Alcuni giorni fa si è celebrata la “Giornata Mondiale del Disagio Mentale” essendo questa una frontiere di fragilità in continua e rapida espansione. L’argomento è ampio e tortuoso, coinvolgendo queste patologie soggetti affetti da molteplici sintomi che si presentano con differenti gravità. Semplificando, troviamo due tipologie di disagio mentale; quello dell’ammalato psichico che necessità di ricoveri prolungati in apposite strutture e di massicce terapie, e quello del “signor qualunque” che, pur conducendo una quotidianità di normalità, vive accompagnato da disturbi che non gli permettono di gustare la bellezza della vita poiché si sente insoddisfatto e frustrato. Quante persone ho incontrato nei miei trentatré anni di sacerdozio che fanno uso quotidiano di Tavor, En, Valium, Lexotan… oppure, quasi con vergogna, mi hanno confidano che frequentano lo psicologo o lo psichiatra, quasi fosse “un disonore”. I più, di questa “folla”, sono soffrenti di depressione e rappresentano un quarto della popolazione, accrescendosi di oltre quattro volte in un decennio, passando dal 8,18% per 1000 abitanti del 2005, al 35,72% nel 2015 (Dati: Rapporto Osservasalute, 2016). E i dati sono confermati, come affermato, dall’ incremento delle vendite dei “medicinali di sostegno” e dall’uso e abuso di sonniferi, ansiolitici, antidepressivi, tranquillanti e psicofarmaci…, complice anche la superficialità prescrittiva che si registra in un numero considerevole di casi. Il farmaco appare la “via di fuga” più comoda, rapida e risolutiva.
Convinto che il farmaco a volte può servire ma non sia la soluzione più adeguata, dobbiamo avere il coraggio di chiederci “le cause” e le possibili risoluzioni, poiché questo tema chiama largamente in causa l’attuale contesto societario che sembra ignorarlo.
Perché oggi in tanti sono “più depressi” più che nel passato? Tra le molteplici cause, per evitare di filosofare, ne indico quattro concrete.
1.L’impostazione del lavoro basato su una crescente e malevola concorrenza dove anche i più preparati spesso sono emarginati. E’ l’esperienza che tanti vivono e subiscono in ambiti sia pubblici che privati dove non è premiato il competente ma il raccomandato, dove non è la preparazione, la capacità, la professionalità ad essere gratificata ma l’abilità di arrampicarsi, scalciare e adulare. E questo sia nelle istituzioni civili che ecclesiastiche.
2.La burocrazia che inquieta molti. E la burocrazia, un tema che i nostri politici non intendono affrontare, è un cancro metastatico in rapida evoluzione che fa scordare che la finalità primaria delle Istituzioni pubbliche e private è il “benessere del cittadino” e, di conseguenza, il rispetto dei suoi “diritti fondamentali” anche tramite il superamento di alcune rigidità spesso disumane.
- La disgregazione del tessuto comunitario relazionale nella società e la labilità del sistema affettivo della famiglia.
4.L’insicurezza derivante dalla perdita del significato della vita, accompagnata dallo smarrimento del senso della trascendenza. Ammonica un autore: “Senza Dio si può certamente vivere, ma si vive male!”.
Quindi, possiamo affermare che una quantità notevole di queste situazioni di sofferenza sono provocate dalla “comunità” civile, lavorativa e parentale.
E allora mi chiedo, riferendomi alla prime due cause di depressione: si conducono da anni benemerite campagne contro il fumo o le polveri sottili essendo responsabili di malattie e anche di morti, ma nessuno osa affermare che l’antagonismo, la concorrenzialità esasperata, la competitività furente, la produttività anonima che cancella la creatività, la mancata valorizzazione delle risorse umane “uccidono” la stima, la fiducia, l’ottimismo, la serenità e la speranza. Ma di tutto questo ipocritamente si tace! Purtroppo, mai nessuno, finirà in carcere perché ha spento, distrutto e direi “pugnalato” la speranza di un altro uomo. Lo stesso vale anche per la nefasta burocrazia prima accennata.
Celebrare la giornata del Disagio Mentale significa non solo sfornare cifre che ci aggiornano a livello statistico ma renderci conto del male che possiamo causare agli altri con il nostro comportamento soprattutto se esercitiamo ruoli apicali, ricordandoci come ammoniva san Giovanni Paolo II che “ogni uomo è ‘guardiano di suo fratello’, perché Dio affida l’uomo all’uomo” (Evangelium vitae n. 19).
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