CENTRO STUDI LIVATINO – APP fra tutela della salute, autonomia e giustizia

By 25 Aprile 2020Coronavirus

  1. Che cosa avverrà dopo il periodo del distanziamento sociale, che ha portato alla chiusura di scuole, università, luoghi di ritrovo, negozi ad eccezione delle rivendite di prodotti di prima necessità, terminal aeroportuali, luoghi di culto, fabbriche? La lenta riduzione del numero di contagiati in isolamento a casa o ricoverati in ospedale e nelle terapie intensive sta traghettando verso la cosiddetta “fase 2”, nella quale si prevede una graduale riapertura di alcune attività. Si tratta di una fase molto delicata che – se non verrà gestita bene in termini di prevenzione – potrebbe portare al rebound dei contagi, vanificando tutti gli sforzi fatti fino ad ora. Per ridurre questo rischio, si sta prevedendo da una parte il potenziamento della distribuzione dei mezzi di protezione individuale (mascherine, guanti) per coprire realmente il fabbisogno della popolazione, e dall’altra l’esecuzione di tamponi e l’uso di App.
    Nel contesto di una pandemia, gli obiettivi perseguiti con l’uso di App possono essere due: la prevenzione e la cura. Per l’obiettivo “cura”, le App vengono utilizzate al fine di monitorare in modo costante e gestire da remoto il paziente che non richiede ospedalizzazione, velocizzando così anche i tempi di intervento e creando finalmente un ponte reale tra gli ospedali e una adeguata medicina di territorio. Per l’obiettivo “prevenzione”, si sfrutta la modalità di trasmissione da persona a persona del SARS-CoV-2. Con l’uso di una App, si possono identificare coloro che sono stati o sono o potrebbero essere a stretto contatto con soggetti positivi in modo da sottoporli a tampone e – se del caso – a misure di quarantena.
  2. Le App a scopo preventivo sono state già previste nel corso di altre pandemie e, nel caso specifico di Covid-19, si possono annoverare le esperienze di altri Paesi tra cui la Corea e la Cina. Senza entrare in merito alle tipologie di App, analizziamo le problematicità etiche di un loro utilizzo. I valori chiamati in causa sono tre: la difesa della vita (e la salvaguardia della salute); la libertà (responsabile); la giustizia. Si tratta di valori che non sono sullo stesso livello. Il primo valore è la vita, la cui difesa richiede un esercizio responsabile della libertà e l’equità degli interventi.
    In presenza dell’attuale pandemia, le misure di distanziamento sociale, l’esecuzione dei tamponi sul maggior numero di persone possibile e l’uso di App per il tracciamento dei contatti hanno come obbiettivo la difesa della vita e la salvaguardia della salute. Questo sarà possibile solo se si riduce la diffusione del SARS-CoV-2 e, di conseguenza, il numero dei malati e dei morti. Il tracciamento degli spostamenti potrebbe, però, rappresentare un attacco alla libertà individuale e al diritto alla riservatezza ed esporre anche al rischio di discriminazione e stigmatizzazione. Non c’è dubbio! Il rischio c’è, anche con la App presentata come la più “discreta” possibile. Viene però detto che, tenendo conto dell’emergenza sanitaria e della assenza di mezzi alternativi per proteggere la salute pubblica, non abbiamo scelta. L’unica cosa che si può fare è minimizzare i rischi dell’uso di App. Il tracciamento dei contatti dovrebbe avere uno scopo ben definito (individuare coloro che potrebbero essere stati esposti al contagio) e si dovrebbe cercare di preservare l’anonimato del contagiato.
  3. La domanda che ci si dovrebbe porre a questo punto non è tanto come tutelare la propria privacy, quanto piuttosto “perché si è liberi?”. E, ancora, l’esercizio della libertà è indipendente da qualsiasi vincolo e costrizione, o è dipendente dalle relazioni in cui viviamo e dalle quali non possiamo prescindere? Che viviamo in un mondo di relazioni, che siamo fatti per le relazioni, è innegabile. Basti pensare a quanto stiamo tutti soffrendo a causa del distanziamento sociale proprio per la mancanza di relazioni. Se l’esercizio della libertà è dipendente dalle relazioni all’interno delle quali viviamo, questa libertà è allora carica di responsabilità verso noi stessi e verso gli altri. E quale è il primo valore sul quale dobbiamo commisurare l’esercizio della nostra libertà? È la vita, e – con la vita – la salute.
