L’epidemia di aborti “illegali” che non indigna i liberal

Nel 2018 ci sono state oltre duecentomila interruzioni di gravidanza nel Regno Unito. Disattendendo la legge e nel silenzio di chi si batte per i diritti umani e l’uguaglianza.

«È successo proprio sotto il nostro naso – in Gran Bretagna», scrive Ross Clark sullo Spectator. La notizia è del 13 giugno, il dipartimento della salute e dei servizi sociali del Regno Unito ha pubblicato uno studio sul numero di aborti avvenuti nel 2018, numeri da record: sono 200.608 le interruzioni di gravidanza ottenute da donne residenti in Inghilterra e Galles (la cifra più alta mai registrata), 5.000 da donne non residenti. La notizia non sta tanto nei numeri, quanto nel fatto che non si può parlare di aborti legali, ma di procedure nella stragrande maggioranza dei casi erogate in conflitto con la legge.

OLTRE MEZZO SECOLO DI ABORTO LEGALE

Secondo l’Abortion Act del 1967, nessuna interruzione di gravidanza può essere praticata senza l’avallo di almeno due medici, che devono valutare se davvero ci siano rischi per la salute della donna, proteggerla da gravi danni, o dal rischio di mettere al mondo un bambino «gravemente handicappato». «Circostanze estreme e tragiche», questo dice la legge. «Ma non abbiamo avuto 200.000 emergenze mediche prenatali negli ultimi 12 mesi. La ragione per cui abbiamo raggiunto quella cifra è che la pratica dell’aborto in Gran Bretagna è apertamente in contrasto con la legge del 1967», ha notato il commentatore dello Spectator. Stando alla relazione inglese gli aborti «dovuti al rischio che il bambino sarebbe nato gravemente handicappato» sono stati 3.269 (su 205.295). «Non che questi siano riconosciuti come esseri umani deceduti, perché ad essi non sono concessi diritti umani. Sono, per usare il termine alla moda tra i sostenitori dell’aborto degli Stati Uniti, semplici “gruppi di cellule”». Come se un feto potesse magicamente diventare creatura umana solo a un certo punto della gravidanza. «L’unica definizione ragionevole per identificare l’inizio della vita umana è il suo concepimento» spiega Clark, tuttavia ciò non significa che l’aborto «in alcuni casi non sia giustificato», «i diritti umani non possono mai essere assoluti – ci sono molti casi in cui il diritto alla vita di una persona deve essere bilanciato con l’altro. Questa fu la base dell’aborto quando fu legalizzato nel 1967». Da allora persero la vita nove milioni di non nati, una morte ogni tre minuti; 20 vite soppresse ogni ora.

«VUOI IL BAMBINO?»

La realtà emerse cruda cinque anni fa, quando un’interrogazione parlamentare di Sir Edward Leigh scatenò un terremoto nel paese: secondo le indagini rese note nel 2014 nel 54 per cento dei casi di aborto in Inghilterra il medico non aveva incontrato neanche una volta la donna che voleva interrompere la gravidanza, firmando le carte alla cieca. Allora Lord David Steel, il padre dell’aborto in Inghilterra che già davanti al numero impressionante delle interruzioni di gravidanza nel paese si era pentito, «non era questo l’obiettivo della mia riforma», aveva insistito: «È davvero deplorevole quello che avviene, non era questo lo spirito della mia legge». Nello stesso anno una indagine condotta dal ministero della Sanità rivelava come solo 496 casi di bambini Down abortiti su 994 erano stati registrati: in tutti gli altri casi il motivo dell’aborto o non era stato riportato, per quanto sia obbligatorio, o è stato camuffato dai medici con la generica dicitura «ragione sociale». E una inchiesta dell’Independent lanciava l’allarme aborto selettivo: mancavano all’appello nel censimento nazionale inglese quasi cinquemila bambine. La verità è che «abbiamo 200.000 aborti all’anno perché abbiamo effettivamente abortito su richiesta. Qual è stata la prima cosa che il medico di base ha detto a mia moglie quando si è recata in ambulatorio perché pensava di essere incinta del nostro primo figlio? È stata “vuoi il bambino?”».

L’IPOCRISIA LIBERAL

Secondo Clark la pratica dell’aborto non racconta solo il disprezzo di una società nei confronti degli esseri umani non ancora nati (per avere un’idea, nel caso degli aborti effettuati a 22 settimane o oltre, 1.856 nel 2018, il 51 per cento è stato preceduto da un feticidio prima dell’evacuazione dell’utero, come raccomandato dal Royal College of Obstetricians and Gynecologists, e un ulteriore 45 per cento eseguito attraverso un’iniezione letale nel cuore del bambino), ma anche quello dell’establishment liberale nei confronti della democrazia, interpretando «la legge come meglio crede, a prescindere da ciò che la legge dice effettivamente»: «Stranamente, la gran parte di coloro che sono sprezzanti all’idea che i bambini nel grembo materno siano esseri umani, con i diritti che ne conseguono, sono anche tra i più forti difensori dei diritti degli umani già nati. Tendono ad essere forti oppositori della pena di morte, promotori coerenti dei diritti dei bambini di essere allevati in condizioni decenti. Tendono ad essere grandi combattenti per l’uguaglianza. Molti si oppongono al suicidio assistito. Tuttavia, quando si tratta di aborto, si rifiutano di vederlo in un altro modo se non attraverso la lente dei diritti della madre». Fingendo che in quella pancia non ci sia nessuno. Eppure «l’opposizione all’aborto dovrebbe essere una pietra miliare delle battaglie liberali. Dovrebbe essere sostenuta da persone che vogliono che i bambini possano crescere al loro pieno potenziale, uguali e privi di discriminazioni». Il giorno che avremo l’onestà intellettuale di dire che un feto è un essere umano e saremo capaci di guardare all’aborto non solo come pura questione di diritti delle donne, queste statistiche – 200.000 bambini abortiti all’anno -, conclude lo Spectator, ci faranno orrore.

Caterina Giojelli

23 giugno 2019

L’epidemia di aborti “illegali” che non indigna i liberal