Nel periodo che precede le elezioni, siano esse amministrative piuttosto che regionali o politiche, si riaccende un tema che merita attenzione e che più spesso dovrebbe essere al centro della riflessione di tutti coloro che si adoperano per il Bene Comune: il rapporto tra i cattolici e la politica. Questo mio articolo, volutamente pubblicato al termine della ultima tornata elettorale[1], vuole essere un breve contributo all’attuale dibattito che, troppo spesso, scende in logiche partitiche o faziose senza tenere nella dovuta considerazione l’importanza dell’insegnamento Magisteriale della Dottrina sociale della Chiesa.
I cattolici al potere Viviamo in un periodo storico in cui i cattolici hanno “occupato” un numero considerevole di incarichi e ruoli politici: Sergio Mattarella è cattolico (Presidente della Repubblica) così come Maria Elisabetta Alberti Casellati (Presidente del Senato della Repubblica), Giuseppe Conte (Presidente del Consiglio) e Marta Cartabia (Presidente della Corte costituzionale). Numerosi leader di partiti e parlamentari hanno ribadito più volte la loro appartenenza alla religione cattolica. Eppure, appare evidente come il peso dei cattolici in politica sia ai minimi storici: vengono approvate leggi che si pongono in piena contraddizione con il Magistero della Chiesa con il sostegno di partiti (di qualsiasi schieramento) che vedono al proprio interno un numero considerevole di parlamentari che si definiscono cattolici. Allo stesso tempo sono ormai davvero molto rare le proposte di legge che si fanno portatrici di quei principi attorno ai quali trova le proprie fondamenta il Bene Comune. Sembra quasi che il ruolo dei cattolici in politica sia stato relegato a “portatori di borracce”: uno sguardo oggettivo e non in malafede non può che confermare questa situazione. Le cause della “inconsistenza” dei cattolici impegnati in politica Ritengo che la situazione attuale dei cattolici in politica sia caratterizzata e allo stesso tempo causata da tre tipologie diverse di “crisi” tutte fortemente legate fra loro. a) La crisi spirituale La crisi spirituale che colpisce l’uomo del nostro tempo nasce dalla profonda secolarizzazione in atto nella nostra società che ha voluto bandire Dio dalla “cosa pubblica”: non c’è più spazio per il trascendente, per ciò che è sovranatura. Papa Francesco ha affrontato con chiare parole questo problema durante il suo viaggio di ritorno dalla Svezia: “…l’uomo riceve il mondo da Dio e per farlo cultura, per farlo crescere, dominarlo, a un certo punto l’uomo si sente tanto padrone di quella cultura – pensiamo al mito della Torre di Babele – è tanto padrone di quella cultura che incomincia a fare lui il creatore di un’altra cultura, ma propria, e occupa il posto di Dio creatore. E nella secolarizzazione io credo che prima o poi si arriva al peccato contro il Dio creatore.”[2]. L’uomo di oggi ha voluto eliminare Dio preoccupandosi di mettersi al suo posto. Ciò che ne consegue è semplice logica: l’uomo diventa il creatore della propria morale, dei propri limiti e delle proprie ambizioni. E ogni uomo, sentendosi in diritto di potere tutto, entra in conflitto con chi lo circonda cercando di sopraffarlo e di dominarlo. Molto probabilmente, è molto più corretto utilizzare il termine “secolarismo” piuttosto che “secolarizzazione”: l’espulsione di Dio dalla società ha portato l’uomo, nel suo desiderio di autodeterminazione e di potere, a combattere la religione alimentando la irreligiosità, l’anticlericalismo e il laicismo. Nessuno vuole mettere in discussione la reciproca autonomia tra la sfera temporale (Stato) e quella spirituale (Chiesa) ma allo stesso tempo nessuno può negare alla Chiesa il suo ruolo di “…portatrice di un messaggio che si cala nella storia, dove proclama i valori inalienabili della persona, con l’annuncio e la testimonianza del piano salvifico di Dio, reso visibile e operante in Cristo”[3]. La Chiesa non può esimersi dalla missione di portare il suo sapere millenario all’uomo affinché egli possa rispondere pienamente e con consapevolezza alla sua chiamata di salvezza. È un sapere antropologico, sociologico, etico e filosofico che, alla luce della Rivelazione, permette all’uomo di essere veramente di aiuto, nel contesto politico, a chi saprà accoglierlo. b) La crisi culturale La secolarizzazione porta l’uomo ad allontanarsi da Dio non permettendogli di riconoscere, contemplare e affermare ciò che fa parte intrinsecamente della sua stessa essenza: “[L’uomo] La domina [la natura], forte di ciò che lui è, delle sue capacità e facoltà di ordine spirituale, che lo differenziano dal mondo naturale. Sono proprio