EDITORIALE – Un estate in “compagnia” degli anziani

By 4 Luglio 2020Attualità

La Pandemia nella sua fase acuta ha ucciso un numero impressionante di anziani. Alcuni sono morti avendo contratto il Covid 19 in modo accidentale, altri per ingiustificabili errori commessi dalle autorità deputate al bene comune soprattutto nella gestione delle RSA. Ha affermato il Presidente della Repubblica Mattarella: “è stata decimata la generazione più anziana, composta da persone che costituiscono per i più giovani un punto di riferimento non soltanto negli affetti ma anche nella vita quotidiana”.

Ma, tentando di essere obiettivi, non possiamo scordare che dapprima della pandemia, l’anziano era giudicato da molti più un problema che una risorsa. Già nel 1999 san Giovanni Paolo II scrisse: “Nel passato si nutriva gran rispetto per gli anziani e oggi? Se ci soffermiamo ad analizzare la situazione attuale, costatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è stimata e valorizzata; presso altri, invece, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l’utilità immediata e la produttività dell’uomo. Per via di tale atteggiamento, la cosiddetta terza o quarta età è spesso disprezzata, e gli anziani stessi sono indotti a domandarsi se la loro esistenza sia ancora utile. Si giunge, persino, a proporre con crescente insistenza I’eutanasia come soluzione per le situazioni difficili” (Lettera agli anziani n. 19). Dunque, in occidente ma anche in Italia, differentemente dai Paesi africani e asiatici dove l’anziano è onorato e venerato per la sua memoria storica, per la sua capacità di discernimento e per la sapienza che diffonde nella comunità, ad esempio in Giappone la giornata dedicata agli anziani è “festa nazionale”, questa categoria rientra in quella che papa Francesco ha definito la “cultura dello scarto”. Ammonì il pontefice: “Quando gli anziani sono scartati, quando gli anziani sono isolati e a volte si spengono senza affetto, è brutto segno! (…). Un popolo che non custodisce i suoi anziani è un popolo senza futuro, un popolo senza speranza”. E concluse: “L’attenzione agli anziani fa la differenza di una società” (15 giugno 2014).

Nel film l’ “Albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi (1978), ambientato in una cascina bergamasca, vivevano insieme quattro nuclei famigliari e gli anziani erano riferimenti per figli e per nipoti. Il film, pur essendo collocato tra l’autunno 1897 e la primavera 1898, descriveva un rapporto di stima e di ossequio per l’anziano, atteggiamento serbato nella nostra società fino agli anni ’60 del XX secolo quando nei nuclei famigliari si sono modificate le relazioni, e il vocabolo “anziano” ha assunto un’accentuazione negativa. E, oggi, più che mai, ritorna attuale una canzone di Domenico Modugno: “il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa. Mi dispiace ma non c’è posto, non c’è posto per carità”, essendo gli anziani un gravoso onere. La rapidità dell’invecchiamento della popolazione, l’ ampiezza dei problemi connessi, l’incapacità a livello politico di proporre delle soluzioni e la rigidità sociale, hanno trasformato la vecchiaia in un problema complesso. Nel mezzo di questa situazione societaria è giunta la Pandemia provocando, come affermato, la morte di migliaia di anziani.

Ha affermato papa Francesco: “Adesso è il momento di fare tesoro di tutta l’energia positiva che è stata investita per fronteggiare la pandemia” (21.6.2020). Per questo ci chiediamo: come investirla nei confronti degli anziani?

Recuperando un’adeguata relazione con loro, supportandoli nell’ “aggiungere più vita agli anni che anni alla vita” mediante la promozione dell’ “anzianità attiva e creativa”.

Quattro suggerimenti.

 1.Rispettare la diversità comprendendo i loro comportamenti

Ciò richiede di oltrepassare i pregiudizi e i luoghi comuni che identificano il vocabolo “vecchio” prevalentemente in chiave negativa, sinonimo di paranoico, retrogrado, arteriosclerotico, schiavo di abitudini passate, incapace di cambiamento.

Si rispetta l’anziano non ridicolizzandolo ma accogliendo le menomazioni, i cambi d’umore e i comportamenti non sempre condivisibili e comprensibili, rammentando che non tutti i gesti comunicano ciò che possiamo intendere da una lettura superficiale, nascondendo alcuni atteggiamenti un immenso desiderio di affetto poiché la tenerezza cui era abituato è scomparsa. Inoltre, nell’anziano, sono presenti le paure e molteplici timori: del dolore e della malattia, della perdita di autonomia e del gravare sui propri cari o dell’essere abbandonato, del tempo perduto e della morte. Va evitata, infine, l’abusata abitudine di rivolgersi immediatamente con un “tu”, poco accettato. Chi lo fa, nella maggioranza delle situazioni, non è mosso da una moda giacobina ma dal desiderio di familiarizzare. Però, questa modalità espressiva, può instaurare sentimenti di subalternità, di scarsa considerazione e un disagio soprattutto nella fase iniziale dell’incontro, poiché nessuno è autorizzato ad invadere la sfera personale e privata dell’altro.

