Ogni tanto, i giornali, riportano la notizia che in qualche laboratorio si è concretizzata la clonazione umana. Come può l’uomo giungere a queste pazzie? Ivo.
Il vocabolo clonazione ha origine dal termine greco Ќλον che significa germoglio o ramoscello. Nel contesto scientifico, indica la riproduzione in laboratorio del patrimonio genetico di un essere vivente, caratterizzato dalle medesime informazioni genetiche di un altro.
La storia è ricca di sognatori che provarono a mutarsi da creature in creatori. R. Descartes (Cartesio) (1596-1650) ideò un aneroide; lo scrittore praghese G. Meyrink (1868-1932) riprese dalla tradizione giudaica-cabalista il Golem, personaggio dotato di straordinaria forza e resistenza, remissivo agli ordini del suo ideatore (cfr Il Golem 1915); C. Collodi (1826-1890) espresse il suo sogno in Pinocchio.
Ufficialmente, le sperimentazioni riguardanti la clonazione degli esseri viventi, furono avviate nel 1930 con il biologo tedesco H. Spemann (1869-1941) che estrasse il nucleo di una cellula uovo di salamandra e la rimpiazzò con quella di un altro animale. A seguito della scoperta, il biologo nota l’induzione dell’embrione, ovvero l’influenza esercitata da alcune parti dell’embrione che convogliano lo sviluppo di gruppi cellulari, in particolare di tessuti e di organi. Per questo Spemann fu insignito del Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1935. Terminata l’interruzione causata dalla Seconda Guerra Mondiale, i tentativi di clonazione ripresero negli anni ‘50 del XX secolo, ma i primi risultati risalgono al 1962, quando l’inglese J. Gurdon (1913-1998) clonò una rana dalle cellule di un girino; l’animale morì dopo pochi giorni. Il 13 ottobre 1993, J. Hall e R. Stillman della Georgetown Washington University, annunciarono al Congresso dell’American Fertily Society, la clonazione di embrioni umani mediante la scissione gemellare (splitting) di embrioni umani di 2, 4 e 8 embrioblasti. Nel 1997 J. Wilmut e K.H.S. Campbell, ad Edimburgo presso il Roslin Institute, clonarono la pecora Dolly (pecora numero 6LL3) trasferendo un ovulo privato del suo nucleo, rimpiazzato con quello di una cellula mammaria di una pecora adulta di sei anni. Da notare che occorsero 277 fusioni ovocita-nucleo donatore, ma solamente otto intrapresero lo sviluppo embrionale, ed uno solo concluse lo sviluppo con la nascita dell’agnella. Dolly, dopo pochi anni, soffrì di gravi problemi di salute e d’invecchiamento precoce per difetti cromosomici; morì nel 2003.
Il 1998 fece registrare la prima clonazione multipla; cinquanta topolini dalle cellule del topolino Cumulino; base di successo inferiore all’1%. Seguirono due scimmiotte, un centinaio di bovini e il cane Snuppy in Corea del sud. Snuppy, nacque con alle spalle la morte di 123 embrioni e 1095 ovociti manipolati. Alcuni animali furono clonati anche in Italia: il toro Galileo nel 1999 e la cavalla Prometea nel 2003.
Si parlò a lungo anche di clonazione umana; nel 1999 all’Università di Seul e nel 2001 all’ Advanced Cell Tecnology; ma non seguì nessuna pubblicazione scientifica. Nel maggio 2005, la rivista Science, riportò gli esperimenti di clonazione umana condotte da coreani e britannici. Trasferendo il nucleo cellulare della pelle in ovuli femminili, avrebbero ottenuto embrioni creando così delle cellule staminali per la cura. Scoperta, definita ironicamente da A. Vescovi, unicamente «una tecnica che funziona un po’ meglio» (Avvenire, 6 maggio 2005). Nel marzo 2011, il medico cipriota P. Zavos, annunciò la messa a punto di una tecnologia per la clonazione umana. Per il momento, fortunatamente, non ha fornito alcuna documentazione della sua pazzia scientifica.