queste facoltà che costituiscono l’uomo. Su tale punto il libro della Genesi è straordinariamente preciso. Definendo l’uomo “immagine di Dio”, mette in evidenza ciò per cui l’uomo è uomo; ciò per cui è un essere distinto da tutte le altre creature del mondo visibile”[4]. La crisi culturale è legata a doppio legame con quella spirituale: essa riguarda in particolare due diversi ambiti che autorevoli prelati hanno già descritto in dettaglio anche in tempi non recentissimi: la questione antropologica e quella educativa. Già nel 2002 l’allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Camillo Ruini, aveva messo in guardia circa i primi segnali di una vera e propria crisi antropologica: “Molte delle problematiche che nel nostro tempo toccano più da vicino l’evangelizzazione, la pastorale tutta e i rapporti tra fede, vita e cultura ruotano intorno alla cosiddetta questione antropologica, cioè alla domanda su chi sia, realmente, l’uomo, con tutte le conseguenze che la risposta, o meglio le diverse risposte a questa domanda portano con sé”[5]. È necessario quindi che ci interroghiamo su quale visione antropologica viene proposta ai nostri giovani nelle scuole, nelle nostre parrocchie, nelle associazioni o nei movimenti cattolici. Come rispondiamo, anche nel contesto politico, alla domanda “Chi è l’uomo?”. Se la cultura propone una visione di uomo solamente biologica essa porterà ad una politica orientata solamente al soddisfacimento dei suoi bisogni e desideri. Il valore dell’uomo non può essere veramente richiuso in un mero contesto organicistico e funzionale: “«l’uomo … in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa»[6]. In lui ha scolpito la sua immagine e somiglianza, conferendogli una dignità incomparabile”[7]. Il cattolico impegnato in politica deve quindi essere promotore di leggi che abbiano come prima istanza il rispetto pieno e totale della natura dell’uomo perché, non impegnandosi in questo, si farà portatore di leggi che porteranno all’annientamento dell’uomo. I vescovi Crepaldi e Camisasca hanno approfondito il tema della questione educativa proponendoci alte riflessioni che non possono rimanere inascoltate. “La difficoltà vissuta oggi dal mondo adulto rispetto al compito educativo non sta in un difetto di competenza o di tecnica. Essa piuttosto denuncia uno smarrimento sostanziale: non siamo più sicuri che vivere sia una cosa buona, non siamo più certi che l’esistenza abbia un senso e uno scopo”[8]. Uno smarrimento che probabilmente parte dall’incapacità dell’uomo moderno di sapersi riconoscere e definire: se l’uomo non sa chi è non potrà darsi uno scopo e non potrà educare e preparare a questo scopo coloro che lo circondano. Eppure, l’educazione è strumento privilegiato affinché l’orizzonte dell’uomo non si chiuda nei suoi egoistici bisogni ma si possa aprire a quella che è la sua chiamata più ampia e totale: la propria vocazione. Attraverso la ricerca della propria vocazione l’uomo può conoscere sé stesso (la propria natura e la propria identità) e si apre al trascendente: nella sua necessità di camminare e incontrare Dio la persona umana riconosce in sé stessa tutte quelle caratteristiche che ne definiscono la dignità in quanto figlio prediletto di Dio (l’uomo come creatura a immagine di Dio, l’unità della persona anima/corpo, la trascendenza, la libertà e l’unicità e l’irripetibilità di ogni persona). Non a caso Mons. Crepaldi arrivò ad affermare poco più di dieci anni fa che “L’antropologia della Dottrina sociale della Chiesa si incentra sulla persona umana come vocazione”[9]. Se la vocazione è dono di sé, come può essere compatibile con una visione di uomo orientata unicamente al soddisfacimento dei propri interessi personali? L’uomo trova la sua piena realizzazione quando abbraccia la propria vocazione ed orienta tutte le proprie energie verso il compimento di questa. Riconoscendo la propria vocazione e, prima ancora, riconoscendosi chiamato, l’uomo accetta di divenire strumento nelle mani di Dio per la costruzione del Bene Comune: la vita come risposta alla vocazione oltrepassa l’uomo che pone al centro sé stesso (la società che nega l’esistenza di Dio e che vive solamente di diritti) per giungere all’uomo che pone al centro Dio (la vocazione come strumento di costruzione della società). c) La crisi teologica Fra le crisi che mi propongo di descrivere probabilmente questa è quella che più spesso viene sottovalutata, se non addirittura negata. Eppure, la sua presenza è tanto evidente quanto innegabile. Attualmente esistono due teologie che propongo due diverse concezioni del rapporto che intercorre fra l’uomo e il mondo: la teologia