È rileggendo le parole del Papa teologo che si scopre l’esistenza di un antidoto alla nuova deriva ideologica thunberghiana. Riteniamo sia sufficiente, come paradigma riassuntivo, un virgolettato comparso di recente sull’Huffington Post: “Se la natura, e per primo l’essere umano – aveva scritto Ratzinger un decennio fa – , vengono considerati come frutto del caso o del determinismo evolutivo, la consapevolezza della responsabilità si attenua nelle coscienze. Nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni — materiali e immateriali — nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne.
L’”ecologia integrale” è la nuova ideologia imperante. Non si può smentire in quanto assoluto tecnicistico. La maggior parte dei media mainstream non usa mettere in discussione la bontà dell’apparato scenico di fondo. Il verde deve unire. Chi dubitando divide finisce con l’appartenere ad una squadra con una maglietta dal colore inviso. L’”ecologia integrale” non è contestabile in quanto contornata dall’aura dell’urgenza e da quella della necessità. Non è deprecabile, perché sostenuta da una minorenne e dalle giovani generazioni. Non è stigmatizzabile filosoficamente, perché in apparenza non possiede base filosofica: è solo materia, magari sedicente scienza, applicata al da farsi.
Schiere di giovani vengono spinte in piazza affinché l’agenda della politica si uniformi. E loro lo fanno, scendono davvero in piazza, senza che il cervello gli ponga troppi perché, com’è normale che sia a quella età, che è tutta contornata da moti d’animo. Solo che i giovani del mondo contemporaneo non hanno conosciuto né gli ideali né le ideologie. E l’ambientalismo, che i social network fomentano a sufficienza, sembra buono per riempire l’horror vacui. Pare giusto, tutti lo dicono, quindi facciamolo.
Davvero un gioco facile nell’epoca della post-identità, dove tutto può essere coperto dal manto dell’obbligo imperativo. Forse è anche per questo che ci siamo ritrovati larghe percentuali di giovani che, alle scorse elezioni europee, hanno preferito esprimere la loro preferenza in favore dei Verdi, soprattutto in Nord Europa e specialmente in Germania. Ma è così vero che nessuno ha mai osato contrastare questa sceneggiatura? No, affatto, altrettanto larghe schiere di scienziati hanno già messo in fila una credibile serie di perplessità. A noi dell’Occidentale, però, interessa soprattutto l’uomo. E la triste fine che l’umanità può fare in questo viaggio imposto dal “centro del cosmo” al perimetro di un giardino ecologico. Ci viene in aiuto, ancora una volta, quel tanto bistrattato Joseph Ratzinger, che aveva guarda un po’ letto la situazione con largo anticipo.
Il dibattito è obbligatorio: tutti devono occuparsi di ambiente ed ecologia. Le strutture pubbliche, le istituzioni, i media certo, ma anche il singolo cittadino, che è chiamato a rivalutare la condizione rousseauiana. Il buon selvaggio non è mai stato così buono. E così selvaggio, peraltro. Non è un caso che certo positivismo assolutista stia tornando in auge. Con un certo contributo continuativo da parte della sinistra liquida. Non è neppure un caso che i luoghi di formazione tendano a dimenticare scientemente i filosofi che si sono posti le grandi domande, i metafisici, preferendo il terreno piatto delle cose che sono come sono o che, al massimo, possono essere modificate mediante la mobilitazione sociale.
La piattaforma grillina è Rousseau. La piattaforma anti-ambientalista per eccellenza, checché ne dicano quelli della “ermeneutica della continuità”, è la “piattaforma Ratzinger”. La vogliamo ribattezzare così. Non vi abitano “cittadini totali” deputati a scegliere per tutti. Non c’è neppure la cittadinanza mediatica. C’è solo l’uomo in questa piattaforma, con tutte le sue miserie. In queste settimane, sono rispuntate alcune datate analisi del papa emerito sulle questioni ambientali. Il tentativo è dire che Benedetto XVI avesse anticipato Francesco. E sostenere che le due visioni del mondo coincidano.
Ad essere possibile è possibile, ma è rileggendo le parole del Papa teologo che si scopre l’esistenza di un antidoto alla nuova deriva ideologica thunberghiana. Riteniamo sia sufficiente, come paradigma riassuntivo, un virgolettato comparso di recente sull’Huffington Post: “Se la natura, e per primo l’essere umano – aveva scritto Ratzinger un decennio fa – , vengono considerati come frutto del caso o del determinismo evolutivo, la consapevolezza della responsabilità si attenua nelle coscienze. Nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni — materiali e immateriali — nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti – aveva continuato – non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio”. Alcuni elementi possono essere individuati senza difficoltà. Intanto l’uomo non è affatto primus inter pares. Non c’è una equiparabilità gerarchica tra l’essere umano e la Madre Terra. Non c’è neppure un rapporto di subordinazione tra la seconda e il primo. Poi la natura, come la musica e la matematica per Ratzinger, costituisce prova dell’esistenza di Dio. Il Creato rimane uno strumento nella disponibilità dell’essere umano, Viene proprio scritto: c’è un diritto all’utilizzo. E l’uomo, che certo deve prendersi cura del Creato, in specie perché di diretta derivazione divina, non deve soggetivizzare la natura poiché essa è “risultato”, dunque mezzo e mai fine.
Certo, anche l’uomo è il risultato del logos, ma gli esseri umani, anche il Papa avvertiva Benedetto XVI, sono chiamati ad evitare i “cortocircuiti tra soprannaturale e naturale”. L’uomo è, in qualche modo, il fine della creazione divina. Lo stesso fine cui sono stati affidati mezzi da non disintegrare e anzi da tutelare con tutte le forze. E questa è l’unica chiave tramite cui è lecito adoperarsi in materia ambientalistica, per un liberale e per un conservatore, a meno che non si voglia contribuire allo scivoloso percorso di parificazione tra uno il principale mezzo di cui possiamo usufruire, cioè il Creato, e l’essere umano, che invece è sempre e solo fine.
di Anicio Severino.
11 ottobre 2019
Fonte: l’Occidentale