Caos nelle prescrizioni, disomogeneità nelle diagnosi, effetti collaterali a breve e lungo termine Le inquietanti audizioni dei pediatri chiamati nei giorni scorsi in commissione Sanità al Senato.
Farmaco a cui ricorrere con grande prudenza, con verifiche caso per caso, sulla base di controlli multidisciplinari, dopo una diagnosi attenta e continuamente da verificare. Ecco il parere dei pediatri italiani sull’utilizzo della triptorelina nei casi di disforia di genere, espresso nel corso delle udienze avviate nei giorni scorsi alla commissione Sanità del Senato. Il giudizio dagli esperti delle tre società di pediatria attive nel nostro Paese va nel senso di una cauta apertura, ma con interrogativi a cui sembra impossibile fornire risposte definitive. E non si tratta di questioni trascurabili.
Anche perché i pediatri hanno sollevato nuovi problemi che non erano stati messi a fuoco e che rendono più difficile esprimere un giudizio definitivo su una questione che non è più soltanto medico- farmacologico, ma investe dati sociali e culturali di grande complessità. Come l’aumento dei casi di pubertà precoce per cui la triptorelina – sempre lei – è la terapia più consolidata. Corretto in questo caso ricorrere a un farmaco che congela lo sviluppo e ritarda la comparsa dei caratteri sessuali secondari? E con quali effetti? Allo stesso tempo, sono in crescita i disturbi legati all’identità di genere.
O, meglio, sono sempre più numerosi i genitori pronti a segnalare situazioni considerate sospette per quanto riguarda l’identificazione sessuale dei loro figli. E questi dubbi innescano il carosello dei controlli. Ma chi oggi è in grado di esprimere una diagnosi sicura su un disturbo spinoso come la disforia di genere? Solo centri altamente specializzati – in Italia sono nove: a Bari, Bologna e Lucca, Firenze e Torino, Milano, Napoli, Roma, Trieste – dove sono presenti equipe multidisciplinari. Opportuno allora riservare soltanto a questi centri il ricorso alla triptorelina nei casi rarissimi di disforia di genere? Qui le opinioni sembrano diversificate. Come diversi i dati forniti sull’incidenza di questa patologia che però non si vorrebbe chiamare tale. Un caso ogni novemila persone? Due/cinque su 100mila?
«Circa 90 adolescenti su tutto il territorio nazionale», ha minimizzato Luisa Galli della Società italiana di pediatria (Sip), che ha anche rivelato come la triptorelina sia però utilizzata da almeno trent’anni dalla maggior parte dei pediatri per la pubertà precoce. E che, per questo utilizzo – sulla base di studi ormai consolidati – non si siano registrate effetti collaterali significativi. E neppure diminuzione del tasso di fertilità nei soggetti trattati o risultati negativi per quanto riguarda la densità ossea. Di tutt’altro parere Giuseppe Mele, presidente della Società italiana medici pediatri (Simpe), e Teresa Longai, responsabile della sezione del Lazio, secondo cui gli adolescenti trattati con triptorelina sono destinati probabilmente a soffrire di osteoporosi.
Un disturbo legato al ritardo con cui, a causa degli effetti del farmaco, si consoliderebbe la struttura scheletrica. Anche perché, come hanno ribadito gli esperti, «non c’è alcuna evidenza scientifica sugli effetti di questo farmaco e quindi nessuno può dire che sia garantita la sicurezza a lungo termine ». Quindi il consiglio di ricorrere a questa terapia solo in pochi casi ben ponderati, sotto un attento controllo multisciplinare, rimane alla luce di preoccupazioni a cui è impossibile fornire risposte esaustive, parere solo ipotetico. E comunque discutibile.
Adima Lamborghini, in rappresentanza della Federazione italiana medici pediatri (Fimp) – vi aderiscono circa l’80% degli specialisti – ha fatto osservare come esistano tuttora tante incertezza sulle origini di questo disturbo, da ricercare addirittura nella differenziazione prenatale. Nessun dubbio invece sulla necessità – in presenza di una diagnosi certa – di ricorrere alla triptorelina, vista la gravità dei disturbi innescati dalla disforia. L’esperta ha parlato di tentativi di suicidio nel 37/64% dei casi, di marginalizzazione sociale, di autolesionismo, di dipendenze, di disturbi psichiatrici.
E ha sollecitato la necessità, quando è necessario, di iniziare al più presto possibile la somministrazione. Prima si comincia, prima si blocca la comparsa dei caratteri sessuali secondari causa di tutti questi problemi. «La triptorelina – ha detto – non è una moda, ma un’opportunità terapeutica da valutare con attenzione».
Caso chiuso? Tutt’altro. La prossima settimana le audizioni riprendono e il dossier triptorelina sembra destinato a diventare più corposo. Nella speranza che alla fine qualcuno riesca a esprimere un parere consolidato su una questione in cui i dubbi sembrano infinitamente superiori alle certezze.
Luciano Moia
14 aprile 2019
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/farmaco-gender-quanti-dubbi