    Se l’uso di una App può aiutare nella salvaguardia della salute di tutti e di ciascuno, non si può penalizzare questo strumento per timore che leda la libertà individuale. Si deve individuare una App che rispetti – il più possibile – la privacy. E se non ci fidiamo? Qui si potrebbe aprire un’altra riflessione per rispondere alla domanda: perché non ci fidiamo delle istituzioni? Gli interventi in Sanità Pubblica, e non solo, hanno tanto più successo quanto maggiore è la fiducia della popolazione in chi prende decisioni. La fiducia non è però un evento: è un processo graduale. Teniamolo in mente per il futuro, sempre che dalle esperienze passate si impari qualcosa. E nell’immediato? Si dovrebbe istituire uno strumento di sorveglianza indipendente, inclusivo e trasparente, che lavori alla luce di linee guida condivise ed eticamente accettabili, per dare fiducia.
  4. L’uso dell’App sarà su base volontaria o obbligatoria? Il termine “obbligo” viene percepito ancora più lesivo della libertà individuale. Non ci sarebbe bisogno neanche di usarlo, se alla libertà si coniuga la responsabilità. Non ci sarebbe bisogno di sanzioni, se ciascuno aderisse volontariamente a comportamenti finalizzati alla salvaguardia della propria e della altrui salute. Prendiamo come esempio l’invito al distanziamento sociale e all’uso delle misure di protezione. Accanto a chi ha avuto e ha comportamenti corretti, c’è chi cerca di violare le indicazioni in tutti i modi e che mette in pericolo la salute e la vita degli altri, costringendo all’impiego delle forze dell’ordine e sottraendo tempo all’aiuto che questi ultimi potrebbero dare alle persone in difficoltà e in condizioni di fragilità.
    Pensiamo, comunque, ad uno scenario in cui l’uso dell’App sia su base volontaria. La sua efficacia nel tracciamento dei contatti dipende dal numero di persone che la scaricherà nel proprio Smartphone e la utilizzerà per ogni spostamento. Quanti lo faranno? Si raggiungerà una copertura sufficiente? Chi non lo farà mette a rischio non solo sé stesso, ma anche agli altri. Perché i contagi generano contagi.
    Immaginare una società ampiamente responsabile, motivata all’uso della App e piena di fiducia nel sistema di Sanità Pubblica, non è – però – sufficiente. Vanno presi in considerazione altre due variabili: l’equità nell’accesso e la capacità di utilizzare le App. Solo il 71% degli italiani ha uno Smartphone: soprattutto la parte più giovane della popolazione (al di sotto dei 50 anni), con un reddito più alto e un livello elevato di istruzione. La diseguaglianza economica e culturale potrebbe essere, allora, un ostacolo per il contenimento della pandemia. Alla ingiustizia delle barriere economiche è da aggiungere, poi, la diseguale cultura digitale. Pur possedendo uno Smartphone, non tutti hanno lo stesso livello di alfabetizzazione digitale. Secondo la OCSE, la percentuale di italiani in grado di usare Internet in maniera complessa e diversificata è molto bassa (36%). A rimanere fuori saranno, allora, le fasce più deboli, compresi gli anziani che sono proprio i più esposti – anche se non i soli – agli effetti drammatici di questa pandemia.
  5. È meglio, allora, rinunciare all’uso di una App per il tracciamento dei contatti? Assolutamente no, se lo strumento può aiutare a contrastare la pandemia. Bisogna, invece, lavorare su tre fronti: 1. responsabilizzare le persone; 2. consentire a tutti di avere uno Smartphone o una tecnologia che consenta l’uso della App; 3. alfabetizzare la popolazione. Avevo 3 anni, quando il Maestro Alberto Manzi ha iniziato la sua trasmissione “Non è mai troppo tardi”. Fa parte dei miei ricordi di bambina. Allora, l’urgenza era insegnare a tanti italiani a leggere e a scrivere. Oggi, i tempi sono cambiati e dobbiamo confrontarci con un altro tipo di alfabetizzazione, quella digitale. Ed evitare che la condizione di chi è fragile per età, malattia o condizione economica e che vive già condizioni di grave diseguaglianza sociale, non si aggravi ancora di più con il rischio che possa essere vittima – prima ancora che del SARS-CoV-2 – di ulteriori ingiustizie dovute alla mancata tutela.

Apr 25, 2020

Maria Luisa Di Pietro
Professore Associato di Medicina Legale
Dipartimento Scienze della Salute della Donna, del Bambino e di Sanità Pubblica
Direttore Centro Ricerca e Studi sulla Salute Procreativa
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

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