La giornalista Paola Scarsi ha scritto un ebook con dieci storie di successo. “Volevo raccontare – dice – le difficoltà che chiunque può trovare in un altro paese: la mancata conoscenza della lingua, delle leggi, della burocrazia. E’ da contrastare il pensiero comune: ‘Arrivano e ci rubano il lavoro’, molti fanno mestieri che noi abbiamo abbandonato da anni”.
Sono almeno 600mila le imprese realizzate da stranieri in Italia. Napoli, Roma, Monza e Milano le città dove queste sono concentrate, e tutte le statistiche dimostrano che hanno retto bene alla crisi. La giornalista Paola Scarsi ha scritto l’e-book gratuito “Noi creiamo lavoro”, che riporta le storie di dieci migranti i quali hanno realizzato un’impresa. “Tra di loro c’è il piccolo muratore che ha la partita IVA e il grande imprenditore che ha anche 500 dipendenti – dice Scarsi – Si tratta di storie di successo”.
Qual è la caratteristica principale di queste persone?
Le persone che ho scelto per le mie interviste sono volutamente persone normali. Non hanno storie tragiche alle spalle per loro fortuna, di prostituzione o di schiavitù, perché volevo evitare di cadere nel facile commento: ‘Certo loro avevano la forza della disperazione’. No, queste sono persone che per percorsi differenti, magari anche per motivi politici, hanno sicuramente avuto delle crisi più economiche che personali e tragiche. Volevo raccontare le difficoltà che chiunque può trovare in un altro paese: la mancata conoscenza della lingua, le leggi, la burocrazia.
Come sono stati accolti?
Ho potuto verificare che ci sono stati tanti italiani che li hanno aiutati. Molti hanno riconoscenza per singole persone, che ricordano come un fratello, che li hanno magari ospitati nei primi momenti, li hanno aiutati a ottenere il permesso di soggiorno. Insomma storie di sincera gratitudine. Una ragazza addirittura è stata adottata da una famiglia italiana, e infatti lei utilizza il cognome italiano. Però io volevo contrastare, con il mio titolo: ‘Noi creiamo lavoro’ l’idea generalizzata: ‘Arrivano e ci rubano il lavoro’. Come scrivo nell’introduzione, fanno lavori che noi non vorremo fare.
E comunque alla fine riescono a fare anche lavori qualificati…
Certo. Uno di loro è arrivato in Italia a 20 anni e non sapeva fare il muratore. Adesso è a capo di un consorzio di aziende nell’attività dell’edilizia, ma si è anche laureato in ingegneria in Italia. Quindi sono persone che desiderano andare avanti; uomini e donne che magari studiano di nuovo, perché in Italia non si vedono riconosciuto il titolo di studio. Ad esempio, il sarto che ha rappresentato l’Italia al congresso mondiale dei sarti in Finlandia nel 2017, è arrivato in Italia con la moglie per fare entrambi i collaboratori domestici. Poi è diventato uno dei principali sarti di Torino e rappresentante al congresso mondiale per l’Italia.
Poi si sono anche maggiormente integrati nella società italiana?
Si sono tutti voluto integrare. Dicono: io sono metà e metà. Queste persone affermano che magari hanno nostalgie e ricordi della loro infanzia, e quando tornano nel paese dove sono nati quei ricordi riaffiorano. Ma poi ribadiscono: l’Italia è il paese dove io ho scelto di vivere, dove vivo con i miei figli, con i miei figli a casa parliamo italiano. In Italia hanno creato la seconda parte della loro vita. Non è un appoggio momentaneo. Hanno in qualche modo due vite, le riconoscono entrambe, ed entrambe hanno lasciato loro qualcosa. Direi che tutti sono grati all’Italia, nonostante qualcuno di loro abbia pure preso qualche fregatura.
Alessandro Guarasci
27 maggio 2020
https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-05/noi-creiamo-lavoro-storie-immigrati-che-hanno-fatto-impresa.html