Siamo una coppia con tre figlie di 16, 14, 12 anni, viviamo da cristiani, facciamo del volontariato per offrire esempi buoni alle nostre ragazze, ma educarle, oggi, è terribilmente difficile, perché la scuola, la televisione ed altre agenzie societarie remano contro i nostri valori. La domanda che poniamo vorrebbe aiutare tutti i genitori: come, e a cosa educare i figli, e quali punti di riferimento assumere? Stefania e Pierpaolo.
La famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è definita dal Concilio Vaticano II: «Chiesa domestica» e dal Catechismo della Chiesa Cattolica: «cellula originaria della vita sociale» (2203). Approvando questa visione, anche la Costituzione Italiana, riserva alla famiglia alcuni articoli (cfr artt. 29- 31 e 37), dai quali trarre indicazioni basilari sulla sua natura e sulla sua rilevanza giuridica.
Tra i molteplici compiti attribuiti alla famiglia, assume un’importanza primaria quello educativo. E’ una delle sfide maggiori per i nuclei famigliari, che oggi soffrono profonde crisi di rapporti e, nella educazione dei figli, a volte è impreparata a trasmettere certezze e valori, essendo condizionata e strumentalizzata da «una mentalità e da una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della “bontà della vita”» (cfr Benedetto XVI, Lettera alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008). Dunque, nella società odierna, notiamo negli educatori, una profonda crisi di fiducia che rende ostico modellare solide personalità. Come risposta a questa emergenza societaria, i vescovi hanno impegnato la Chiesa italiana ad operare sulla tematica educativa nel prossimo decennio (testo di riferimento: Educare alla vita buona del Vangelo – maggio 2010) .
Il punto di partenza dell’itinerario formativo è l’analisi della capacità educativa dei genitori, soprattutto dei più giovani, dove sembrano a volte assenti, il coraggio dell’autorevolezza nei confronti dei principi civili, sociali e religiosi; l’attitudine a trasmettere l’identità valoriale e la memoria storica della nostra cultura e delle nostre tradizioni; il giusto equilibrio tra libertà e disciplina affermando, nei modi più adeguati, dei «sì» e dei «no», precisi e fermi, dimenticando la rilevanza delle regole nella formazione del carattere e nella preparazione ad affrontare le sfide e le situazioni di disagio della vita. Una carenza che fa crescere «frotte di ragazzi insicuri, incapaci di gestirsi e totalmente ego-riferiti» (cfr M. Ungar, Troppo protetti per il loro bene, McClelland &Stewart 2009, 24).
Si ha l’impressione, inoltre, che i genitori, in molte situazioni, siano percepiti maggiormente come «amici» che come «educatori», essendo faticoso mostrarsi autorevoli quando è carente la presenza, la competenza, il coinvolgimento personale e la credibilità; infatti, nessun giovane, accetterà norme prive di un volto e di una storia. Non possiamo scordare, infine, che i genitori con alle spalle meno di mezzo secolo di vita, figli della modernità, sono cresciuti nella «società del benessere», quando nelle famiglie già si educava maggiormente all’avere che all’essere, e si diffondeva pericolosamente l’ideologia del «figlio felice», da crescere senza rinunce e protetto nelle varie situazioni. Tutto era concesso; i sacrifici rimanevano totalmente a carico dei genitori. «Mi rendo conto che i miei due ragazzi (una figlia di 13 anni e un ragazzo di 16) sono cresciuti senza mai incontrare una vera difficoltà. E quando vado “sul campo” vedo che chi ha dovuto affrontare percorsi più impervi ha sviluppato una serie di abilità che ai miei ragazzi mancano» (Troppo protetti per il loro bene, op. cit., 32).
Il quesito di Stefania e Pierpaolo interroga: come, e a cosa educare i figli, e quali punti di riferimento assumere?
Nel citato intervento di papa Benedetto XVI troviamo la risposta: «educare significa proporre e testimoniare una speranza affidabile, che dia fiducia nella vita, cioè in Dio». Un autorevole educatore, san Giovanni Bosco, riassunse l’obiettivo formativo nel motto: «onesto cittadino e un buon cristiano», così commentato dal cardinale C. M. Martini: «Con i due aggettivi – onesto (cittadino) e buon (cristiano) – si esprimono le opere della fede, i preziosi valori divini della giustizia e della carità, insegnati e incarnati da Gesù; mentre i due sostantivi – cittadino e cristiano – mettono in evidenza che l’umano e il divino devono essere in simbiosi profonda, costante e indissolubile» (Se tuo figlio ti chiede un pane, Centro Ambrosiano 1996, 78).
Per quanto riguarda il buon cristiano, assumo come riferimento il versetto del Vangelo che descrivendo le caratteristiche di Gesù, ragazzo ed adolescente, notava: «cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc. 2, 52). Questa crescita armonica mostra che l’impegno educativo dei genitori, Maria e di Giuseppe, si rivolgeva contemporaneamente a tutte le dimensioni della persona: corpo-psiche-spirito. Poco conosciamo dei primi trent’anni di vita di Gesù; sappiamo che visse in una famiglia, la Santa Famiglia di Nazaret; nulla di rilevante e di straordinario, un’esperienza di normalità con i genitori, i parenti e i compaesani, di impegno lavorativo e di crescita nella fede poiché le giornate della famiglia ebrea erano scandite da atti religiosi e il sabato, il giorno di festa, assumeva notevole importanza. Ma da alcuni rilievi del Vangelo intuiamo che la personalità di Gesù era poliedrica: amabile, dolce e mite ma anche forte e ferma, aperta all’amicizia e alle emozioni. Senz’altro, acquisì un carattere ricco e straordinario in famiglia, seguendo l’esempio e l’insegnamento dei genitori.
Anche oggi, per l’educazione al buon cristiano gli strumenti sono quelli di sempre; la preghiera quotidiana in famiglia e la partecipazione insieme, genitori e figli, all’ Eucarestia domenicale; la conoscenza della Parola di Dio e dei fondamenti del cristianesimo da apprendere nella frequentazione del catechismo e dell’ora di religione cattolica. Non tralasciamo l’esperienza parrocchiale ed oratoriale che concretizzano il legame tra valori e vita. Ma come premessa indispensabile dobbiamo porre la testimonianza di fede e la pratica religiosa dei genitori. L’ostacolo primario nel tramandare il «senso religioso» risiede nell’insufficiente coerenza degli educatori, che accompagnata alla difficoltà di dialogo dei giovani con la Chiesa, precludono adeguate risposte alla sensibilità religiosa dei figli, interessati allo spirituale, anche se spesso non lo dimostrano esternamente.
Per quanto riguarda l’onesto cittadino il discorso è ampio. Qui evidenziamo l’educazione alla gratuità, mostrando che la scala dei valori non può stabilirsi in base alla retribuzione, e che le relazioni tra le persone non sono monetizzabili. Insegnare la gratuità, è un’autentica scuola di civiltà e di vita e le esperienze di volontariato, svolte insieme dai componenti della famiglia, oltre che rafforzare i legami domestici, edificheranno nei giovani il senso della cittadinanza attiva, accrescendo la responsabilità e la convinzione che il domani è nelle loro mani.
I nostri figli, sognando di divenire adulti completi e maturi, implorano educatori preparati e motivati; genitori educatori, insegnanti educatori, sacerdoti educatori che costituiscano una rete di «complicità educativa» nella quale, ogni adulto, si ritenga responsabile della crescita dei propri figli e dei figli di tutti nella formazione alla «vita buona» e alla «bontà della vita».
don Gian Maria Comolli