EDITORIALE – “Prigionieri” fuori, liberi dentro

By 25 Marzo 2020Coronavirus

Le giornaliere limitazioni imposte dall’autorità pubblica suscitano la percezione di essere privati di uno dei beni maggiori che possediamo: la libertà. Inoltre, molti si domandano: come mai è stato sottovalutato il pericolo nonostante i continui moniti del mondo medico? Per quale ragione la comunicazione è stata spesso improvvisata e lacunosa? Il contagio di oltre 5.000 operatori sanitari, che a loro volta hanno contribuito inconsapevolmente alla diffusione del virus, dimostra che qualcosa non ha funzionato? Questi, e altri interrogativi, dovranno trovare una risposta, ma non ora nel pieno della crisi che ha provocato circa 7.000 morti e tanti stanno lottando per salvarsi. In questo momento dobbiamo solo stringerci attorno alle istituzioni e a coloro che le guidano, poiché ogni critica sarebbe come “sparare sulla Croce Rossa”. Poi, terminata la fase acuta dell’emergenza, sia la società civile, sia il Parlamento che in queste ultime settimane sembrava sparito, dovranno verificare tutta la vicenda dal principio alla fine, per esaminare come è stata gestita, gli errori commessi e le conseguenze di alcune scelte che ci accompagneranno negativamente non per mesi ma per anni.

Oggi, invece, è fondamentale supportare i cittadini a sopravvivere in questo tempo di privazioni, indicando come valorizzarlo e mantenendo viva la speranza. E, mentre facevo queste considerazioni, mi sono imbattuto su facebook in un post del 12 marzo dello scrittore Alessandro Frezza che sette anni fa visse l’esperienza della quarantena su una nave a Port April. Un post ricco di saggezza che ci può accompagnare con tre consigli.

1.“I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quelle imposizioni non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un’abitudine, e invece di lamentarmi iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere”. Chi sono questi? Quei poveracci che stanno lottando nelle terapie intensive, che sono stati addormentati ma non sanno se si sveglieranno, chi è portatore di gravi patologie che colpiscono il sistema immunitario e teme “il nemico” nascosto in ogni luogo, chi vive disabilità permanenti e la sua quarantena dura una vita…

2.”Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. M’imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo…. La sera era l’ora delle preghiere, l’ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita”.

3.“Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l’attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L’ attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente”.

E poi è fondamentale la motivazione: perché lo faccio? Certamente per tutelare la mia salute ma soprattutto quella dei più fragili e vulnerabili. Tornando a Frezza: “Il comandante chiede: ‘Cosa vi turba, ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?’. ‘Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari’. E, il capitano: ‘E, se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?’. ‘Non me lo perdonerei mai…’”. Agli albori della storia, Dio, proibì all’uomo non solo di versare il sangue di un altro uomo rischiando una punizione esemplare, ma rivolse a Caino un complesso interrogativo: “Dov’è Abele tuo fratello?” (Gen. 4,8). E Caino rispose: “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen. 4,9). “Sì”, ogni uomo è affidato alla cura, alla premura e alla sollecitudine dell’altro, e oggi aggiungiamo alla “prudenza” di ciascuno di noi. E’ il guardiano di suo fratello, è il  custode “del fratello”, quindi di tutti gli uomini, perché, mentre gli amici ce li scegliamo i fratelli ce li troviamo!

E’ sempre opportuno? Per l’uomo a volte “no”, per Dio dimorante nell’uomo “sì”, qualunque siano i costi e i sacrifici. Onorare, rispettare e tutelare l’uomo, equivale venerare il Creatore presente in ogni persona, soprattutto nei fratelli sofferenti, fragili e bisognosi d’aiuto: “ero malato e ‘mi’ avete visitato” (Mt. 25,36).

Don Gian Maria Comolli