pastorale di Karl Rahner e la teologia dottrinale di Benedetto XVI. Nella consapevolezza di non rendere giustizia ad entrambi i teologi nel descrivere il loro pensiero, procederò a tratteggiarne, per sommi capi, le principali caratteristiche. Nella teologia rahneriana Dio non si rivela all’uomo con dei contenuti di verità metastorici, con una dottrina che rimane coerente nel tempo o con dogmi eterni quanto indiscutibili. Dio si rivela invece “nel mondo” attraverso gli incontri, le esperienze, le difficoltà che l’uomo affronta insieme ad altri uomini. Se la rivelazione avviene in questi termini si modifica il ruolo della Chiesa, che non ha più il compito privilegiato di annunciare qualcosa poiché essa non ne è l’unica depositaria. La Chiesa viene quindi ad essere un elemento come altri: viene ad essere “del mondo” poiché è in quest’ultimo che Dio si rivela. È una prospettiva che pone l’uomo in una fluidità di principi, di doveri e di scelte morali: alla luce del contesto storico essi variano al variare degli eventi e viene a mancare una bussola, un riferimento che gli permetta di orientarsi e soprattutto di orientarsi al bene. La Legge Morale Naturale Universale perde di senso e viene riposta quindi nel dimenticatoio. Di segno opposto la teologia della dottrina sociale. “È davvero possibile pensare che la Chiesa possa dare qualcosa al mondo e viceversa come in un costante scambio reciproco, alla pari? Non possiamo invece ritenere che vi sia qualcosa che solamente la Chiesa possiede e che il mondo potrà avere solamente se è questa a donarglielo? Sì, stiamo parlando dell’evangelizzazione, del portare il lieto annuncio della vita che ha vinto la morte, della speranza dell’uomo che va al di là del tempo e dello spazio: Cristo risorto ha vinto il peccato … e la Chiesa, sua Sposa, è chiamata ad annunciarlo al mondo. La prospettiva quindi di essere “del mondo” appare evidentemente paradossale se non addirittura autolesionistica per l’uomo che non potrà trovare in essa la propria salvezza e trascorrerà il proprio tempo, infelicemente, cercando qualcosa che non potrà trovare”[10]. La dottrina sociale della Chiesa è strumento di evangelizzazione poiché si propone di annunciare Cristo al mondo e non viceversa! Queste due diverse prospettive hanno generato due modi completamente diversi di declinare l’impegno dei cattolici in politica. La teologia pastorale chiede all’uomo di mantenere separata la propria vita spirituale da quella politica, così che queste diventano due compartimenti separati. In tale prospettiva l’uomo è libero, nell’esercizio della propria attività politica, di andare contro i principi che caratterizzano la sua vita spirituale o la Dottrina che la sostiene poiché è “il mondo” a chiedere questo (l’esempio dell’accettazione della legge 194 ne è il più limpido esempio). Mentre la teologia di Benedetto XVI propone una prospettiva unitaria fra il proprio vivere religioso e il proprio vivere politico: una coerenza totale che chiede all’uomo di portare nell’agone politico ciò che è fondamento e principio della propria vita spirituale. Esiste una soluzione? Provare a definire soluzioni che permettano di uscire dall’attuale stagnante situazione non è facile e il rischio di cadere nella semplificazione della questione è sempre in agguato. Ritengo tuttavia che si possa riflettere e discutere su due non-soluzioni e due possibili soluzioni. Sembra sia ormai diventato un mantra il ripetere “Ci vorrebbe un partito dei cattolici”. Il partito che storicamente più rappresentò i cattolici in politica, la Democrazia Cristiana, è stato chiuso dagli stessi cattolici e non penso sia possibile una sua restaurazione. Negli ultimi tempi molto si parla della nascita di un nuovo soggetto politico che possa riportare al proprio interno i cattolici dispersi nei diversi partiti. L’obiettivo in sé non è disdicevole ma, a mio avviso, non ci sono le condizioni affinché un progetto di questo tipo possa andare a buon fine. La domanda a partire dalla quale cadrà immediatamente il progetto del “partito unico dei cattolici” sarà sostanzialmente una: “Attorno a quali valori si sapranno riunire i cattolici impegnati in politica?”