Luce Irigaray, la filosofa femminista che polverizza il gender

By 8 Giugno 2019Gender

Dopo esserci ormai assuefatti alla parola “medievale” divenuta lo strale con cui certa cultura e certa politica colpiscono il pensiero di quelli che identificano in blocco come “i pensatori di destra, bacchettoni, contrari al progresso dell’umanità”, colpevoli di difendere la famiglia la naturale e la vita, ecco che un fatto ideologicamente imprevisto, viene di colpo a spiazzare gli stessi accusatori, costringendoli ad allentare la loro vis polemica e (finalmente) a riflettere sulle loro superficiali accuse.

Stiamo parlando dell’ultimo libro di Luce Irigaray, Nascere. Genesi di un nuovo essere umano. Irigaray è un’importante filosofa femminista belga, molto stimata tra gli intellettuali di sinistra, che in questo suo ultimo lavoro (ci dispiace per gli “anti-medievali”!) affronta, insieme al tema della nascita, quello della diversità sessuale, intesa, però, non come una moltitudine di indefinite e indefinibili identità di genere, ma come quell’unica, basilare differenza sessuale esistente tra gli esseri viventi ovvero quella tra l’uomo e la donna.

Per di più la filosofa è da anni impegnata a studiare la differenza-complementarietà tra maschile/femminile che considera come il motore di tutta l’esistenza. E questo dovrebbe farci davvero esultare, considerato che, in questi tempi in cui la realtà è sempre più ricoperta dalla coltre dell’ideologia, finalmente qualcuno, in un buio così fitto, ha ripreso a mettere in luce un’evidenza che parte innanzitutto da un dato biologico. Per di più, in un’interessante intervista rilasciata su Sette del Corriere della Sera, Irigaray va anche oltre il dato biologico stesso e afferma che i suoi studi hanno lo scopo di voler «ricostruire il mondo a partire dalla relazione tra uomo e donna», cosa straordinaria in una società in cui la relazione uomo-donna è interpretata costantemente in una chiave di violenta sopraffazione reciproca e in cui vince chi distrugge l’altro.

Ma ancora più significative sono le parole contenute nel suo libro in cui, nel mettere in evidenza come, a suo dire, gli esseri umani manchino sempre di qualcosa e siano sempre in cerca di un’origine, possano tuttavia ritrovare la propria compiutezza. Come? Uno dei modi più importanti è questo: «Incaricarci di incarnare la nostra appartenenza sessuata è il secondo elemento che ci rende capaci di adempiere la nostra esistenza naturale, pur trascendendola». La sessuazione compensa l’assenza di radici attraverso la spinta all’unione tra due esseri differenti strutturalmente, come l’uomo e la donna che proprio per questa loro diversità, si completano a vicenda: «Dove prima non c’era nulla tra loro, se non l’aria, a partire dalla loro attrazione e dalla loro capacità di assumere il negativo della loro differenza nasce il germe di un nuovo essere umano e di un mondo in cui possiamo davvero dimorare».

Mentre il colpo mortale alla teoria del gender la filosofa lo inferisce proprio nella succitata intervista: alla domanda dell’intervistatrice che le chiede esplicitamente dove ci sta portando la “disidentificazione del genere”, denunciata  dal filosfo Paul Preciado che a riguardo parla addirittura di “corpi hackerati”, la Irigaray ribatte semplicemente citando la realtà: «La sessuazione è un carattere irriducibile del nostro essere vivente»; la differenza «è all’origine della nostra vita, è ciò che ci consente di incarnare in un modo proprio un’esistenza che è stata concepita da due esseri differenti, ed è pure ciò che ci permette di sviluppare questa esistenza in quanto umana, in particolare tramite il desiderio». Al contrario, l’identità liquida, promossa dall’ideologia gender «ci porta a uno sradicamento dalla nostra identità naturale, ci rende dipendenti da un’energia estranea a noi, trasformandoci in automi. La nostra libertà non può emanciparsi totalmente dalla nostra natura, a meno di annullarsi». E adesso i pensatori “progressisti” avranno il coraggio di dare della bacchettona anche alla Irigaray?

Manuela Antonacci

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