La clonazione umana è vietata da alcuni provvedimenti normativi internazionali. La Dichiarazione, non vincolante dell’Assemblea Generale dell’Onu del 2005; 84 Paesi votarono a favore del divieto (Santa Sede, Italia, Stati Uniti…); 73 si astennero (tra cui molti Stati islamici); 34 furono contrari al divieto (Francia, Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Brasile, Cina, Corea del Sud…); Paesi nei quali le sperimentazioni sull’embrione sono oggetto di brevetti e di commercializzazione. Il Consiglio d’Europa nel 1997, interdì ogni intervento che possa progettare un essere umano geneticamente identico ad un altro vivo o morto. Il divieto protegge l’identità unica di ogni uomo e il carattere specifico della sua combinazione genetica naturale che gli conferisce libertà e un carattere irrepetibile (cfr art. 1). Analoga proibizione è presente nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (cfr art 3, comma 2). In Italia, la Circolare del Ministero della Sanità del dicembre 1998, negò la produzione di embrioni umani finalizzati alla sperimentazione. Proibizione confermata dalla legge 40/2004 («Norme in materia di procreazione medicalmente assistita») che interdì gli «interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca» (art. 2).
Nei confronti delle tre tipologie di clonazione: «cellule somatiche» per la ricerca; «terapeutica» per l’ipotetica cura di patologie; a «scopo riproduttivo» per congegnare individui con patrimonio genetico identico a quello posseduto da altri, si erge una comune dichiarazione di inaccettabilità. Non scordiamo il desiderio del passato di creare soggetti con «caratteristiche superiori», la cosiddetta razza pura, oppure figli rispondenti ai desideri dei genitori, determinando il colore dei capelli e degli occhi, l’altezza, il temperamento e il quoziente di intelligenza. Anche se questo traguardo risulta lontano, a livello ideale questa pazzia è già presente nelle visioni di alcuni scienziati. Sono indicative le osservazioni proposte al convegno «Nuove generazioni di uomini: il dovere morale di migliorare la specie», tenutosi a Londra nel maggio 2005. Il professor S. Savulescu, ex direttore del Journal of Medical Ethics e responsabile del Centro studi di bioetica di Oxford, riguardo alla diagnosi genetica prenatale, dichiarò: «Vogliamo continuare ad affidare le prossime generazioni alla lotteria naturale, alla irrazionalità del caso? No, il futuro è nelle nostre mani». Ma la maggioranza degli scienziati per la loro visione etica, e in base ai risultati ottenuti sugli animali, considerano la clonazione umana una follia portatrice di elevati rischi.
Nella clonazione, inoltre, sono depravate le fondamentali relazioni dell’uomo: dalla genitorità alla filiazione, dalla consanguineità alla parentela. Infine, «la clonazione umana va giudicata negativamente anche in relazione alla dignità della persona clonata, che verrà al mondo in virtù del suo essere “copia” (anche se solo copia biologica) di un altro essere: questa pratica pone le condizioni per una radicale sofferenza del clonato, la cui identità psichica rischia di essere compromessa dalla presenza reale o anche solo virtuale del suo “altro”». (Pontificia Accademia per la Vita, Riflessione sulla clonazione, 1997). Non scordiamoci, che ogni uomo, è creato da Dio a sua immagine, come individuo unico e irrepetibile (cfr Gn. 1.27). Quindi, la Chiesa cattolica, deplora la clonazione: «il progetto clonazione umana rappresenta la terribile deriva a cui è spinta una scienza senza valori ed è il segno del profondo disagio della nostra civiltà che cerca nella scienza, nella tecnica e nella qualità della vita i surrogati del senso della vita e della salvezza dell’esistenza. (…). La clonazione rischia d’essere la tragica parodia dell’onnipotenza di Dio» (Riflessione sulla clonazione). Già H. Jonas scriveva: «è nel metodo la più dispotica e nel fine allo stesso tempo la più schiavistica forma di manipolazione genetica; il suo obiettivo non è una modificazione arbitraria della sostanza ereditaria, ma proprio la sua altrettanto arbitraria fissazione in contrasto con la strategia dominante nella natura» (Cloniamo un uomo: dall’eugenetica all’ingegneria genetica, in Tecnica, medicina ed etica, Einaudi 1997, 136).
don Gian Maria Comolli