Da anni amo ripetere che c’è un comandamento non espresso nelle tavole delle dieci parole di Mosè (cf. Es 20,1-21; Dt 5,1-22) ma che si potrebbe dedurre da ognuna di esse, costituendone una sorta di filo rosso: “Ama la terra come te stesso”.
Ai nostri giorni siamo sempre più sensibilizzati sull’urgenza ormai irrinunciabile (anzi, siamo ormai in ritardo!) di un’etica della terra, per i cristiani un’etica della creazione, che affermi la responsabilità umana di fronte all’ambiente, a quella che la tradizione cristiana chiama creazione: un’etica che richiede innanzitutto una coscienza ecologica vigilante e pronta ad assumersi dei doveri riguardanti la custodia e la cura della nostra casa comune. Non si tratta di divinizzare la natura, madre Gea, facendone un mito o una realtà intoccabile; si tratta invece di accogliere e affermare il legame che non può mai essere spezzato tra noi umani e il cosmo. Il cristianesimo è stato sovente accusato di insensibilità alle problematiche ecologiche e di aver interpretato il comando biblico – “Riempite la terra e soggiogatela e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli delle cielo e su ogni vivente che si muove sulla terra” (Gen 1,28) – come sfruttamento senza limiti.
In realtà, nella Bibbia è sempre affermata un’armonia, un rapporto amoroso e nuziale tra umanità e terra. Nel Vangelo, poi, ci viene data la narrazione di Gesù di Nazaret quale “pastore della natura”, in costante relazione con tutte le creature: le spighe di grano, i fiori dei campi, le gemme dei fichi, le vigne, gli uccelli dell’aria… per esse nutre profonda attenzione, rispetto, stupore, traendone esempio insegnamento. La vita di Gesù è una testimonianza di quale dovrebbe essere il nostro rapporto con la natura: non un atteggiamento di consumo bensì di accettazione del dono, non una rapina ma una condivisione, non un’opera di abbrutimento ma di bellezza e di trasfigurazione. Nessun panteismo, nessuna proclamazione che tutto è Dio, ma una visione “pain-in-teista” che sappia scorgere che “Dio è presente in tutto”, in tutta l’umanità e in tutte le cose, come scrive l’Apostolo Paolo
Dodici secoli dopo Gesù, Francesco d’Assisi, il “somigliantissimo a Cristo”, al termine della sua vita terrena seppe innalzare a Dio il famosissimo Cantico delle creature (o Cantico di frate sole). Una lode rivolta a Dio, un poetico rendimento di grazie a lui per tutte le creature, da Francesco riconosciute come fratelli e sorelle: il sole, la luna, le stelle, il vento, l’aria, il cielo, l’acqua, il fuoco, sorella e madre terra, fino addirittura alla lode per “sora nostra morte corporale”. C’è una novità di questo cantico anche rispetto ai cantici biblici che lodavano e benedicevano Dio: Francesco mette in risalto il nesso cosmico della fraternità e della sororità. In un tempo in cui il papa Innocenzo III scriveva un libretto Sul disprezzo del mondo, ribadendo la concezione negativa del mondo della natura, mentre i Catari predicavano che la natura era il sigillo del Demiurgo Malefico, Francesco celebra la bontà del Dio creatore a partire dal mondo materiale. Tutto ciò che esiste è buono: se non fosse buono, Dio non lo avrebbe creato e ogni creatura, animata o inanimata, intelligente o stolta, deve essere rispettata e onorata.
Mi piace soffermarmi almeno su una strofa di questo capolavoro:
“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”.
La terra è chiamata sorella e madre, perché noi umani secondo la Bibbia siamo “terrosi”, tratti dalla terra (’adam dalla ’adamah: cf. Gen 2,7), che è creatura come noi, dunque sorella. Tratti dalla terra, alla terra noi torniamo (cf. Gen 3,19), riaccolti nelle sue viscere. Allora questa terra non può mai essere “mia” o “tua”, ma sempre e soltanto nostra, di tutti noi umani! Fedele discepolo di Gesù, Francesco la canta quale madre che ci dà il cibo come sostentamento, i frutti, ma anche i fiori così gratuiti, che con la loro bellezza vivono accanto o in mezzo alle spighe del grano necessario per il pane. È su questa terra che Francesco, agonizzante, volle essere steso nudo, per morire in contatto e comunione con essa, vivendo così la sua lode anche per sorella morte.
Ai nostri giorni un altro Francesco, il papa, nell’enciclica intitolata Laudato si’ (2015) in omaggio al santo di Assisi, ci consegna un altissimo magistero ecologico, frutto della rivelazione biblica, dell’ascolto delle istanze etiche e sociali più mature e della sua personale sensibilità. Al suo interno parla così dell’autore del Cantico delle creature: “Francesco è l’esempio per eccellenza di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità … Ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature”. Era un vero uomo, dunque capace di vivere su e insieme a questa terra!
Dall’enciclica emerge il “Vangelo della creazione”, la buona e bella notizia che sgorga dalla creazione. Così appare la domanda decisiva per ogni persona e per la comunità umana: noi, responsabili verso nostra madre terra, lasciamo ancora che essa si esprima? Sappiamo fare della nostra vita un’eco della sua bellezza? Se è vero che, come scrive Paolo di Tarso, “nel cosmo nulla è senza voce” (1Cor 14,10), noi sappiamo farci voce di ogni creatura?
Enzo Bianchi
La Repubblica
28 settembre 2019