Trans e Arcigay lanciano la fatwa: queste donne che non si sentono uomini che si sentono donne devono essere bandite dall’Arci. Come si permettono di difendere il sesso al posto del gender? Un ragionamento che più bullo non si può.
Arcilesbica fuori dall’Arci per manifesta transfobia. Nella solenne petizione che ne chiede l’epurazione dal circuito arcobaleno – primi firmatari Daniela Tomasino (Arcigay Palermo), Christian Leonardo Cristalli (Gruppo Trans Arcigay Reggio Emilia), Alberto Nicolini, (Arcigay Reggio Emilia), Mattia Galdiolo (Arcigay Tralaltro, Padova, vicepresidente nazionale Arcigay) e a seguire firme di gruppi come Non Una di Meno Latina o Porella Cuccarini Pagina Facebook – si attacca l’uso da parte dell’associazione dei canali di comunicazione per esprimere «posizioni transfobiche e trans-escludenti»:
«La pagina facebook di Arcilesbica Nazionale ha difatti più volte ribadito con post, commenti e grafiche l’idea che le persone trans*, in particolare le donne trans*, non sarebbero da considerarsi per la loro identità di genere, ma per il sesso biologico, con affermazioni come “lesbica è una donna che desidera una donna (e non un uomo che si sente donna)” (25 maggio 2020). Tali affermazioni sono lesive della dignità delle persone trans*, la cui autodeterminazione viene in questo modo negata».
IL MANIFESTO CHE MANDA AI MATTI I TRANS
Autodeterminazione: sì, perché quando non è o non accetta di essere ridotta a “sentirsi donna”, una performance, un’identità non biologica, la donna diventa in automatico una Terf (Trans Excludent Radical Feminist), ovvero il peggior nemico del nuovo verbo arcobaleno, del libero mercato e del fatturato. Non a caso si è arrivati alla richiesta di espulsione nei giorni in cui Arcilesbica nazionale ava organizzato, per il 31 maggio, un webinar con la femminista inglese Sheila Jeffreys, prima firmataria della Declaration on Women’s Sex-Based Rights, manifesto volto alla riaffermazione dei «diritti delle donne basati sul sesso, compresi i diritti all’integrità fisica e riproduttiva, e l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze che risultano dalla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’“identità di genere”, e dalla maternità “surrogata” e le pratiche ad essa legate».
CORPI FORNO E BIMBI CAVIE
Ecco il punto: nell’epoca del potere che trasforma il corpo in uno strumento di profitto del biomercato, la femmina in un forno o in un “feeling”, i bambini in prodotti da banco o in cavie di un esperimento di massa per la riconversione del genere, ricordare che a fare le spese della sostituzione della nozione di sesso con quella di identità di genere nelle politiche di pari opportunità sono sempre e solo le donne, significa tradire il nuovo testamento dell’ultrauguaglianza Arci. Secondo i firmatari della petizione le istanze di donne, lesbiche e madri che si concepiscono tali per realtà biologica, non devono infatti trovare più cittadinanza in una galassia che mira ad annientare «i loro corpi e le loro vite, nel calderone dell’”identità di genere”, come già sta avvenendo già da tempo nelle Accademie, in alcune leggi nazionali, nelle risoluzioni degli organismi internazionali e perfino nello sport dove, grazie a bicipiti e quadricipiti ben conservati, uomini che si identificano come donne stravincono un gran numero di competizioni», ha scritto Marina Terragni.
«Questo non significa negare spazi e diritti alle persone T. Nemmeno un po’. Significa tenere il punto sul fatto che noi donne siamo donne, e non una possibile variante dell’identità di genere. In conseguenza alla sua lotta femminista contro utero in affitto e prostituzione, Arcilesbica è già stata sfrattata dal Cassero di Bologna, storica sede Lgbt. Ora questa ridicola e muscolare richiesta di espulsione, che ovviamente non avrà alcun seguito: se Arci espelle Arcilesbica espellerà tutte noi. Vedesse un po’ che cosa intende fare».
UTERO IN AFFITTO, L’ULTIMO SALTO DI CIVILTÀ
A fianco di Arcilesbica, le cui associate sono state investite da uno tsunami di ingiurie (perfino minacce orrende di stupro, come racconta Monica Ricci Sargentini), si sono schierate associazioni e femministe della differenza ricordando le battaglie condivise contro la violenza sulle donne, la prostituzione, la mercificazione degli esseri umani, e soprattutto la barbarie dell’utero in affitto: è questo l’ultimo salto di civiltà che occorre per “brandizzare” la lotta delle donne per l’autodeterminazione e trasformare il desiderio di libertà dai ruoli imposti dal corpo di nascita in insignificanza del corpo stesso e delle sue relazioni, insomma mercificare l’umano.
NELL’EPICENTRO DEI MENSTRUATOR
In Inghilterra, epicentro di questa ideologia, non solo le visite per l’identità di genere dei bambini sono cresciute del mille per cento in sei anni. Le donne vengono ormai chiamate “menstruator” per non offendere le transwomen, non alle donne ma ai “menstruator” vengono forniti assorbenti dalla Bloody Good Period. L’amministrazione di Brighton e Hove ha deciso che nelle scuole del distretto gli alunni dovranno imparare che le mestruazioni non riguardano le “donne” ma “all genders”. Procter & Gamble ha rimosso il simbolo di Venere dagli involucri di assorbenti igienici a marchio Always per includere i clienti che mestruano ma non si identificano come “donne”. Mastercard ha annunciato che consentirà alle persone transgender e non binarie di utilizzar il nome che riflette la loro «vera identità», su carte di credito, debito e prepagate e la British Medical Association ha ordinato a tutti i suoi 160 mila membri che lavorano in privato e negli ospedali del Regno Unito di non chiamare mai più una donna incinta “futura mamma”, «ci sono alcuni uomini intersex e uomini trans che possono essere gravidi e dobbiamo includerli di chiamandoli “persone incinte”».
CENSURA ALL’INGROSSO
La censura all’ingrosso dalle accademie si è spostata quindi nelle corsie di supermercati e ospedali: il problema non riguarda solo più una strega come Germaine Greer (prima di una lunga serie di personalità bandite o messe al rogo negli atenei britannici tanto da costringere il ministro per l’Università e la Scienza Sam Gyimah ad annunciare multe qualora le autorità accademiche continuassero ad avallare la negazione del diritto di parola) o J. K. Rowling, colpevole di aver apprezzato un tweet in difesa delle lesbiche. Tempi.IT vi aveva raccontato l’incredibile storia di Lynsey McCarthy-Calvert, costretta a dimettersi portavoce di Doula Uk, l’associazione nazionale inglese delle moderne levatrici, o assistenti materne, che rivendicano una storia millenaria nel sostenere le donne dalla gravidanza ai primi mesi di vita del bambino per aver scritto un post su Facebook:
«Non sono una persona che “possiede una cervice uterina”. Non sono un “menstruator”. Non sono un “feeling”. Non sono definita da un vestito e un rossetto. Sono una donna: una femmina, umana, adulta. Le donne fanno nascere tutte le persone, costituiscono la metà della popolazione, ma meno di un terzo dei seggi alla Camera dei Comuni sono occupati da noi».
Apriti cielo: come hanno scritto i commentatori che le hanno aizzato contro i movimenti transessuali dopo averla bullizzata, insultata, segnalata, bersagliata sul social per il suo «linguaggio assolutamente disgustoso»: «sembra che tu ti stia dimenticando che non solo le donne mettono al mondo bambini». Se è così, dateci subito la tessera di Arcilesbica.
Caterina Giojelli
2 giugno 2020