Il Gay Pride: vergogna di una nazione

By 25 Giugno 2019Gender

L’ 8 Giugno si è svolto a Roma il Gay Pride, in contemporanea con altre città: Pavia, Trieste e Messina. Quest’anno è stato il 25° Pride da quando Arcigay ha lanciato il primo nel 1994 ed anche il 50° dal primo di New York del 1968.

In testa lo striscione del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli con la scritta “la nostra storia le nostre lotte”.

Tra i presenti Fabrizio Marrazzo portavoce del Lazio Pride e del Gay Center e Gianfranco Goretti, Presidente delle Famiglie Arcobaleno che ha dichiarato:

“Noi non chiediamo diritti ma doveri. I nostri bambini non hanno riconoscimento, noi invece vogliamo essere inchiodati alle nostre responsabilità genitoriali. L’attacco alle famiglie arcobaleno è stato fin da subito, con il ministro Fontana, con il decreto sul ripristino di ‘mamma e papà’ sui documenti”

Viene proprio da dire: le “responsabilità genitoriali” solo quando possono fare comodo. Il fatto di strappare un bambino dal ventre materno di una donna il cui utero è stato affittato a pagamento, dimostra che qui c’è un lavoro ab origine da fare sulle “responsabilità genitoriali”.

Tra le sceneggiate oscene citiamo in particolare il carro della Muccassassina con gli animatori sfrenati ed indecenti, i cartelli “né Stato né Dio, ma un corpo mio”, il carro dell’ambasciata britannica con la Union Jack color arcobaleno, un Big Ben e le immagini di David Bowie e Freddy Mecury, icone LGBT.

La blasfemia vera e propria è stata evidente in un cartello fatto a mo’ di “santino”che rappresentava una Madonna in trono che schiaccia sotto il piede il volto di Salvini. La Madonna ha le vesti color arcobaleno e la scritta presente sopra è “Madonna di Montevergine Salvini (la “n” barrata e sostituita da una “c”) tu!”

Spesso la lobby LGBT si è mostrata irriverente nei confronti della fede, compiendo atti di vera e propria blasfemia: pensiamo solo al Cristo di Massa Carrara, il caso più eclatante, ma ci potrebbero essere molti altri esempi.

Alla fine della manifestazione, il presidente del Circolo Mario Mieli, Sebastiano Secci, ha dichiarato:

“Questo è un Pride speciale a 50 anni da Stonewall, che è stata la scintilla della rivoluzione del movimento e a 25 anni dal primo grande Pride moderno e unitario a Roma. Non possiamo prenderci il lusso di spegnere solo le candeline, ma dobbiamo continuare a lottare in prima linea perché i tempi che abbiamo davanti sono sempre più scuri: il movimento Lgbt è sempre più bersaglio di odio e violenza. I nostri figli e le nostre figlie vengono dichiarati inesistenti e dunque c’è ancora tanto da fare. Prendere di mira una minoranza è un’arma di distrazione di massa per distrarre dai reali problemi del Paese. L’anno scorso un ministro della Lega ha detto che le famiglie arcobaleno non esistono, il vicepremier dei 5 Stelle ha detto che la famiglia è fatta solo da un padre e una madre. Se già un governo nega la nostra esistenza e quella dei nostri figli, che sono la parte più debole, vuol dire che c’è tanto da fare”. 

In rappresentazione del Campidoglio era presente il vice sindaco, Luca Bergamo, che ha dichiarato:

“La mia presenza qui è per dichiarare che c’è bisogno di progredire nel riconoscimento dei diritti delle persone, senza discriminazioni. Sono testimonianze e prese di posizioni che vanno fatte anche quando i diritti si realizzano”.  

Anche Google si è schierata attivamente per sostenere il Pride: su Google Maps, il colore che indica la manifestazione era indicato da una linea arcobaleno.

Il Colosseo, simbolo del martirio di molti cristiani, ha fatto da sfondo a questa ignobile parata.

Dobbiamo renderci conto che non si può più tacere di fronte a queste manifestazioni che oltre a a ledere la dignità stessa delle persone ( hanno fatto il giro del web le immagini di alcuni bambini portati al Gay Pride che piangevano nel vedere uomini e donne seminudi) sono profondamente irriverenti nei confronti della nostra fede. E’ necessaria una presa di posizione forte, soprattutto da parte della Chiesa.

Chiara Chiessi

10 giugno 2019

IL Gay Pride: vergogna di una nazione