Adesso, a prescindere dal tipo di inclinazione sessuale – solo per un momento, facciamo finta che esista qualcosa di diverso dal sesso, maschio e femmina – a me pare che organizzare delle parate per celebrare l’orgoglio della propria inclinazione sia davvero surreale. Uno è orgoglioso perché ha fatto qualcosa di grande, qualcosa che non tutti fanno, o almeno non automaticamente.
Uno è orgoglioso perché ha dato la vita a dei figli o ha custodito altre persone, le ha sfamate o aiutate, perché si è speso per qualcosa in cui crede, perché ha combattuto per il bene del proprio paese o ha fatto qualcosa di serio, che ne so, con il suo impegno, nel lavoro, nello studio. Uno è orgoglioso perché ha vinto un oro olimpico, perché ha fatto una maratona sotto il suo tempo limite, ma anche perché ha vinto il torneo parrocchiale di ricamo o la selezione per l’ammaestratore di pulci, quasiasi cosa, per carità, non è che tutti vincano il Nobel o il Pulitzer o l’Oscar o l’oro (io no per esempio), però per essere fieri di qualcosa bisogna FARE qualcosa. Come si fa a fare una parata per cercare di convincere la gente che si è fieri di una inclinazione, che è peraltro diventata quella più di moda, sponsorizzata da tutto il mondo della finanza, dai grandi marchi commerciali, dunque funzionale in fondo, banalmente, tristemente, a un modello di consumo che ci vuole pecoroni omologati? C’è qualcosa di cui essere fieri? C’è qualcosa che si è fatto, un risultato conseguito, un limite – fosse anche il proprio, personale – superato?
Il problema è che viviamo in un’epoca di confusione tragica, non dico dei valori, che saremmo già oltre, ma persino della logica elementare del ragionamento. Un mio amico la chiama la palude dell’inconscio, qualcun altro la dittatura del desiderio. Per cui si può chiamare “orgoglio” il fare quello che viene, la più banale delle scelte. Per secoli, millenni ci hanno insegnato che il desiderio andava giudicato ed educato (Ulisse, le colonne di Ercole, eccetera, insomma, l’uomo che supera se stesso, che si educa in un cammino di ascesi in senso lato, non necessariamente religioso, cioè che trascende la povera carne di cui è fatto, che va oltre il limite della morte, se non grazie a Cristo almeno grazie al proprio valore, come era nelle civiltà non cristiane, pensiamo ad Achille, Patroclo eccetera). Adesso invece ci insegnano che il desiderio va sempre e comunque assecondato, io sono l’unico arbitro del mio desiderio, e non solo ho il diritto di assecondarlo, ma ne vado fiero, come se fosse difficile.
C’è un piccolo particolare: assecondare i propri desideri è una cosa che sanno fare tutti, meglio di tutti i bambini, ancora ineducati, che sono desiderio puro senza ragione e senza giudizio. Insomma viviamo nell’epoca dell’infantilismo, nel paese dei balocchi; purtroppo, come insegna Pinocchio, non siamo uomini veri finché non riconosciamo di avere un padre. La differenza è che Lucignolo sapeva di non essere un eroe quando faceva i comodi suoi, faceva semplicemente quello che sanno fare tutti. Ma orgoglio di cosa?
di Costanza Miriano
22 maggio 2019