Giulia, Tafida, Schumacher e tanti altri ancora. A tempi alterni riempiono i giornali, accendono la discussione sui social, poi spariscono senza lasciare traccia, come in un paesaggio carsico. Ognuno un caso a sé, ognuno in fondo un mistero, anche per chi della neuroscienza ha fatto la sua vita. «A Bologna verrò a raccontare dei vari casi come quello di Giulia – afferma allora Antonio De Tanti, uno dei nomi più noti nel campo dei cosiddetti ‘stati vegetativi’, direttore del Centro di riabilitazione ‘Cardinal Ferrari’ di Fontanellato, in provincia di Parma –, risvegliatasi dopo sette anni dall’aneurisma che a 15 anni le aveva disastrato il cervello, arrivata poi da noi e dopo un anno e mezzo di trattamenti tornata a vivere con soddisfazione», persino scrivendo libri di poesie e a fidanzandosi, seppure sulla sedia a rotelle… Avvenire ha raccontato spesso negli anni storie simili a quella di Giulia Brazzo o di Cristina Magrini, accudita dai genitori e da un appassionato gruppo di volontari durante i 38 anni di ‘minima coscienza’ (un’auto l’aveva investita sulle strisce a 15 anni). E proprio a Cristina Magrini, scomparsa di recente, è dedicato il 5° ‘Workshop nazionale su Stati vegetativi e gravissime disabilità’, organizzato da «Insieme per Cristina», Fondazione Ipsser, Istituto Veritatis Splendor e Avvenire, che sabato a Bologna (in via Riva di Reno 57, dalle 9 alle 17; info: www. ipsser. it) metterà a confronto le associazioni dei familiari, il mondo dei media e alcuni tra i massimi specialisti italiani. De Tanti in primis.
Di ‘stati vegetativi’ si parla sempre più spesso, ma se ne sa sempre assai poco. La ricerca procede, ma sovente la questione ideologica o addirittura economica prende il sopravvento sul punto di vista scientifico. Lei sarà al workshop bolognese a fare il punto della situazione.
Citando alcuni casi emblematici, proporrò una riflessione su qual è la corretta via e il momento nella storia naturale di una malattia in cui è realmente possibile dire che si è fatto tutto ciò che si doveva. La storia di Giulia, come quelle di altri, dimostra che si è agito al meglio, rispondendo prima con una terapia intensiva ottimale, poi con un eccezionale livello di assistenza durante i sette anni di stato ‘vegetativo’, e dopo il risveglio con una riabilitazione intensiva multidisciplinare che l’ha riportata a una vita piena. Il che si contrappone all’atteggiamento dei medici inglesi che a soli tre mesi dall’emorragia cerebrale occorsa alla piccola Tafida già avevano deciso lo stop alle cure scegliendo di chiudere ogni discorso. Sia chiaro, non ci sono risposte assolute, ma porterò vari casi in cui si spiega come una chiusura anticipata della prognosi rispetto alla vita del paziente porta al fallimento. Noi ci lamentiamo spesso del nostro sistema sanitario, ma in altri mondi seppure evoluti come gli Usa ci sono studi scientifici che dimostrano come si creano selezioni a svantaggio dei meno abbienti, a prescindere dal potenziale di salute. Da noi non è così, a Giulia si è dato il tempo per recuperare: ciò che va valutato è solo se il pazien- te ha o meno delle chance.
Che cosa impariamo da questo, nel concreto? Che vanno creati modelli assistenziali complessi, per andare al di là del periodo della terapia intensiva e poter offrire a tutti il passaggio fondamentale della riabilitazione intensiva. Oggi anche in Italia spesso la tentazione di mandare il paziente direttamente dalla terapia intensiva a una Rsa (casa di riposo), saltando la riabilitazione che ha salvato tanti, c’è. Dovremmo essere più onesti e trasparenti, dire chiaramente che possiamo arrivare fino a un tot di risorse, non far passare quello che è mancanza di fondi come un sapere medico e la presunta convinzione che si sia a un punto di non ritorno. E poi occorre sostenere le famiglie nel bivio delicatissimo del ritorno a casa.
Alcuni giornali hanno annunciato giorni fa un ‘ miracoloso’ risveglio di Michael Schumacher grazie a una cura a base di cellule staminali somministrata a Parigi: una bufala che ha creato false speranze in tanti familiari, che hanno intasato i centralini delle strutture specializzate per ricevere la stessa presunta cura. Che Schumacher apra gli occhi o abbia reazioni è del tutto normale per uno stato di minima coscienza. I media hanno una grande responsabilità, la tentazione di farsi suggestionare da casi eclatanti come quello di Schumacher è pericolosa, perché spinge le persone alla ricerca estrema di soluzioni che a oggi non esistono. I giornali devono sempre specificare che il singolo caso non fa storia assoluta e ogni soluzione va calata nella vicenda del singolo paziente. Un lieto fine non è mai legato a uno specifico team medico o a una pillola magica, è sempre il risultato di un insieme di cose. Non conosco nei dettagli la cura parigina, le staminali stanno facendo il loro percorso di validazione scientifica e si usano sempre di più per ricostruire le parti meno complesse del nostro organismo, ma a livello cerebrale non è uscito nulla dai laboratori. E tutti coloro che si sono recati in Cina con queste speranze sono contenti se sono tornati sani: le cellule staminali sono potenti nel ricrescere, per questo possono anche virare e moltiplicarsi in tessuto neoplastico, ovvero in tumori.
Il caso inglese di Tafida, 4 anni, sta scuotendo le coscienze: i medici di Londra ritengono che vada fatta morire, i genitori chiedono la libertà di portarla al Gaslini di Genova, dove gli specialisti sono pronti ad accoglierla. Il paradosso è che l’ospedale inglese sostiene che l’Italia è un Paese che non tutela i bambini, in quanto da noi li si cura, non si stacca la spina, e questo lederebbe i loro diritti umani… I casi di risveglio sono pochi, ma stanno crescendo, e guarda caso soprattutto in Italia, perché gli si lascia il tempo. Questa è la ricetta, decidere di volta in volta come procedere sulla base delle reali chance, non del costo o delle ideologie. Il paradosso inglese su Tafida ci dice che anche la scienza è sempre colorata anche da interessi economici e appartenenze culturali. Il mondo anglosassone, che si dice attento ai diritti di autodeterminazione del paziente o di chi lo rappresenta, poi sulla pratica cade in contraddizioni gravi, pretendendo di decidere al posto dei genitori e dopo pochissimi mesi dall’evento traumatico.
Tutti temi molto attuali, che tra l’altro tangono il fine vita e le Dat. Eppure il convegno di Bologna è stato considerato dall’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna ‘troppo di nicchia’, di scarso interesse per chi fa informazione, negandogli i crediti per la formazione professionale… Inconcepibile. Non solo il tema è attualissimo, ma queste sono condizioni drammatiche che colpiscono chiunque, perché un aneurisma o un trauma cranico avvengono anche in condizioni di pieno benessere fisico, e lasciano conseguenze tali che ormai abbiamo una folla che grida per avere ricerca, cure, assistenza. E, appunto, buona informazione.
Lucia Bellaspiga
19 settembre 2019
https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/tafida-schumacher-e-gli-altri