Spesso, alcuni professionisti della sanità, reputano i sacerdoti dei “minus habens” anche nel loro campo specifico, cioè quello teologico-religioso. Ciò è molto evidente in alcune alcuni interventi. Faccio un esempio. “Il Fatto Quotidiano” del 8 maggio ha pubblicato un articolo a firma della dott.ssa M. Rita Gismondo, virologa dell’ospedale Sacco di Milano, intitolato: “I parroci: nuovi virologi” dove la Gismondo esprimeva la sua contrarietà nella Fase 2 alla ripresa delle Messe con i fedeli per timore degli assembramenti. “Parere”, e lo chiamo così, dato le contraddizioni presenti negli stessi virologi, del tutto legittimo. Però, la dottoressa, non si è limitata ad esprimere il suo “parere medico”, ma ha introdotto l’articolo, pur classificandosi la “persona non adatta”, con una disquisizione sulle modalità di pregare.
Ebbene, alla dott.ssa Gismondo e ai vari tuttologi, vorrei ricordare che i sacerdoti possiedono una dignità culturale e professionale uguale alla loro, avendo alle spalle dai sei (per chi ha conseguito il Baccalaureato) agli undici anni (per chi ha conseguito un Dottorato di Ricerca) di studio specifico presso una Facoltà Teologica. Quindi stessi anni di studi universitari dei medici o di ogni persona che ha conseguito una Laurea Magistrale. Di conseguenza, il rispetto che esigono la dott.ssa Gismondo e i suoi colleghi, lo esigo anch’io e tutti i sacerdoti.
Scrive la Gismondo rivolgendosi a parroci: “nuovi virologi, come se ne avessimo sentito bisogno”. Ebbene, cara dottoressa, si ricordi che nessuno sente il bisogno di virologi-teologi, ma come afferma un proverbio milanese rivolgendosi ai pasticceri: “Ofelè fa el to mesté“. Voi medici riferendovi alle evidenze mediche e scientifiche, noi sacerdoti rifacendoci alla Sacra Scrittura, alla Dottrina della Chiesa, alla Tradizione, agli insegnamenti del Magistero.
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