Il Venezuela di Chavez avrebbe finanziato il M5s con 3,5 milioni di euro. Casaleggio smentisce ma l’amore grillino per le dittature di entrambi gli emisferi è un’inquietante realtà.
Davide Casaleggio ha smentito la clamorosa notizia lanciata ieri dall’Abc secondo cui il Movimento 5 stelle avrebbe ricevuto nel 2010 un finanziamento da 3,5 milioni di euro proveniente dal regime venezuelano guidato allora da Hugo Chavez. Il giornale spagnolo ha avuto accesso ad alcuni documenti classificati come segreti secondo i quali il regime avrebbe inviato il denaro in una valigia al consolato del Venezuela a Milano. Attraverso l’intermediazione del consolo Gian Carlo Di Martino, il denaro sarebbe stato poi consegnato a Gianroberto Casaleggio, cofondatore del movimento insieme a Beppe Grillo. Allora il governo di Caracas, dove l’attuale dittatore Nicolas Maduro militava come ministro degli Esteri, riteneva il M5s interessante perché «promotore di un movimento di sinistra, rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica italiana».
LA DELEGAZIONE A CARACAS PER RICORDARE CHAVEZ
Davide, il figlio di Gianroberto Casaleggio deceduto nel 2016, ha dichiarato che è «tutto completamente falso» e che passerà alle vie legali, ma al di là del presunto finanziamento non c’è dubbio che il Movimento 5 stelle si sia contraddistinto per posizioni non esattamente atlantiste e che abbia flirtato negli anni con regimi sudamericani e orientali.
Per quanto riguarda il Venezuela, nonostante l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio nel 2016 abbia dimostrato di avere qualche problema in storia e geografia, paragonando il comportamento di Matteo Renzi a quello di «Pinochet (ex dittatore del Cile, ndr) in Venezuela», il M5s non ha mai nascosto le simpatie per il regime di Maduro. Nel 2017, il sottosegretario agli Esteri del M5s, Manlio Di Stefano, ha guidato una delegazione del movimento per partecipare agli eventi commemorativi del quarto anniversario della morte di Hugo Chavez.
IL TRUCCHETTO DELLA «NON INGERENZA»
Inoltre nel febbraio 2019, quando tutta Europa si affrettava a riconoscere Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, Di Maio si esibiva in una prova di equilibrismo diplomatico: «Siamo ben consapevoli che il Venezuela sta attraversando un periodo storico complesso e doloroso. Al riguardo è mia piena convinzione che il governo italiano debba evitare ogni ingerenza esterna». Quando Di Maio ha rilasciato questa dichiarazione, alquanto strana visto che Maduro era da pochi mesi stato rieletto con elezioni palesemente irregolari, avevano già riconosciuto Guaidó: Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Danimarca, Svezia, Austria, Paesi Bassi, Portogallo, Lituania, Lettonia, oltre al Parlamento europeo. Il governo gialloverde invece, restando neutrale, non solo si attirò le ire degli Stati Uniti ma si ritrovò stranamente sulla stessa posizione di Russia, Cuba e Cina.
Anche sull’emisfero orientale, il Movimento 5 stelle si è sempre mosso in rottura con le classiche alleanze italiane, favorendo un legame insolitamente stretto con la Cina. Anche questo rapporto è stato suggellato da un’immancabile, quanto clamorosa, gaffe di Di Maio che, nel novembre 2018, trovandosi a Shanghai in occasione dell’International Import Expo, in veste di ministro dello Sviluppo economico, disse in conferenza stampa: «Ho ascoltato con molta attenzione il discorso del presidente Ping». Tralasciando il fatto che il ministro stava chiamando il segretario del Partito comunista cinese Xi Jinping per nome e non per cognome, Di Maio riuscì perfino a storpiarlo.
DALLA NUOVA VIA DELLA SETA A HONG KONG
Al netto dell’imbarazzante biglietto da visita, per il M5s contano i fatti più che gli strafalcioni: l’Italia è stato infatti l’unico paese dell’Unione Europea a firmare, nel marzo 2019, un memorandum d’intesa con Pechino per aderire alla Nuova via della seta, il mastodontico progetto neocolonialista della Cina. Anche in questo caso, i grillini hanno fatto andare su tutte le furie gli Usa.
Ma il feeling con il regime comunista cinese non si ferma certo qui. Bisogna ricordare come Di Maio rispose a una domanda sulle proteste anti-estradizione di Hong Kong? «Noi in questo momento non vogliamo interferire nelle questioni altrui e quindi, per quanto ci riguarda, abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri Paesi». Parole incredibili, se pronunciate da quello stesso ministro che nel febbraio 2019 incontrò i gilet gialli, che stavano mettendo a ferro e fuoco la Francia, scatenando una delle più gravi crisi diplomatiche con Parigi, dichiarando: «È l’incontro legittimo con una forza che si vuole candidare alle Europee. Mi dispiace che Macron l’abbia vissuta come lesa maestà».
UNA PASSIONE INQUIETANTE
Le affinità elettive tra M5s e regime cinese si coltivano anche a tavola. Sul finire del novembre 2019, fece scalpore la cena prima e l’incontro a Roma poi tra il fondatore dei grillini Beppe Grillo e l’ambasciatore di Pechino Li Junhua. Le loro foto a braccetto hanno evidentemente fatto storcere il naso dalle parti della Casa Bianca, per non parlare degli incontri tra Casaleggio e i responsabili di Huawei, nuovo obiettivo polemico dell’amministrazione Trump.
Se, dulcis in fundo, si ricordano pure gli sconcertanti articoli apparsi sul blog di Beppe Grillo che, da una parte, giustificano la repressione dei manifestanti pacifici e democratici a Hong Kong, e dall’altra definiscono «centri di formazione professionale» i campi di rieducazione attraverso il lavoro dello Xinjiang, dove sono stati incarcerati senza processo 1,8 milioni di musulmani uiguri e dove sono già morte centinaia di persone; se si somma tutto, a prescindere dal presunto finanziamento da parte del regime venezuelano, la passione dei grillini per le dittature di ogni latitudine è ugualmente inquietante.
Leone Grotti
16 giugno 2020