Da anni stiamo assistendo ad un preoccupante “impoverimento” culturale della “classe dirigente” del nostro Paese; dai membri del Governo e del Parlamento per giungere ai sindaci e alle amministrazioni comunali. Ovviamente sono presenti anche delle eccezioni; persone virtuose, culturalmente e professionalmente qualificate a svolgere questo servizio a favore del bene comune. Riflettendo sulla tematica mi ritorna la nostalgia di alcuni “padri costituenti” e politici della Prima repubblica. Come scordare De Gasperi, De Nicola, don Sturzo, Gedda, Einaudi, La Pira, Lazzati e molti altri che oggi pochi ricordano? Oppure, per giungere a tempi più recenti: Moro, Zaccagnini, Fanfani, Martinazzoli, Cossiga, Ciampi, La Malfa, Spadolini, Bellinguer, Iotti e tanti “statisti”, che certamente con i loro limiti e condizionati da specifiche situazioni storiche, hanno guidato una nazione e offerto benessere al nostro Paese? Il loro segreto? L’abbondante formazione culturale che gli consentiva di leggere i “segni dei tempi”, attingendo al passato per programmare un futuro “a lungo termine”. E, soprattutto, esercitavano la politica non come il luogo del potere, dei privilegi, dei continui compromessi… ma come servizio alla comunità! Erano totalmente consapevoli della loro responsabilità, avendo compreso che quest’arte doveva determinare i criteri e i valori base di regolamentazione della vita societaria, le finalità primarie e intermedie da perseguire, gli strumenti per il loro conseguimento con la finalità di costruire, come affermava Lazzati: “la città dell’uomo a misura d’uomo”. Di conseguenza, è evidentissima la disparità tra gli attuali “politicanti” e questi “statisti” riassunta in una frase di De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”, ed io aggiungo: soprattutto in una situazione di emergenza come l’attuale che potrebbe essere l’occasione favorevole per posizionarsi innovativamente in politica.
Mentre riflettevo, un po’ demoralizzato su questo, mi sono imbattuto in un articolo di E. Galli della Loggia dal titolo: “Non c’è classe dirigente senza solida cultura generale” (Corriere della Sera, 24 maggio 2020) che dedicava il primo punto alle capacità indispensabili per una classe dirigente. Galli della Loggia indica quattro comportamenti.
1.Avere “una visione complessiva del proprio Paese è la condizione indispensabile per immaginare un suo futuro, per immaginare il tipo di società, di valori e d’interessi che esso deve cercare d’incarnare”.
2.Possedere “un’adeguata conoscenza del Paese stesso e del mondo” (…). Come? “L’essenziale è conoscere il passato, le vicende politiche, la cultura, la sensibilità, e quindi aver letto dei libri, dei romanzi, aver visto dei film, ascoltato delle musiche. Il presente e il futuro si costruiscono su basi solide solo conoscendo il passato, non a caso la fucina delle classi dirigenti è sempre stata la storia”.
3.Avere “un forte tasso di disinteresse personale. Si chiama anche senso dello Stato: è l’idea che nella propria azione l’interesse della collettività debba prevalere sul proprio tornaconto, di qualunque genere questo sia”.
4.Assumersi la responsabilità di prendere delle decisioni, compromettendosi, pagando in prima persona.
Dunque, secondo Galli della Loggia, la cultura generale e le scienze umane sono la base di ogni preparazione settoriale. Ciò dovrebbe valere, prosegue, anche per la cosiddetta “borghesia produttiva” per evitare il rischio di parlare due linguaggi incomprensibili. Ad esempio, Sergio Marchionne, già Amministratore Delegato di FIAT S.p.A. e Presidente e Amministratore Delegato di Chrysler Group LLC, in possesso di tre lauree, tra cui una in filosofia, partecipando al programma televisivo “Che tempo fa” (24 ottobre 2010), dichiarò che la laurea in filosofia offriva significato e qualità al suo agire quotidiano. Quanto siamo lontani oggi dalle sagge osservazioni di Galli della Loggia e dalle convinzioni di Marchionne!
E, termino, con quattro suggerimenti “non richiesti” al Presidente del Consiglio e al governo da lui presieduto, poiché i loro atteggiamenti e comportamenti “ricadono a pioggia” fino all’ultimo amministratore.
-Rileggere ciò che è avvenuto in questi mesi nell’ottica dei “segni dei tempi”, essendo questa pandemia un messaggio a tutti affinché si modifichino gli stili di vita, dato che ogni azione come conseguenza può causare devastazioni e distruzioni. Tutti gli interventi del Presidente del Consiglio di questi tre mesi hanno previlegiato il “fare”, scordando “l’essere”, cioè i principi più nobili del nostro patrimonio, i sistemi di valori anche etici, in particolare il rispetto della specificità umana e della natura. Ricordava il filosofo britannico P. Devlin che “per nessun uomo vale la pena di modificare la propria condotta solo sul criterio di poter sfuggire alla punizione; per questo, ogni società degna di questo nome, crea per i suoi membri dei criteri superiori a quelli della legge” (The enforcement of morals, Oxford University Press 1965, p. 121). Di conseguenza, la battaglia che ci attende e che durerà per un lungo periodo, si vincerà unicamente con cittadini motivati al bene comune che ha come conseguenza virtuosi stili di vita che dovrebbero essere continuamente ricordati, rievocati e richiamati.
-Forse, riceveremo dall’Unione Europea aiuti molto ingenti. Ma come saranno utilizzati questi soldi, e più in generale quale “progetto generale” si vuole attuare? Tutto ciò è ancora un mistero! “Si parla” di grande opere, di adeguamento della telematica, di riorganizzazione della sanità, di interventi ambientali… ma nulla di più. Questo, memori di esperienze precedenti, spaventa molti, poiché rischiamo di sperperare nuovamente il denaro, scarseggiando come più volte affermato, la progettualità.
-Il terzo invito è a recuperare le virtù dell’umiltà, della mitezza e della sobrietà. Basta proclami, annunciati oggi e smentiti domani. Basta promesse che non si potranno mantenere, oppure artificiosamente contraffatte. Basta minacce o benevoli concessioni di libertà decise emarginando il Parlamento, il primo baluardo della democrazia. Basta comparse mass mediali inutili per gratificare il proprio ego. Basta provocazioni tra le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione che avvelenano un clima già infuocato. Ovviamente, ognuna di queste affermazioni, è supportata da episodi ben presenti nella mia mente e forse anche nella vostra.
-Infine, non si penalizzi la scuola, la “cenerentola” di questi mesi, non unicamente “riapprendo in sicurezza” ma soprattutto a livello contenutistico, essendo strategica per il futuro. Per formare una classe politica occorrono decenni, e la scuola gioca un ruolo primario, in primo luogo presagendo la situazione che gli attuali ragazzi e adolescenti dovranno gestire da adulti. Da qui l’invito a rivedere la cosiddetta “didattica per competenze”, che certamente forma degli esperti e dei lavoratori, ma non dei cittadini attivi e solidali, idealizzando le “mansioni” a scapito delle “conoscenze”.
Da ultimo una domanda: io, tu, noi… cosa possiamo fare? “Essere presenti” nei momenti elettivi ma anche nella quotidianità informandoci ed approfondendo per non lasciarci plagiare dall’ “incantatore di serpenti” di turno. Sono convinto che in questo, i social giochino un ruolo determinante, quando li usiamo, superando la banalità e l’aggressività, per uno scambio di opinioni che arricchiscono tutti.
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