Quando si vorrebbe tornare indietro. Le storie dei “transgender pentiti”

By 2 Novembre 2019Gender

Sono in pochi a fare coming out ma è verosimile che siano molti più di quanto si pensa. Stiamo parlando dei “transgender al contrario”, ovvero di coloro i quali, dopo aver iniziato da adolescenti le cure contro la disforia di genere, se ne sono pentiti e ora cercano di “detransizionare”. Una sorprendente testimonianza a riguardo arriva dall’Inghilterra. Charlie Evans, una transgender di 28 anni, nata donna, operatasi e poi pentitasi della scelta, ha confidato a Sky News: «Sono in contatto con ragazzi di 19-20 anni che si sono sottoposti ad intervento chirurgico per il cambio di sesso che non avrebbero voluto fare, perché la loro disforia non è stata alleviata e non si sono affatto sentiti meglio».

Identificatasi come maschio per almeno dieci anni, Charlie Evans è rimasta impressionata dal gran numero di persone che hanno voluto parlarle dopo che l’anno scorso lei stessa aveva fatto outing. Al termine di un suo discorso pubblico, la 28enne era stata avvicinata da un’altra transgender, nata donna ma con una vistosa barba. Anche lei aveva intenzione di “detransizionare”. «Disse di essersi sentita emarginata dalla comunità Lgbt in quanto traditrice. Quindi ho sentito che dovevo fare qualcosa», ha spiegato Evans.

Sky News ha quindi intervistato la 21enne “Ruby”, uno dei giovani venuti in contatto con Charlie Evans. Ruby aveva iniziato ad assumere testosterone, con il prevedibile risultato dell’abbassamento della voce e della crescita dei peli sul viso. Aveva poi programmato l’intervento chirurgico per la rimozione del seno, salvo poi venire assalita dai dubbi. «Pensavo che nessun cambiamento sarebbe stato sufficiente, quindi ho ritenuto che sarebbe stato meglio sforzarmi di cambiare le mie sensazioni su me stesso, piuttosto che cambiare il mio corpo», ha confidato il giovane transgender. «Ho visto analogie tra il modo in cui sperimento la disforia di genere e il modo in cui sperimento altri problemi di immagine corporea».

La giovane transgender ha poi detto di essersi resa conto che i medici avevano trascurato un suo disturbo alimentare preesistente, che probabilmente era stato tra le cause scatenanti del suo desiderio di cambiare sesso. «Quando mi trovai nella clinica di genere per ricevere gli ormoni – ha proseguito Ruby – abbiamo avuto una sessione in cui ho esaminato i miei problemi di salute mentale e ho parlato del mio disturbo alimentare e loro non hanno intuito che avrebbe potuto essere collegato alla mia disforia di genere». A tutti coloro – transgender o no – che incorrono nella disforia di genere, gli operatori sanitari sembrano limitarsi a dire: «Ok, ecco i tuoi ormoni, ecco il tuo intervento chirurgico, vai fuori…». Un approccio che «non credo sia utile per nessuno», ha dichiarato la transgender.

Il dramma di Charlie Evans e di Ruby trova risonanza nelle parole di Walt Heyer, uno dei primi “transgender pentiti”. «La scienza degli interventi chirurgici non è ancora consolidata per quanto riguarda le conseguenze a lungo termine della terapia transgender», ha dichiarato Heyer nel 2017, durante un simposio all’Università di Hong Kong. «Allo stato attuale non disponiamo di alcuna ricerca obiettiva e definitiva».

Heyer ha poi aggiunto: «C’è un numero sempre crescente di ex transgender come me che ora chiedono inversioni di genere». Quella del cambio di sesso, ha spiegato, è diventata una moda “virale” per molti adolescenti «che sono arrivati a credere di essere del sesso opposto, spinti dal peso dei social media e dei sentimenti». Heyer afferma di aver ricevuto molte segnalazioni da parte di famiglie riguardo ai loro figli adolescenti, vittime di presunta «disforia di genere a insorgenza rapida», pur «senza alcuna precedente storia di disagio con il proprio sesso biologico». Per di più, «l’attuale pratica psicoterapeutica prevede l’immediata affermazione dell’autodiagnosi del giovane», ha sottolineato.

Sono numerosi, ha proseguito Heyer, gli uomini e le donne sofferenti di disturbi psicologici, psichiatrici o affettivi, per i quali la terapia del cambio di sesso non ha prodotto alcun sollievo. Se tali disagi fossero affrontati seriamente, ha argomentato, si ridurrebbe drasticamente il numero di transizioni sessuali.

Walt Hehyer è uno dei nove ex transgender che hanno recentemente presentato un memoriale alla Corte Suprema degli Stati Uniti, in cui lanciano un monito sulle «bugie distruttive» del trangenderismo. Molti giovani con disagi e presunta disforia di genere vengono incoraggiati a fare «coming out», spesso «senza ricevere una parola sui pericoli di quel percorso». Essi vengono così travolti da «false speranze» e da «bugie raccontate con motivi compassionevoli», tuttavia, ammonisce Heyer, «mentire non è compassione».

L’ex transgender conclude ricordando che «per una persona vulnerabile, perseguire un sogno che è fisicamente impossibile da realizzare può portare alla depressione e la depressione è la principale causa di tentato suicidio»: né più né meno quello che avviene a molti di coloro che si identificano come transgender.

https://www.lifesitenews.com/news/ex-transgender-starts-detransitioning-advocacy-group-i-felt-i-had-to-do-omething?fbclid=IwAR1_l5lMGS6BgVad3RyMhTt7kH4PkBksOphXg0To-UyFbQYqSU7fVM9ZOzk