Promuove il piano ReopenItaly per «’aggiustare’ le quattro ruote della macchina-Italia» Sulla liquidità sono «indispensabili correzioni al decreto». L’Ue? «Dovrà dimostrare che esiste»
Sono giorni movimentati per le banche italiane, chiamate a sostenere le imprese nell’emergenza. Corrado Passera – che è stato amministratore delegato delle Poste e di Intesa Sanpaolo e poi ministro dello Sviluppo economico del governo Monti – poco più di un anno fa ha fondato illimity, banca innovativa dedicata soprattutto alle piccole e medie imprese ad alto potenziale, anche se passate attraverso fasi di difficoltà.
Siete abituati a lavorare con imprese che hanno bisogno di un aiuto per riprendersi. Come state gestendo l’emergenza?
Abbiamo un numero non eccessivo di clienti insieme ai quali negli ultimi dodici mesi abbiamo elaborato progetti di risanamento, rilancio e sviluppo. Abbiamo un rapporto diretto con ognuno di loro. Non appena è scoppiata la crisi abbiamo ripreso il dialogo con ogni cliente per identificare le migliori azioni di intervento, calibrando sulle loro esigenze anche le possibilità aperte dalle misure previste dal governo.
Le misure del decreto Liquidità stanno funzionando?
Gli strumenti già rodati funzionano, a partire dal Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese gestito dal Microcredito centrale e rifinanziato con 1,7 miliardi di euro. Le altre misure, quelle per le imprese di maggiori dimensioni, hanno bisogno di maggiore chiarezza. Se davvero crediamo sia necessario un intervento di finanza straordinaria non possiamo passare attraverso procedure ‘normali’: se una banca ha responsabilità civilistiche e penali nella gestione dei fondi pubblici non può fare istruttorie creditizie ad occhi chiusi. Se poi ci aggiungiamo il coinvolgimento della Sace, ancora da definire e, in alcuni casi, anche accordi sindacali preventivi … si entra in una modalità non coerente con l’urgenza di fare arrivare liquidità alle imprese.
Quali sono le correzioni che servono?
Non voglio entrare nei dettagli tecnici, ma abbiamo evidenziato alcune correzioni indispensabili: ad esempio vanno chiariti i meccanismi di manleva per le banche, non si può limitare a 5 milioni la possibilità di garantire linee di credito ad aziende fino a 50 milioni di fatturato. Anche la scadenza dei 6 anni può essere troppo breve, data la situazione. Così come non è giustificata l’esclusione di aziende che attraversano procedure concorsuali, che si stanno risanando. Stessa attenzione va riservata alle startup che potranno avere un ruolo decisivo nella ripartenza. Nella conversione in legge del decreto c’è spazio per molti miglioramenti.
Le linee di credito basteranno per fare ripartire imprese chiuse per settimane, o serviranno anche risorse a fondo perduto?
Limiterei i contributi a fondo perduto a casi estremi e molto ben definiti. Sarei contrario a interventi di capitale pubblico a pioggia nelle imprese: semmai si potrebbe prevedere una partecipazione pubblica alla capitalizzazione di fondi di private equity focalizzati sulle piccole e medie imprese. Sarei invece estremamente favorevole a premi fiscali molto significativi per ricapitalizzazioni e aggregazioni aziendali. Trattamenti fiscali altrettanto favorevoli andranno garantiti alle imprese che investono in innovazione e aumentano la forza lavoro.
Assieme a un gruppo di esperti di diversi settori avete presentato Reopenitaly.it , un piano dettagliato piano per la Fase 2. Vi sembra che nella definizione della ripartenza dell’Italia stiamo andando nella giusta direzione?
