La doverosa precisazione recentemente operata da Francesco – il quale ha invitato a leggere il concetto di “ecologia integrale” all’interno del più ampio “magistero sociale” della Chiesa – spiega da un lato la “modestia” di alcuni ben precisi pronunciamenti nel contesto contemporaneo, e dall’altro la loro audacia evangelica e apostolica. «Senza la lotta al consumismo, l’ecologia è giardinaggio», va bene, ma per trasformare una vita ci vogliono non aridi imperativi, bensì grandi ragioni e una grande speranza.
Olivier Nouaillas ha portato all’attenzione di molti che le recenti manifestazioni suscitate dalle istanze climatologiche hanno raccolto un’inusitata attenzione (e adesione) di cristiani: addirittura il 20% dei manifestanti si definirebbero cristiani. La cosa è degna di stupore, se si considera che ormai da decenni in Occidente i cristiani non sono abituati ad essere rilevati come entità percettibile all’interno di fenomeni di massa; ancora di più, per noi italiani, se si pensa che questo dato è stato raccolto in Francia, dove complessivamente la secolarizzazione ha compiuto – rispetto al precedente status quo (con tutti i limiti di certe approssimazioni) – passi maggiori e più incisivi che da noi.
I dati di “Quantité Critique”
Veniamo dunque ai numeri che Nouaillas ha raccolto da Yann Le Lann, conferenziere in sociologia all’Università di Lille e da Maxime Gaborit, docente a Scienze Politiche. Il collettivo di cui i due sono parte, “Quantité Critique”, ha monitorato le marce per il clima svoltesi in Francia nell’ultimo anno, intervistando nelle singole marce campioni oscillanti tra le 1.300 e le 2.000 persone. La statistica osserva che più del 50% dei partecipanti vengono da contesti di ceto e di censo medio-alti:
E la componente cristiana non modifica fondamentalmente questo sbilanciamento sociologico – aggiungono i ricercatori –. Anzi, vi apportano delle novità: anzitutto sono dei “primi arrivi”, cioè che spesso sono alla loro prima manifestazione, e che le marce per il clima servono loro, in qualche modo, da apprendistato. E poi sono più diversificati da un punto di vista politico. Nel senso che mentre la stragrande maggioranza dei partecipanti a queste marce si dice di sinistra, o proveniente da una famiglia di sinistra, dell’l’8% che si dichiara di destra, il 60% è composto da cristiani. Avevamo già notato che durante la grande marcia per il clima che ha avuto luogo a Parigi il 15 marzo 2019 un nuovo pubblico si era aggregato alle mobilitazioni. Il pubblico cristiano ne fa parte, e questo è un segno che, fra gli altri, l’ecologia sta forse diventando il nuovo elemento centrale e strutturante della società francese.
Un rilievo interessantissimo, cui si aggiunge quello sulle opere che hanno stimolato e strutturato le sensibilità ecologiste: vanno per la maggiore La sobrietà felice di Pierre Rabhi, il documentario Domani di Cyril Dion e il bestseller di Pablo Servigne (non tradotto in italiano) Comment tout pet s’effondrer [Come tutto può collassare, N.d.T.]; per i cristiani, si aggiunge anche l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, del 2015.
Magistero sociale
Papa Francesco ha recentemente ricordato – come del resto si trova nero su bianco nello stesso testo magisteriale – che il concetto di “ecologia integrale” va letto e compreso all’interno del magistero sociale della Chiesa. A che serve una simile precisazione? A ricordare da una parte il fondamento trascendente della posizione che la Chiesa prende («non esistono ermeneutiche neutre – ricordava ieri il Santo Padre al Sinodo –: la nostra è quella dei discepoli»), e dall’altra i limiti che necessariamente i pronunciamenti su certe posizioni avranno, nella scia di quanto già Benedetto XVI annotava mentre preparava la stesura di Caritas in Veritate. La Chiesa deve infatti avere la duplice attenzione di:
- evitare di derivare “deduttivamente” la posizione in materia di ecologia dalla Rivelazione;
- evitare ugualmente di costruire una dottrina ecologica che stia in piedi anche a prescindere dal riferimento alla Trascendenza.
Ciò per diverse ottime ragioni di ordine epistemologico – problema che chiaramente era al centro dei pensieri di Benedetto XVI mentre scriveva quell’appunto –, ma con un evidente riverbero missiologico: tutto quello che la Chiesa fa deve avere come ricaduta e per scopo ultimo l’evangelizzazione dell’umanità, cioè il portare tutti gli uomini alla conoscenza di Gesù Cristo, unico mediatore di salvezza. Leggiamo in quel foglio ratzingeriano:
Certo – è vero che dobbiamo cercare il consenso di tutti gli uomini di buona volontà e di ragione retta. Ma appellandosi a questa volontà ed al consenso della ragione dobbiamo anche dire che la fonte della nostra certezza circa la “giustizia” (come somma di tutti i contenuti della dottrina sociale) è la nostra fede nel Logos incarnato, e che questa fede – pur andando molto oltre il campo della razionalità – secondo la sua essenza non solo non si oppone alla ragione comune umana, ma libera la ragione all’essere se stessa e perciò ci permette di entrare, guidati da questa luce, nel dibattito comune dell’umanità, certi di contribuire così al bene comune di tutti.
