A cento anni dalla nascita e quindici dalla morte, decine di iniziative commemorative erano programmate da mesi in tutta italia per rendere omaggio alla memoria di uno dei pontefici più amati della storia. Poi il lockdown anti-contagio ha rinviato le celebrazioni
Giovedì è ricorso il 15° anniversario della morte di Karol Wojtyla e il 18 maggio il centenario della nascita. Il 2020 è l’anno wojtyliano per il quale in decine di diocesi italiane si stavano organizzando mostre, convegni e rappresentazioni dei suoi testi teatrali giovanili. In un ricchissimo cartellone spontaneo di manifestazioni religiose e civili spesso allestite da comitati costituiti per l’occasione, le tante iniziative commemorative erano state programmate da mesi in tutta italia per rendere omaggio alla memoria di uno dei pontefici più amati della storia. Poi il lockdown anti-contagio ha rinviato le celebrazioni.
Eventi rinviati
La pandemia ha ridefinito tempi e modi delle commemorazioni. Per il centesimo anniversario della nascita del Papa polacco che ha contribuito in modo determinante a far crollare il Muro di Berlino, l’associazione culturale “Ankon nostra”, in collaborazione con l’arcidiocesi di Ancona-Osimo e il comune di Ancona, ha organizzato nel capoluogo marchigiano l’evento culturale e religioso “Giovanni Paolo II in terra anconetana” una mostra fotografica e un convegno a Santa Maria della Piazza. Ad aprire la rassegna doveva essere giovedì prossimo una tavola rotonda aperta dal saluto delle autorità civili e del presidente dell’associazione culturale “Ankon nostra”, Daniele Ballanti. Tutto rinviato a causa del lockdown. “Avendo avuto l’enorme privilegio di stare accanto a Karol Wojtyla per quasi quarant’anni, dodici a Cracovia e ventisette in Vaticano, sento assolutamente il dovere testimoniare la grandezza di Giovanni Paolo II, la sua spiritualità, la sua umanità, il suo coraggio apostolico, la sua santità- osserva lo storico segretario di Karol Wojtyla-. Devo assolutamente testimoniare come l’opera di questo Papa sia stata decisiva, sia in rapporto al rinnovamento della Chiesa (attraverso l’azione purificatrice del Giubileo del 2000, l’attuazione dei documenti del Concilio Vaticano II, e l’avvio di una nuova evangelizzazione a livello mondiale), sia in riferimento alla storia, anche politica, del Novecento (con il contributo dato alla caduta del Muro, al tramonto del marxismo, ma anche al ritorno alla democrazia in America Latina, così come all’allargamento degli spazi di libertà in Africa e in Asia)”. E, aggiunge il porporato, “nessuno potrà negare che la Chiesa lasciata da Giovanni Paolo II fosse profondamente cambiata rispetto a quella che lui aveva preso nelle sue mani il 16 ottobre del 1978”.
Il ricordo di don Stanislao
“Giovanni Paolo II era un vero leader. “Un leader naturale, come osservò acutamente il cardinale Camillo Ruini, e tuttavia (cosa rara) non esclusivo, bensì alla ricerca di altri leader che lavorassero al suo fianco”, evidenzia don Stanislao. Ecco com’era papa Wojtyla. “Si comportava così. Governava così. Ma, evidentemente, non tutti, tra quanti detenevano una responsabilità, in Curia o negli episcopati o nelle diocesi, seguirono quella linea di condotta- racconta il cardinale Dziwisz-. La collegialità episcopale non sempre funzionò bene. Con il risultato di ritardare gli interventi per stroncare questo male spaventoso”. Due parole anche sulla vicenda di Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo. A parte la “bravura” del personaggio nei depistaggi, nei ricatti, e nel riuscire a bloccare ogni inchiesta nei suoi confronti; a parte questo, “Il Santo Padre, quando lo incontrò, non sapeva nulla! Assolutamente nulla! Per lui, era ancora il fondatore di un grande ordine religioso, e basta! Nessuno gli aveva detto niente! Neppure delle voci che giravano!”. Semmai c’è da chiedersi perché chi aveva sentito queste “voci” in giro, non avesse avvertito il Santo Padre o, almeno, qualcuno dei suoi collaboratori. “Vorrei ricordare ancora una volta la grandezza di questo Papa e sollecitare una nuova vera attenzione all’eredità che san Giovanni Paolo II ci ha lasciato. Una eredità che, se approfondita nelle sue molte prospettive, potrebbe essere di grande aiuto nel portare finalmente a compimento la riforma della Chiesa nella linea del Concilio“, sostiene don Stanislao.
Un’autentica testimonianza del Vangelo
Nessuno potrà negare la vasta trasformazione messa in opera da Papa Wojtyla all’interno (una Chiesa che fosse meno gerarchica, meno istituzionale, meno clericale, e sempre seguendo la via tracciata dal Vaticano II) e all’esterno (qui specialmente con il sostegno dei viaggi, un Papa comunicatore del Vangelo nel mondo, e con un nuovo atteggiamento nei riguardi della modernità, senza paura, senza complessi). Poi, ci furono anche degli aspetti negativi. Ci furono resistenze al “nuovo”, sia nella Curia romana sia in parecchi episcopati. E del resto è inevitabile che un Papa, nella sua azione di governo, subisca dei condizionamenti, e che non possa sempre decidere tutto o, almeno, decidere come avrebbe voluto. Perciò, se non aiutato, se non sostenuto dal Collegio episcopale, un Papa può incontrare grosse difficoltà a risanare certe situazioni particolarmente gravi, vergognose. E’ successo qualcosa del genere per la questione pedofilia. Allo scoppiare dello scandalo, specialmente negli Stati Uniti, ci fu un perfetto accordo nel come affrontarlo tra il San Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E ci fu ugualmente, rievoca don Stanislao nella prefazione del libro “Chi ha paura di Giovanni Paolo II” (Rubbettino) la cui presentazioen sarebbe dovuta avvenire giovedì all’evento poi rinviato ad Ancona, “un pieno accordo, nell’aprile del 2001, quando si decise che l’abuso sessuale di un minore da parte di un chierico venisse inserito nell’elenco dei delitti canonici riservati esclusivamente all’ex Sant’Uffizio“.
30 Marzo, 2020
Il centenario triste di Karol Wojtyla bloccato dalla pandemia