. Vi saranno quindi politici cattolici che si opporranno a leggi che andranno contro determinati principi come la vita, la famiglia e l’educazione dei figli mentre, allo stesso tempo, vi saranno politici cattolici che riterranno necessario scendere a compromessi su questi temi in nome di un progressismo ritenuto indispensabile. Su questo tema penso non possa essere che condivisibile il pensiero del Card. Camillo Ruini: “Non è questo il tempo per dar vita a un partito dei cattolici. Mancano i presupposti: per il pluralismo molto accentuato all’interno della Chiesa stessa, e per la sua giusta ritrosia a coinvolgersi nella politica”[11]. Se un nuovo partito cattolico nascerà, esso potrà rappresentare solo una porzione dei cattolici e quindi il motivo della sua nascita verrà immediatamente a mancare. Un’altra non soluzione è sperare in un nuovo “salvatore della patria” o, nel nostro caso, dei cattolici in politica. Negli ultimi vent’anni diversi politici di spicco hanno cercato di vestire i panni di “campione” della cattolicità e tutti hanno riportato fallimenti più o meno comici o drammatici. Il vero dramma di questa speranza risiede nel fatto che non richiede uno sforzo al popolo che intanto aspetta, in uno stato di angoscia perenne, che qualcuno arrivi a sistemare tutto. Questo non significa affidarsi alla Provvidenza ma essere sprovveduti! Invece di sperare in un cambiamento al di fuori delle nostre persone, e qui vengo alle soluzioni, è necessario che ognuno, per quanto sta nelle sue possibilità, si metta davvero a servizio della politica affinché essa possa divenire strumento per la realizzazione del Bene Comune. Roma è lontana: il nostro sguardo deve invece essere più concentrato sulle piccole realtà dove i cittadini si possono esprimere attraverso liste civiche o altre forme previste dalla legge italiana (associazioni, cooperative, fondazioni, movimenti ecc.) per un impegno concreto e soprattutto illuminato dal Magistero della Chiesa. Il mio sarà un commento banale ma ritengo che poco davvero possiamo fare per cambiare l’attuale classe dirigente dei cattolici impegnati in politica. Pensiamo piuttosto a costruire dal basso nuove realtà che possano gettare semi per il futuro. Ancora più importante però è iniziare una attività solida di formazione delle nuove generazioni: è in esse il nostro futuro. Perché nelle parrocchie non si parla di Dottrina sociale? Perché nei contesti associativi cattolici che coinvolgono giovani si ha paura a parlare di politica? Mi si risponde perché è divisiva. Dunque neghiamo la formazione ai giovani, e di conseguenza un futuro di cattolici impegnati in politica, solo perché abbiamo paura e perché vogliamo vivere in una quieta parvenza di “unità”? La paura è paura e come tale va trattata. Formiamo i giovani alla bellezza della Dottrina sociale, formiamoli a idee e valori alti, senza compromessi. Formiamoli alla bellezza di scelte radicali e impegnative. Formiamoli alla coerenza di una scelta e di una responsabilità. La Dottrina sociale della Chiesa può davvero rispondere a tutte queste esigenze. Però è necessario chiedersi “Quale Dottrina sociale della Chiesa?”. Quella fedele al Magistero della Chiesa, quella che è strumento di evangelizzazione e che rientra a tutti gli effetti nell’ambito della teologia morale. La Dottrina sociale della Chiesa che si propone come utile strumento all’uomo per “…illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore”[12]. Senza se e senza ma. Luca Pingani [1] La tornata elettorale cui si fa riferimento è quella relativa alle elezioni regionali (Calabria ed Emilia-Romagna) tenutasi il 26 gennaio 2020.[2] CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE PAPA FRANCESCO DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALLA SVEZIA. Martedì, 1 novembre 2016. [3] DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE. Venerdì, 21 maggio 2010. [4] UDIENZA GENERALE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II. Mercoledì, 6 dicembre 1978. [5] DISCORSO DI APERTURA DEL CARD. CAMILLO RUINI AL CONSIGLIO PERMANENTE DEI VESCOVI ITALIANI. Lunedì, 21 gennaio 2002. [6] Gaudium et spes, 24 [7] Centesimus annus, 11 [8] DISCORSO DEL VESCOVO MASSIMO CAMISASCA ALLA CITTA’ E ALLA DIOCESI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITA’ DI SAN PROSPERO – EDUCARE ANCORA. Sabato, 24 novembre 2018. [9] DISCORSO DEL VESCOVO GIAMPAOLO CREPALDI AL III INCONTRO NAZIONALE DELLE AGGREGAZIONI LAICALI E DEI SOGGETTI OPERANTI NEL CAMPO DELL’EDUCAZIONE E DELLA SCUOLA – EDUCAZIONE E BENE COMUNE NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA. Venerdì, 8 maggio 2009. [10] LUCA PINGANI, La pastorale sociale e l’antropologia vocazionale. Riflessioni sul libro “La Chiesa italiana e il futuro della Pastorale Sociale” dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi. Martedì, 12 dicembre 2017 [11] ALDO CAZZULLO, Intervista al cardinal Ruini: «La Chiesa dialoghi con Salvini. I sacerdoti sposati? Un errore. Roma, domenica 3 novembre 2019. [12] Lumen gentium, 31 Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della ChiesaNewsletter – n.1071 | 2020-03-09 |