Il principio fondamentale del nostro piano è che, con regia unica, si ‘aggiustino’ contemporaneamente tutte e quattro le ruote della macchina-Italia: il controllo del contagio il rafforzamento delle strutture sanitarie e assistenziali; la sopravvivenza finanziaria di famiglie e imprese in difficoltà, il rilancio economico. Quest’ultima ‘ruota’, a sua volta, dipenderà da una riapertura veloce, ma legate al controllo del contagio e alla capacità delle strutture sanitarie; da piani di settore che permettano di salvare i settori più colpiti come il turismo e accelerare quelli con filiere più significative; da un forte piano di incentivazione fiscale per favorire innovazione, assunzioni, capitalizzazioni e aggregazioni; da un macro piano di investimenti pubblici in infrastrutture, innovazione e istruzione. E su quest’ultimo punto la Ue dovrà cambiare passo.
Dopo la crisi del 2008 il manager fece il ministro nel governo tecnico guidato da Monti: «Questa crisi è diversa, però il mondo è più disunito, per uscirne servono unità e coordinamento» Corrado Passera, 65 anni, nel 2019 ha fondato illimity
Il Recovery Fund su cui stanno ragionando i governi dell’Unione europea può essere lo strumento giusto per il rilancio?
Finora l’Europa non ha dato una buona prova di sé per quello che riguarda la solidarietà verso i Paesi più colpiti. Sulla gestione del rilancio l’Ue dovrà dimostrare che esiste davvero. Sono contrario all’idea di mutualizzare i debiti del passato, ma dobbiamo investire insieme per costruire il nostro futuro comune: servono alcune migliaia di miliardi di euro di investimenti ‘federali’, sostenuti da un debito comune, Eurobond o Bei, poco importa. Questa non è solidarietà, è interesse: o l’Europa si rimette a crescere o sarà un vaso di coccio tra Stati Uniti, Cina e Russia. La storia d’Europa ci insegna che crisi gestite male portano disordini, perdite di libertà e democrazia. In questo momento il rischio di decadimento verso situazioni di populismo incontrollato è reale.
La crisi del 2008-2009 ha avviato un cambio del capitalismo verso una maggiore sostenibilità. Rischiamo che l’emergenza portata da questa nuova crisi spazzi via i progressi degli ultimi anni?
Dipenderà da come ci comporteremo. Se gli investimenti per il rilancio sapranno premiare quei comportamenti che servono alla comunità, e quindi chi crea lavoro, ricchezza diffusa e innovazione positiva, potremo andare nella direzione giusta. La forma di capitalismo neoliberista degli anni ’90 e dei primi anni 2000 ha dimostrato i suoi gravi limiti. Non dobbiamo perdere per strada la forza e l’energia dell’economia di mercato, ma possiamo fermare le distorsioni del sistema per andare verso un capitalismo più responsabile. Per avere cambiamenti positivi importanti basterebbe applicare con coraggio norme già esistenti come quelle contro le concentrazioni eccessive di potere di mercato e contro i paradisi legali. E premiare in tutti i campi la visione di medio periodo.
È stato ministro dello Sviluppo economico in un governo tecnico, quello guidato da Mario Monti. Queste settimane critiche le ricordano quelle che hanno portato alla formazione di quell’esecutivo?
Ci sono delle differenze. Oggi viviamo una crisi che nasce da un virus, cioè un problema esogeno eliminabile, mentre allora il problema era il crollo di un sistema economico-finanziario, una questione strutturale. Allora le istituzioni finanziarie erano più deboli di oggi. Però il mondo era meno disunito. Il dialogo multilaterale tra Stati funzionava, anche se con i suoi limiti. Oggi invece le grandi potenze vanno ognuna per la sua strada. Dal G20 siamo passati al G Zero. Questa disunione purtroppo la si ritrova anche tra i Paesi europei, e tra le principali forze politiche nazionali. Tutto ciò è molto pericoloso. C’è quindi un insieme di differenze forti. La crisi può essere gestita, possiamo uscirne, ma serve unità e coordinamento, altrimenti sarà difficile ridurre in tempi rapidi il grande disagio e la sofferenza che stanno vivendo tante famiglie e costruire un futuro sostenibile.
Pietro Saccò
23 aprile 2020
https://www.avvenire.it/economia/pagine/una-regia-unica-per-la-ripresa