Se Pechino all’assemblea dell’Oms non si è opposta alla risoluzione Ue è perché non si parla di “inchiesta”, né si fa riferimento alla “Cina” o a “Wuhan”.
Al termine dell’Assemblea mondiale della sanità (Ams), l’organo che governa l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la Cina può cantare vittoria ancora una volta: ha escluso Taiwan dall’assemblea, ha annacquato fin a renderla irrilevante la proposta dell’Unione Europea che chiedeva un’inchiesta indipendente sull’origine e la gestione della pandemia, ha promesso un’inchiesta non indipendente «al termine della pandemia», cioè solo quando non potrà più nuocere in alcun modo al Dragone, e si è comprata i responsabili dell’Oms mettendo sul piatto due miliardi in due anni «per rispondere alla pandemia».
LA TRUFFA DELL’INCHIESTA INDIPENDENTE
Non si può certo dire che il presidente cinese Xi Jinping sia uno sprovveduto in quanto a diplomazia, ma la debolezza dimostrata dalla comunità internazionale è sconcertante. Non è un caso se ben 144 paesi hanno approvato la risoluzione promossa dall’Ue e nessuno si è opposto: nella mozione non si parla di “inchiesta”, né si fa riferimento alla “Cina” o a “Wuhan”. Semplicemente si chiede che venga fatta una revisione delle «lezioni imparate» dalla pandemia, cosa che non crea alcun problema a Pechino. Anzi, potrebbe essere l’occasione per rimarcare di aver fatto «tutto il possibile e in modo trasparente» come dichiarato dal presidente cinese durante il suo intervento.
Dopo aver promesso due miliardi in due anni all’Oms, ingolosendo i funzionari, Xi è stato abile nel guadagnarsi i titoli di giornale di tutto il mondo appoggiando l’idea di un’inchiesta «oggettiva e imparziale» che indaghi «le mancanze» dei paesi, senza però mai dire che deve essere «indipendente», termine inconcepibile in Cina, e sottolineando che potrà essere lanciata «solo quando la pandemia sarà sotto controllo». Nessuno oggi è in grado di dire quando arriverà questo momento, l’unica certezza è che sarà molto tardi, più probabilmente mai.
IL PROTEZIONISMO CINESE
Xi nel suo intervento ha anche ridato lustro all’immagine della Cina come paese benefattore promettendo più aiuti all’Africa e garantendo la condivisione del vaccino una volta che sarà trovato. In questo modo ha fatto passare in secondo piano anche la decisione di alzare i dazi fino all’80 per cento sull’orzo proveniente dall’Australia, il paese che insieme all’Ue è stato il più muscolare nel chiedere un’indagine indipendente sulle colpe della Cina nella diffusione della pandemia. E meno male che Xi era l’alternativa al protezionismo di Donald Trump.
Il presidente americano ha avuto buon gioco ad accusare l’Oms di essere un «burattino della Cina», ma finora ha ottenuto poco. L’agenzia guidata dall’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, infatti, ha aspettato metà marzo, quando già i paesi colpiti dal Covid 19 erano oltre 100, a dichiarare la pandemia e anche a gennaio, nelle prime fasi della diffusione, le più importanti, ha ripetuto a pappagallo la versione di Pechino e cioè che il virus non poteva trasmettersi da persona a persona. Fino a quando il governo cinese non ha ammesso ciò che già sapeva da tempo, e cioè che il coronavirus era altamente contagioso, neanche l’Oms l’ha fatto.
L’INACCETTABILE ESCLUSIONE DI TAIWAN
È per fare uno sgarbo a Pechino (e ripristinare la giustizia internazionale) che gli Stati Uniti hanno cercato di far ammettere all’assemblea anche Taiwan, cui la Cina impedisce ingiustamente l’accesso alle riunioni dell’Oms ritenendola una propria provincia ribelle. Ma la mossa diplomatica non è riuscita e così l’Organizzazione mondiale della sanità, che dice di voler combattere la pandemia, non ha ascoltato l’esperienza del paese che più di tutti, a livello mondiale, ha saputo combatterla con efficacia. Da tre settimane sull’Isola di Formosa non si registrano nuovi casi e il risultato è stato raggiunto anche bloccando i voli da Wuhan, misura che secondo l’Oms non era efficace.
Trump, che ad aprile ha sospeso i finanziamenti all’Oms, ha minacciato con una lettera di ritirarli in via definitiva se entro un mese l’agenzia «non si impegna su sostanziali miglioramenti», cioè se non converge sugli interessi a stelle e strisce abbandonando l’appoggio incondizionato a Pechino. La minaccia è seria, visto che gli Usa contribuiscono con circa 553 milioni di dollari al bilancio Oms. È una quota pari al 20% del totale e tre volte superiore a quella versata dalla Cina, pari a 185 milioni di dollari.
Pechino ha accusato Trump di «ingannare l’opinione pubblica» ma è vero il contrario. Il direttore etiope dell’Oms sta guidando l’agenzia in modo tutt’altro che imparziale, forse anche perché l’Etiopia deve alla Cina il 60 per cento di tutti gli investimenti esteri diretti nel paese, che l’anno scorso ammontavano a 2,5 miliardi di dollari.
Leone Grotti
21 maggio 2020
L’Oms si prostra alla Cina, l’inchiesta «indipendente» è una barzelletta