Ogni giorno, speriamo per poco, tanti “muoiono soli” anche se circondati da operatori sanitari impegnati a salvarli, ma che spesso non hanno realmente il tempo di ascoltare i loro desideri, le loro paure e l loro angosce. Sono certo che la maggioranza dei medici e degli infermieri esprimono la loro grande umanità come ha raccontato al Corriere della Sera questa infermiera: “L’altro giorno ero con l’anestesista e un paziente Covid di 48 anni. Gli abbiamo spiegato che lo avremmo intubato, che non avrebbe sentito niente. Lui mi ha stretto la mano e mi ha guardato. ‘Giurami che mi sveglio’, mi ha detto. E io: ‘Certo che ti svegli’. Mi ha risposto: ‘Perché io ho due figlie e le vorrei rivedere’”. Non sappiamo se si è risvegliato. Accanto a questi malati “addormentati”, ne troviamo altri che rimangono coscienti per giorni, avvertendo di ora in ora l’avvicinarsi della morte. E’ la testimonianza di suor Anna Maria Marconi, della Congregazione delle Suore di Maria SS.ma Bambina che opera presso la Cappellania di Alzano Lombardone. Nei primi giorni, dall’ inizio dell’epidemia, stava accanto ai malati di Covid-19 con i famigliari: “Ho presente davanti a me quegli occhi di un uomo di circa 70 anni che scrutavano il mio sguardo mentre il viso andava a cercare quel poco di aria indispensabile per poter continuare a vivere, alternando lo sguardo alla moglie piuttosto che al figlio, poi ai nipoti e uno sguardo a me per farmi capire che dovevo pregare” (https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-03/coronavirus-epidemia-italia-testimonianza-suora-ammalati.html). Poi, con il trascorrere del tempo giorni e l’aumento dei casi, famigliari e cappellani sono stati allontanati poiché mancano adeguati dispositivi di sicurezza… E, così, in tanti, hanno atteso la morte privati dei conforti umani e religiosi. Senza nessuno che gli tenesse la mano e gli faceva una carezza. Un’ esperienza terribile!
Ma, il dramma, non termina qui. I famigliari non possono visitare la salma del loro caro. Afferma una ragazza: “Il mio papà me l’hanno portato via e io non l’ho più visto, né io né la mamma non l’abbiamo più visto… e vedremo soltanto un involucro quando benediranno le ceneri, tra non so quanti giorni perché non ci può essere nessuna funzione…E’ drammatico!”. Questa moglie e questa figlia, come altre centinaia, sono state private di un passaggio esistenziale che lascerà loro un’angoscia mortale per tutta la vita.
Mentre riguardo alla presenza nel momento della morte siamo impotenti, come pure che le bare siano sigillate per motivazioni igieniche, io credo che di fronte alla sospensione dei funerali con relativa Messa potremmo fare qualcosa di più. So benissimo che la sospensione delle cerimonie funebri è stata stabilita dal decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 8/9 marzo 2020 per tutelare la salute pubblica, ma un funerale in forma strettamente privata, con al massimo la presenza di 20/25 persone distribuite con le adeguate misure di sicurezza nelle chiese che solitamente sono ampie, quale danno procurano al bene pubblico? Certamente meno danni degli assembramenti che ancora vediamo in certe ore del giorno sui mezzi pubblici, dopo la riduzione delle corse in molte città. Certamente di meno dei rischi che affrontiamo nell’andare al supermercato, dove in molti luoghi sono state ridotte le ore di apertura provocando inevitabili assembramenti. Certamente di meno di quello che ho rischiato il 4 marzo, quando i contagi erano già molto diffusi, e per consegnare una pratica urgente in ufficio pubblico di Lecco ho atteso 45 minuti in un pianerottolo con altre 50 persone, mentre l’ampio salone che solitamente ospita chi attende il proprio turno era stato chiuso.
Certamente non saranno possibili i funerali in tutte le situazioni, si pensi a ciò che accaduto a Brescia e Bergamo, ma la “proibizione assoluta” è profondamente ingiusta, e vi chiedo, prima di ogni commento, di mettevi nei “panni” di quelle famiglie.
Non è il tempo delle polemiche, ma togliere a una moglie o marito o figlio o nipote che non hanno potuto dare l’ultimo saluto alla persona amata e neppure visitare la sua salma, anche questo “conforto” è disumano. E, da sacerdote, permettetemi di dire che sappiamo pronunciare parole belle, veritiere e teologicamente perfette, guai se non lo facessimo, ma sono troppo poco, come è insufficiente la telefonata o il messaggio su WhatsApp.
Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte rispettando le leggi, ma questa situazione che potrebbe proseguire anche per molto tempo, non deve farci perdere l’umanità e soprattutto la razionalità, poiché come ricordato da papa Francesco: “Le misure drastiche non sempre sono buone” (13 marzo 2020).
Don Gian Maria Comolli