentesca che espone dati invitando a una riflessione cordiale e inclusiva fosse costantemente minacciata dalla censura non poteva che darmi un motivo ulteriore per aderire: prima di imporre una certa visione di mondo occorre essere quantomeno disposti a un onesto confronto, ma pare che la sola preoccupazione dei pro-choicers a Oxford sia appunto quella di impedire qualsiasi dialogo.
Nei tre anni successivi trascorsi sinora a Oxford, ho avuto modo di addentrarmi sempre di più nelle dinamiche inglesi e del dibattito sul diritto alla vita. OSFL è una piccola società studentesca che si concentra sul diffondere una cultura di sacralità della vita in ambito universitario. Il metodo è sempre uno: il dialogo, la presentazione di dati scientifici, offrire testimonianze anche struggenti, persino donne vittime di violenza che hanno deciso in un sommo gesto di amore di tenere il loro bambino; e non, come invece alcuni detrattori ritengono agiscano tutti i Pro-Lifers, attraverso fake news, o attraverso lo scandalo e l’impatto di foto di feti abortiti. Inoltre, si organizzano dibattiti tra bioeticisti, film – non vediamo l’ora che Gosnell, autoprodotto e boicottato da molti cinema e media per via della narrazione del processo di un medico senza scrupoli responsabile di almeno tre omicidi e svariati aborti post-termine, sia distribuito anche in UK! – e alla fine di ogni evento la gita al pub è d’obbligo: siamo un gruppo piccolo ma molto affiatato. Per esempio, il dottor Giubilini, noto per le sue posizioni estremamente pro-choice, è un ospite abituale, ma anche strenuo difensore della libertà di pensiero, o free speech come lo chiamano in Inghilterra.
Già, il free speech, cui si contrappone la violenza ideologica del no-platforming: letteralmente “non dare una piattaforma”, un termine piuttosto arbitrario che lungi dall’impedire il diffondersi di “discorsi dell’odio”, viene abusato per non dare neppure una possibilità all’oppositore di turno di esprimersi, cancellandolo e di fatto disumanizzandolo, alzando muri laddove si dovrebbe invece tendere una mano. Negli ultimi tempi ci sono stati infatti episodi piuttosto eclatanti di abuso o censura cui OSFL e i suoi membri sono stati sottoposti, nel tentativo, talvolta malriuscito, di impedire che un evento o un dibattito si svolgesse. Prima è stata la volta dell’evento cancellato a fronte di proteste perché “entrambi i relatori erano maschi, bianchi, eterosessuali e cisessuali”, testuali parole. Venne poi la volta dell’evento in cui alla presenza dell’onorevole parlamentare Fiona Bruce si dovette chiudere le tende della stanza perché la visione del simbolo di OSFL – due piedi racchiusi in un cerchio e la dicitura “Promuovere una cultura della vita all’università” – aveva messo in pericolo alcune studentesse che sostenevano di essersi sottoposte a interruzione della gravidanza in passato. E infine forse la protesta più ridicola ed eclatante, la “Oxford Women Campaign” che con circa 40 persone entrò nella stanza e iniziò a urlare per un’ora slogan senza senso, con il dichiarato intento di impedire a chicchessia di discutere a proposito dell’imminente referendum irlandese sulla protezione costituzionale del nascituro. Società Pro-Vita di altre università non sono così fortunate come la nostra e sono proprio escluse dalla possibilità di costituirsi associazioni studentesche, come recentemente accaduto a Glasgow e Aberdeen.
Viene da domandarsi il motivo profondo per cui non pochi studenti di Oxford – i quali penso abbiano ricevuto il dono di un’intelligenza superiore alla media – sostengano a spada tratta certe idee quantomeno discutibili come il fatto che gli esami universitari discriminino le donne perché frutto di un sistema patriarcale o il fatto che basti sentirsi una femmina per esserlo realmente. E tuttavia aborriscano il confronto sul tema del diritto alla vita tanto da ribaltarlo e arrivare a dichiarare l’aborto un “diritto umano fondamentale”, alla stregua dell’accesso all’acqua, per capirci. Io sono convinto che Gandhi, Martin Luther King o Mandela non sarebbero felici di vedere equiparate le loro lotte per i diritti umani alle campagne per l’accesso indiscriminato all’aborto.
A fronte di questi spiacevoli episodi però, ci sono tante belle storie da raccontare. Studenti-genitori aiutati con successo tramite caritative come “Life”, fellows del college mandati da alcuni studenti a un evento con lo scopo di ascoltare e riferire se fossero esposte “idee pericolose” che invece si complimentano per la qualità dell’evento. Piccole soddisfazioni che ci fanno capire perché è importante aver scelto di dichiararsi Pro-Vita.
Essere Pro-Vita per me significa affermare una concezione organica dell’individuo e la sua unicità. Un individuo pensato in relazione con il mondo che lo circonda, e non chiuso in se stesso. Significa anche mettere in discussione il primato assoluto della ragione come unica cifra attraverso cui definire la natura dell’uomo: forse che un neonato o un malato di demenza senile sono meno umani in quanto privi di una autocoscienza ben definita e di ragione? Essere Pro-Vita è però soprattutto la naturale conseguenza del pensare che ogni individuo abbia medesima dignità. In futuro, mi auguro di poter proseguire su questo percorso, dovunque mi troverò. E a tutti coloro che pensano che la nostra società non metta più realmente al primo posto l’interesse organico della persona e della vita umana mi sento di dire, non abbiate timore di dire la vostra!
Per concludere, una notizia in prospettiva: il 22 febbraio ci verrà a trovare Carla Padovani, capogruppo del Pd al comune di Verona e che ha di recente votato secondo coscienza una mozione in cui Verona è stata proclamata “città in difesa della vita”, ma in cui soprattutto sono state approvate misure di assistenza a donne in gravidanza e in difficoltà tramite associazioni attive sul territorio. Proprio per questo la nostra ospite è stata bersagliata con ingiuste critiche da persone le quali con buona probabilità non avevano neppure letto la mozione – altrimenti non si sarebbero scagliate con tale veemenza – oppure mosse da puro calcolo politico. Carla ci parlerà della rete di associazioni con cui collabora. Se sarete di passaggio a Oxford in quei giorni, siete i benvenuti!
Francesco Pozzetti via email
20.1.2019