Laudato si’
I dati sopra riportati (sarebbe bello se degli istituti demoscopici ripetessero la ricerca in Italia) sono importanti in quanto dànno l’idea di un mondo in rapida evoluzione culturale, che dell’attenzione ecologica improvvisamente fa, dopo decenni di vuoto allarmismo e di crasso consumismo, la molla per l’elaborazione di stili di vita e di sistemi economici alternativi. Un’altra novità certificata da quei dati è che la Chiesa cattolica non sembra essere arrivata in ritardo sulla tempistica né pare in difetto di una propria parola da proporre al mondo, ma anzi sta producendo (a più livelli e con diseguali esiti) pronunciamenti e proposte consonanti con gli omologhi di altri attori ma non per questo privi di peculiarità evangelica. Scrisse il Papa in Laudato si’:
Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. E’ il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.
La sua testimonianza ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione».[19] La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Laudato si’ 10-11
È la contemplazione dell’origine comune di tutte le cose – cioè un afflato poetico, metafisico, teologico e mistico – che la Chiesa indica come il rimedio a un tecnicismo che facilmente (purtroppo lo si vede non di rado) scade in becera misantropia. Francesco non ha trascurato la difficoltà di tale dialogo:
Sono consapevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe. Ivi 62
Il contrasto all’opzione misantropica («l’uomo è il male della terra» – letteratura hollywoodiana principale contenuta tra Matix e Avatar) avviene mediante una cultura del lavoro che sappia additarne la natura fenomenologica come ciò che conferisce dignità all’uomo e alla società:
In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro, tanto sapientemente sviluppato da san Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Laborem exercens. Ricordiamo che, secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna» (Sir 38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4). Ivi 124
Nell’Enciclica c’è un intero capitolo – il quarto – destinato alla declinazione del concetto di “ecologia integrale”: Francesco vi delineava la necessità di comporre in un unico grande dispositivo gli spazi e i tempi del vivere umano.
L’ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. È «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».[122] Ivi 156
La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che porta con sé il disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi. Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno. I Vescovi del Portogallo hanno esortato ad assumere questo dovere di giustizia: «L’ambiente si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva».[124] Un’ecologia integrale possiede tale visione ampia. Ivi 159
E in ultimo Francesco torna alla vita concreta delle persone, perché è vero che l’ecologia comincia nel carrello della spesa, ma è vero pure che non la si deve gettare addosso agli uomini come un arido comandamento a cui ottemperare criticamente – Dio non fa così con noi, perché mai dovremmo agire verso noi stessi diversamente da come fa Dio?
Un’amica mi segnalava l’esternazione di un tizio, sui social, che suonava pressappoco così: «L’ecologismo, senza la lotta al capitalismo, è giardinaggio». L’autore era un simpatizzante alquanto algido dei Fridays for Future di Greta Thunberg (che apprendiamo costituire materia di dibattito nell’assise sinodale): c’è del vero nel suo malcelato cinismo, perché la massiccia partecipazione a una passeggiata senza scuola autorizzata non implica affatto che quei ragazzi s’interroghino, ad esempio, sulle “terre rare” contenute nei loro fiammanti smartphone, sulle guerre locali che vengono condotte in Africa per tenere accessibile (benché alto) il costo del prodotto finale (tralasciamo poi la disumanità di pornografia e aborto, entità anti-ecologiche in sommo grado!); eppure a cuori capaci di grandi imprese, come quelli giovanili, si deve offrire una grande speranza. Questo fa il Papa ricordando che la “decrescita felice” non può essere felice in quanto decrescita:
D’altra parte, nessuna persona può maturare in una felice sobrietà se non è in pace con sé stessa. E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità consiste nell’allargare la nostra comprensione della pace, che è molto più dell’assenza di guerra. La pace interiore delle persone è molto legata alla cura dell’ecologia e al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita. La natura è piena di parole d’amore, ma come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione permanente e ansiosa, o al culto dell’apparire? Molte persone sperimentano un profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi occupate, in una fretta costante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò che hanno intorno a sé. Questo incide sul modo in cui si tratta l’ambiente. Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cui presenza «non deve essere costruita, ma scoperta e svelata».[155] Ivi 225
E poiché quella dell’ecologia integrale è una vera e propria missione universale (è il primo ordine di Dio ad Adamo!), Francesco torna alla patrona delle missioni e alla sua “piccola via”: è illusorio pensare di sconfiggere “il capitalismo” – sembra piuttosto un mostro della mitologia marxista –, ma sul consumismo invece abbiamo un qualche controllo, e la stessa smania di consumare dice di una nostra schiavitù interiore, genuinamente spirituale, sulla quale produrre il paziente sforzo di un’umile ascesi.
L’esempio di santa Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma. Ivi 230
Aleteia, Ott 08, 2019