Della centralità della preghiera, la chiave che dovrebbe aprire la porta del mattino e chiudere quella della sera, Gesù ne ha parlato varie volte, proponendo innumerevoli esempi. Utilizzava parecchio tempo per la preghiera: «Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (Lc. 6,12); scegliendo luoghi idonei: «Salì sul monte a pregare» (Mc. 6,46); optando per i momenti più favorevoli: «Al mattino si alzò, quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc. 1,35). La prolungava nei periodi di sofferenza e di tentazione: «E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava» (Mt. 26,39). Della preghiera, Gesù suggerì anche le caratteristiche: poche parole (cfr Mt. 6,7), parecchia fede (cfr Gv. 16,23), notevole costanza (cfr Lc. 18,1), retta e caritatevole intenzione (cfr Mc. 11,25). A noi, la preghiera, a volte risulta difficoltosa; per questo preghiamo poco e male, istigati dalla distrazione, dalla fretta, dalla pigrizia e dalla superficialità. Ma principalmente la nostra orazione è disgiunta, il più delle volte, dalla quotidianità e dal servizio ai fratelli, caratteristiche, invece, di un’unica storia. Osservando i santi della carità notiamo il loro tratto distintivo di autorevoli ed esperti uomini o donne di azione, avendo modificato dei costumi sociali negativi, ma contemporaneamente furono notevoli mistici contemplativi. Fu la costante comunione con Dio ad indurli all’ autentica consumazione per l’umanità.
Anche nei miracoli di guarigioni operate da Gesù risulta importante la preghiera del malato, degli intermediari e dei famigliari, così commentata da E. Bianchi: «Con l’intercessione io riconosco la mia smisurata limitatezza nel fare il bene per gli altri e mi dispongo ad assumere l’altro al di là delle mie possibilità: pregare per gli altri è il segno più evidente e il frutto più maturo della nostra responsabilità verso l’altro che giunge a farsene carico anche al di fuori dello spazio pubblico, quando ciò non è richiesto dalle convenzioni sociali, né ci produce un contraccambio o una gratificazione personale» (Perché pregare, come pregare, San Paolo 2010, 120). Dunque, come indica l’Istruzione circa le preghiere per ottenere da Dio la guarigione, «non solo è lodevole la preghiera dei singoli fedeli che chiedono la guarigione propria o altrui, ma la Chiesa nella liturgia chiede al Signore la salute degli infermi» (Congregazione per la Dottrina della Fede, 2000, Introduzione).
Nella società post moderna riscontriamo un’incremento della religiosità e della spiritualità nonostante i tentativi di eclissare il sacro con l’ateismo, la secolarizzazione e il relativismo. Questa richiesta è evidente anche nel settore sanitario. L’ Internal Medicine News informa che venti facoltà di medicina negli Stati Uniti prospettano agli studenti corsi di spiritualità, sottolineando, nel processo terapeutico, la rilevanza delle convinzioni religiose del paziente. Per E. Pellegrino, già docente alla Georgetown University di Washington, «l’insegnamento della spiritualità è essenziale se si vede la guarigione come un processo che unisce tutte le energie del soggetto, in una visione olistica della malattia» (American Journal of Public Health, marzo 1997, n. 6). C De Bernard nel testo «L’effetto corporeo dell’Estrema Unzione» (Castaldi, 1962) sottolinea che, anche nel passato, alcuni Dottori della Chiesa, tra cui san Tommaso e san Bonaventura, rimarcano l’ampia correlazione tra aspetto fisico e aspetto spirituale. Questa visione fu sintetizzata dal cardinale J.M. Lustiger: «Certo non è sufficiente “medicalizzare” il malato; occorre andare alle radici del male. Ogni malattia ha una dimensione spirituale, poiché l’uomo non è una macchina da riparare con pezzi di ricambio, con mezzi meramente tecnici. Prima occorre purificare il cuore e poi far posto ai medici, ed essi pure preghino il Signore che faccia trovare loro un rimedio per sollevare il malato» (Le Sacrament de l’Onction des malades, Cerf 1990, 23).
Da ultimo, non possiamo trascurare che alcuni studi condotti con metodologie scientifiche, ma ignorati nell’ambito sanitario italiano, hanno mostrato l’effetto positivo della fede sugli ammalati. Mi riferisco ai risultati delle ricerche condotte nelle università statunitensi che hanno confermato, anche per l’azione della fede e della preghiera, notevoli miglioramenti delle condizioni cliniche dei pazienti, Tra le tante segnalo quella del cardiologo R. Byrd del San Francisco General Hospital condotta su quattrocento pazienti ricoverati in unità coronaria. La sua conclusione: «Positive therapeutic effects of intercessory prayer in a coronary care unit population » (cfr Southern Medical Journal, 97, 1988, pp. 826-829). Pur essendo doverosa la prudenza nella lettura dei dati, essendo un argomento controverso che oltrepassa la medicina e l’ambito sperimentale, senz’altro la preghiera può essere ritenuta anche un elemento terapeutico.
Don Gian Maria Comolli