2.L’ aiuto che sollecita

Chi accosta un anziano deve stimolarlo a scoprire gli orizzonti ancora aperti nella vita, a valorizzare il presente e le sue potenzialità, a sviluppare l’autostima, incitandolo a superare sia la tendenza centripeta che lo ingabbia rendendolo amorfo nei riguardi della realtà, indirizzandolo a preoccuparsi unicamente della propria situazione psico-fisica, sia la tentazione di ritenersi una “nave in disarmo”.

E’ dannoso, inoltre, sostituirsi a lui imponendo delle soluzioni o sopperendolo nelle attività che può svolgere magari lentamente. Occorre valorizzare la sua autonomia, stimolare il suo interesse e la sua sensorialità, valutare le sue capacità umane e intellettive velate da scorie che il tempo ha sedimentato. Va incoraggiato a intrattenere amicizie, a praticare interessi o hobby, a dedicarsi alla crescita culturale e sociale, a conservare l’ igiene per il corpo e la solerzia per la casa. Infine, un’ esperienza da potenziare. è il “diventare nonni”. Situazione da vivere non unicamente come un servizio di babysitteraggio o come una risorsa economica per i figli, ma come una “nuova rinascita”.

3.La speranza che incoraggia

La speranza è un motore eccezionale della vita; anche un proverbio popolare afferma che è “l’ultima a morire”. Ma, nella nostra società, incontriamo tanti pessimisti e molti delusi; ciò significa che sperare, per i più, è faticoso, soprattutto con I’avanzare dell’età. Eppure, questa virtù, è un potente antidoto alI’ ansia, allo smarrimento e all’angoscia. Chi visita I’anziano deve proporgli spazi di speranza, sostenendolo nel pensare positivamente, combattendo il pessimismo e lo scetticismo. Anche solo un volto sereno e sorridente fa trasparire ottimismo e speranza.

4.La valorizzazione delle esperienze

Accanto all’anziano siamo i testimoni e i custodi dell’ampia validità delle sue esperienze, delle sue tradizioni e della sua memoria storica che rischia di smarrirsi. Gli eventi della sua vita sono salvaguardati tenacemente e ricordati e narrati con facilità in un clima d’ascolto. Affermava il cardinale Giovanni Colombo: “Lungo l’arco dei suoi molti anni l’anziano è andato accumulando un ricco patrimonio di esperienze di lavoro e di vita. Il rapido progresso tecnico della nostra epoca può avere oltrepassato le prime, rendendole anacronistiche e quasi inservibili, ma le esperienze di vita permangono come un tesoro sempre attuale e valido” (La pastorale della terza età, Il Segno 1973), maggiormente importante in una società che con superficialità scorda il suo passato. Per questo la Bibbia avverte: “Corona dei vecchi è un’esperienza molteplice”(Sir. 25,6).

Una società indifferente alla storia e ai valori insegnati dagli anziani non potrà avere un futuro felice essendo come un albero senza radici, e papa Bergoglio aggiunge, “quando una società perde la memoria è finita” (15 giugno 2014). E, allora, la proposta di Gino Strada: “Io penso che bisognerebbe coinvolgere di più gli anziani nella politica, gli anziani sono una risorsa, bisognerebbe piuttosto portarli nelle scuole a raccontare ai ragazzi la storia del nostro Paese. Loro sono la nostra memoria e senza memoria si vive male. Anzi di più: diventa rischioso” (Corriere della Sera 19 ottobre 2019). E’ una richiesta e una proposta che trasmettiamo al ministro Lucia Azzolina che si è impegnata a inserire nel curriculum scolastico del nuovo anno “L’educazione civica”.

Se valutassimo che la vecchiaia è il naturale percorso della vita e che tutti dovremo, a Dio piacendo, affrontarla, e non vorremmo essere trattati anonimamente e quasi con disprezzo, muteremmo alcuni atteggiamenti che assumiamo nei riguardi degli anziani, incominciando dai nostri genitori.

E allora, in questa estate 2020, riserviamo un po’ di tempo agli anziani che hanno molto da insegnarci.

www.gianmariacomolli.it