Primo presidio sanitario, nelle farmacie si vede il meglio e il peggio dell’umano. L’appello e la raccolta fondi promossa dal Banco farmaceutico.
“Vite da farmacisti, gli ultimi del carro” titolava mercoledì 18 Libero una lettera di Adele Fiorenza Feltri, figlia del direttore, che raccontava la sua quotidiana “buona battaglia” al bancone del suo luogo di lavoro. La mancanza di mascherine, le domande assillanti e a volte assurde degli avventori, gli insulti da parte dei più esagitati, ma anche gesti semplici di buon cuore: una torta, un termos di caffè, un biglietto d’incoraggiamento. Una quotidianità poco raccontata dai media, eppure significativa: le farmacie sono, assieme ai medici di base, il primo fronte cui si rivolgono le persone in cerca di un consiglio o di un conforto.
Mascherine, guanti, plexiglas
«A parte gli ospedali – ci racconta Marcello Perego, farmacista di Vimercate – siamo l’unico presidio sanitario sempre aperto. Di questi tempi, poi, poiché la gente ha timore a recarsi in ospedale, avendo paura di contrarre il virus, ha preso d’assalto le farmacie». E queste, col passare dei giorni, si sono dovute subito adeguare: la mascherina, i guanti «e ora anche un pannello di plexiglas per evitare anche il minimo contatto. Questa è una cosa difficile da accettare perché è proprio contraria allo spirito con cui facciamo il nostro lavoro: che è quello del guardare la gente negli occhi, parlarci, confortarla».
Perego conferma che l’esperienza narrata dalla farmacista a Libero è anche la sua e di molti colleghi. «Come sempre nelle situazioni di tensione, viene fuori il meglio e il peggio dell’umano: c’è chi ti insulta perché è nervoso e chi ti ringrazia solo perché sei presente, sei aperto in un momento in cui tutto è chiuso, dai qualche suggerimento utile».
Portare i farmaci a casa
C’è un’opera silenziosa, importante e gratuita che molti farmacisti si sono presi la briga di attuare. «Capita spesso durante la giornata di ricevere telefonate di persone che hanno bisogno di farmaci, ma non possono uscire di casa. Così, terminato il turno o nel tempo libero, molti di noi glieli portano fin sull’uscio. Se qualcuno te lo chiede, come fai a dirgli di no?», dice Perego. «Siamo in una situazione in cui a nessuno viene in mente di guardare l’orologio, tutti si mettono a disposizione e fanno anche più del dovuto. Fra tante cose che non vanno, un po’ di speranza emerge da questa spontaneità con cui a fiotti viene fuori il meglio dell’umano. Un po’ come accade durante la giornata della Colletta del farmaco».
L’appello del Banco alle aziende
Ecco, a proposito. Come si sta organizzando, cosa sta facendo il Banco farmaceutico, la fondazione onlus che da vent’anni si occupa di raccogliere e distribuire farmaci ai più bisognosi? Il presidente, Sergio Daniotti, ci spiega che «ci stiamo dando da fare per aiutare, nel rispetto delle regole». Mascherine, camici, disinfettanti, prodotti per l’igiene personale: anche al Banco sono arrivate richieste di questo tipo e Daniotti si è attivato con diverse aziende. In questo modo è stato possibile raccogliere, grazie a una serie di donazioni, «45 mila confezioni di farmaci per malattie cardiovascolari. Certo, difficoltà ne esistono. Non ultima quella dell’età di molti dei nostri duemila volontari, spesso ultrasessantacinquenni».
L’origine per cui siamo nati
C’è poi un’iniziativa pubblica, lanciata assieme a Compagnia delle opere e medicina&persona che merita di essere segnalata. Si tratta di una raccolta fondi per acquistare farmaci e apparecchiature per gli ospedali.. In una lettera pubblica Daniotti ha rivolto un appello alle aziende e a tutti perché non ci si dimentichi «di chi è povero. I più fragili, in questa fase, rischiano di essere i più penalizzati». È sempre così, spiega a tempi.it, «quando c’è una crisi a pagare il prezzo più alto sono i più deboli. Occuparsi di loro, soprattutto in un momento di prova come l’attuale, può diventare un’occasione per approfondire ancora di più il motivo per cui un’opera come il Banco farmaceutico è nata».
Emanuele Boffi
20 marzo 2020