- Non siamo lontani da un’attenuazione delle misure di lockdown decise nel mese di marzo per contenere il Coronavirus. È, dunque, opportuno interrogarsi sugli strumenti che ci consentiranno nel prossimo futuro di “convivere” con il virus.
In tale ragionamento un posto speciale spetta alle nuove tecnologie: in altri Stati si sono, infatti, rivelate particolarmente efficaci delle applicazioni (in gergo App). Esse sono state utilizzate, ad es., per tracciare gli incontri dei loro utilizzatori e fornire informazioni all’autorità pubblica. Nel caso in cui una persona avesse incontrato un’altra poi rivelatasi positiva al COVID-19, sono stati effettuati sulla prima tamponi e, in caso di ulteriore positività, si è imposta la quarantena. Un caso ben noto è quello della Corea del Sud, ma si potrebbero aggiungere diversi altri esempi (v. il recente articolo apparso sull’ultimo numero dell’Economist, all’indirizzo https://www.economist.com/science-and-technology/2020/04/16/app-based-contact-tracing-may-help-countries-get-out-of-lockdown). - Anche il Governo italiano si è orientato per il ricorso a questo strumento. È di questi giorni l’indicazione della società prescelta e dell’applicazione individuata, che dovrebbe avere la funzione, tramite la tecnologia bluetooth, di registrare i contatti ravvicinati tra telefonini e, in caso di malattia, avvertire successivamente uno dei proprietari di aver incontrato una persona poi positiva al Coronavirus.
Al di là delle soluzioni tecniche previste e degli eventuali ulteriori usi delle App (in alcuni Stati sono state p.e. utilizzate per verificare il rispetto della quarantena da parte di soggetti infetti), il ricorso a queste tecnologie pone, sotto il profilo giuridico, il problema del rispetto della riservatezza o, con terminologia inglese (sia pure non del tutto coincidente), della privacy. - Senza poter in questa sede incedere a una ricostruzione teorica di tale diritto, è sufficiente ricordare come esso abbia, anzitutto, un rilievo costituzionale. La Corte costituzionale lo ha sostanzialmente ricondotto all’interno della protezione apprestata dagli art. 14 e 15 Cost. alla libertà di domicilio e alla libertà e segretezza delle comunicazioni (cfr. Corte cost. sent. n. 135/2002). A suo fondamento si può, inoltre, richiamare l’art. 2 Cost., interpretato come norma “a fattispecie aperta”, e cioè in grado di dare copertura costituzionale a diritti non espressamente disciplinati nel testo costituzionale (v., di recente, Corte cost., sent. n. 20/2019).
A prescindere da questi profili teorici, per ciò che qui interessa, va ricordato che la privacy forma oggetto di disciplina a livello di diritto dell’Unione europea, non solo nella Carta dei diritti fondamentali (cfr. in particolare art. 7 e 8) , ma in norme secondarie di grande importanza come il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). - Tanto premesso, occorre interrogarsi sulla legittimità di misure restrittive della privacy per contenere la pandemia. A tal fine occorre anzitutto valutare quali siano i beni costituzionali cui può giovare una restrizione della privacy o, in termini più tecnici (ma anche più problematici), i beni con i quali la garanzia del diritto alla privacy va bilanciata.
In proposito, si può senz’altro pensare al diritto alla vita e a quello alla salute. Detto altrimenti, e più semplicemente, restringendo la protezione della privacy, con l’introduzione delle App si vuole proteggere la salute e la vita, anzitutto, della persona stessa che ha interesse a sapere di essere entrata in contatto con un positivo al COVID-19, e poi della collettività.
Proprio per tale ragione, con i colleghi Biscontini, Comba, Del Prato, Mazzarolli, Poggi e Valditara, già da un mese abbiamo proposto alla riflessione pubblica un documento che evidenzia come, in un periodo di emergenza come l’attuale, sia ben possibile restringere la garanzia del diritto alla privacy, per proteggere la vita e la salute, tanto individuale quanto pubblica. Il documento, intitolato Le tecnologie al servizio della tutela della vita e della salute e della democrazia. Una sfida possibile, può essere letto su Federalismi (federalismi.it). - In realtà, a ben vedere l’uso della tecnologia e il tracciamento dei nostri contatti non sono utili soltanto a proteggere il diritto alla vita e alla salute, ma possono avere una funzione importante per ottenere misure d’attenuazione del lockdown. In tale prospettiva oggetto di bilanciamento sono, da un lato, la garanzia della privacy, dall’altro quella di diritti come la libertà di circolazione, di riunione, religiosa, d’iniziativa economica etc., oggetto di restrizione in questo periodo: in sostanza, per poter ricominciare a circolare, riunirci, andare in Chiesa, è necessario rinunciare a profili della nostra privacy.
