L’eccezionale testimonianza a Tempi di Dalù, popolare conduttore radiofonico cinese, oggi rifugiato in Italia, che nel 1995 commemorò in diretta la strage a Shanghai e venne epurato. «Fu una follia, ma ritrovai la mia dignità umana».
Sono passati 31 anni da quando il regime comunista cinese ordinò all’Esercito di liberazione del popolo di massacrare gli studenti a Piazza Tienanmen. E ne sono passati 25 anni da quando Dalù fece la «follia» che gli cambiò la vita: popolare giornalista e conduttore radiofonico di Shanghai, al termine della sua consueta trasmissione, il 4 giugno 1995, disse: «Voglio rammentare agli ascoltatori che oggi è un giorno speciale da ricordare. Il nome della prossima canzone è: anniversario».
«QUALCHE ANNO FA TI AVREBBERO FUCILATO»
Come rivela Dalù (il suo nome non può essere rivelato per ragioni di sicurezza) in un’intervista a Tempi, scoppiò il finimondo. I colleghi lo accusarono di essere al soldo degli americani, il dipartimento di propaganda di Shanghai denunciò «l’incidente politico» e lui fu licenziato con queste parole: «Dovresti mostrarti riconoscente. Se fosse successo appena qualche anno fa, ti avrebbero fucilato».
Dalù aveva 26 anni nel 1989 e come tutti i suoi colleghi giornalisti partecipò a Shanghai a una manifestazione in favore degli studenti assiepati a Piazza Tienanmen per chiedere più libertà al regime. Non era a Pechino quando i carri armati stritolarono i giovani sotto i cingolati, ma il suo caporedattore gli mostrò le foto pubblicate sui giornali stranieri. Nonostante questo, né lui né i suoi colleghi scrissero una riga su quegli studenti, che ufficialmente non erano mai morti. Anzi, Dalù, al pari dei suoi colleghi, fu costretto a firmare un documento nel quale si pentiva di aver partecipato a una manifestazione a sostegno degli studenti e negava che «ci fosse mai stato un massacro a Piazza Tienanmen».
«A HONG KONG LA NUOVA TIENANMEN»
Quel giorno, Dalù firmò il documento per mantenere il lavoro. Ma sei anni dopo, nel 1995, volle commemorare in diretta quelle vittime per «ritrovare la mia dignità umana». Licenziato in tronco, fu emarginato da tutto e da tutti, finché non trovò una seconda casa nella Chiesa cattolica di Shanghai, che lo accompagnò nella scoperta della fede. Battezzato il 20 dicembre 2010, ha subito continue pressioni dai funzionari comunisti per abiurare la sua fede. Quando le minacce si sono fatte insostenibili, è scappato in Italia, dove con l’aiuto dell’avvocato Luca Antonietti ha ottenuto lo status di rifugiato per ragioni politiche e religiose.
«Ho la sensazione che quanto avvenuto a Piazza Tienanmen si stia ripetendo a Hong Kong», dichiara a Tempi. Il giornalista si riferisce sia alla probabile perdita di autonomia della città a causa della legge sulla sicurezza nazionale di recente approvata dal “Parlamento” cinese, sia al fatto che per la prima volta da 31 anni anche nella città autonoma è stato impedito di commemorare il sacrificio dei giovani con la scusa del coronavirus. «È un massacro più sofisticato, forse, ma l’arresto dei giovani studenti è altrettanto crudele».
Leone Grotti
4 giugno 2020
«Il massacro di Piazza Tienanmen si sta ripetendo a Hong Kong»