- L’analisi dei beni in gioco porta a considerare proporzionata e, dunque, legittima una restrizione della privacy come quella di cui si discute sul tracciamento dei contatti delle persone, tanto più che le tecnologie più moderne sono in grado, in proposito, di garantire l’anonimato (v. ad es. l’articolo apparso su La Stampa, il 1° aprile 2020, al seguente indirizzo https://www.lastampa.it/tecnologia/news/2020/04/01/news/ecco-l-app-europea-per-il-tracciamento-che-combatte-il-coronavirus-rispettando-la-privacy-1.38665734). Si può, oltretutto, ricordare come anche il GDPR preveda, agli art. 9 e 23, la possibilità di restrizioni alla privacy per garantire la salute pubblica.
- È fondamentale, tuttavia, che, considerata la delicatezza della materia e gli interessi coinvolti, la disciplina dell’App avvenga con fonte primaria. Si può pensare a un decreto-legge ‒ strumento previsto per eccellenza in Costituzione per intervenire nell’emergenze ‒ che consentirebbe un controllo/aggiustamento della normativa in sede di conversione da parte delle Camere.
Sarebbe, inoltre, opportuno che il contenuto del d.l. venisse concordato con le opposizioni, in modo da arrivare a una disciplina condivisa, che sia chiaramente identificabile dall’opinione pubblica come uno strumento importante per fronteggiare la pandemia e non come un tentativo del Governo di creare un grande fratello che spii gli Italiani.
L’importanza dei dati impone che il loro trattamento e la loro protezione siano affidati a (o avvengano sotto il controllo di) un’autorità pubblica, magari lo stesso Garante per la protezione dei dati personali.
Inoltre, la società che gestisce l’App dovrebbe essere o pubblica (meglio) o comunque fornire una serie di garanzie, tra le quali un’assoluta trasparenza sui soci proprietari della stessa.
Andrebbe, inoltre, previsto un divieto ‒ accompagnato da severe sanzioni ‒ di utilizzare i dati per fini diversi da quelli sanitari. È anche indispensabile una rigorosa disciplina sulla loro distruzione, una volta cessata l’emergenza.
Infine, posto che molti Stati europei ‒ tra i quali i più avanzati nella lotta alla pandemia, come Germania e Austria ‒ si stanno dotando di strumenti simili, è auspicabile che le diverse App abbiano una matrice di natura comune, che consenta di dialogare e scambiare i dati: uno dei rischi maggiori, infatti, è la riattivazione del virus, perché importato dall’estero.
- Se ricorrono queste condizioni, il ricorso al tracciamento dei contatti diventa il prezzo che saremo tenuti a pagare per riacquistare (per quanto possibile) le nostre libertà. Purtroppo, come ricordano spesso anche i medici (v. le dichiarazioni del prof. Crisanti, https://www.askanews.it/cronaca/2020/04/17/il-futuro-secondo-il-virologo-andrea-crisanti-il-vaccino-non-%c3%a8-certo-top10_20200417_194609/ o quelle del pres. Brusaferro https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/04/17/brusaferro-riorganizzata-nostra-vita_Z6XFf1fdPyrM96wbsTvgcI.html) alternative non ce ne sono. E, allora, può essere, forse, consolatorio pensare come molti nostri dati, molti più di quelli che crediamo, sono già oggetto di registrazione e “stoccaggio” da parte delle grandi compagnie di Internet, per fini diversi e, sia consentito, meno nobili di quelli che l’App contribuirebbe a realizzare.
25 aprile 2020
Filippo Vari
ordinario di Diritto costituzionale nell’Università Europea di Roma