1.Rispetto a quanto considerato nel precedente appunto, vi è un aspetto che merita una particolare considerazione: riguarda i tassi di abortività tra le donne straniere. Così la Relazione: «Se nel 2018 rappresentano il 30,3% di tutte le IVG, valore identico a quello del 2017 ma inferiore al 33,0% del 2014, il tasso di abortività delle donne straniere continua a diminuire con un andamento costante (14,1 per 1000 nel 2017 rispetto a 15,5 nel 2016, 15,7 nel 2015 e 17,2 nel 2014). Le cittadine straniere permangono, comunque, una popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane: per tutte le classi di età le straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte» (ivi, p. 4).
Questo dato rivela con evidenza la speciale condizione di vulnerabilità umana e di marginalizzazione sociale in cui versano la maggior parte delle donne non italiane, per le quali l’esperienza di una gravidanza continua a rappresentare un vulnus per uscire dal quale pare non esistere altra via al di fuori di quella che conduce alla IVG. Eppure, la civiltà di uno Stato non può non passare per l’adozione di un welfare finalizzato a offrire un minimo di tutele necessarie a garantire non solo condizioni di vita degna a chi vive sul territorio di quello stesso Stato, ma pure l’esercizio libero della genitorialità, per quanti decidessero di optare per la nascita, piuttosto che per la morte di un figlio.
2.Tornando al quadro generale, la Relazione pare tacere o solo timidamente accennare ad alcuni dati – parte dei quali già evidenziati in un altro articolo pubblicato su questo sito[1] – essenziali per comprendere criticamente il complesso di cause alla base del fenomeno di riduzione del ricorso all’IVG.
A incidere significativamente sulla riduzione, in termini assoluti, del ricorso alla IVG, è l’espansione costante dell’uso di farmaci abortivi: «Come già presentato negli ultimi 3 anni, il recente andamento dell’IVG potrebbe essere almeno in parte influenzato dalle determine AIFA del 21 aprile 2015 (G.U. n.105 dell’8 maggio 2015) e del 1 febbraio 2016 (G.U. n.52 del 3 marzo 2016) che hanno eliminato per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica dell’Ulipristal acetato (ellaOne), contraccettivo d’emergenza meglio noto come “pillola dei 5 giorni dopo”, e del Levonorgestrel (Norlevo), contraccettivo d’emergenza meglio noto come “pillola del giorno dopo”. I dati della distribuzione dell’Ulipristal acetato (EllaOne), forniti dal sistema di Tracciabilità del farmaco del Ministero della Salute, che rappresentano una proxy del consumo, nel 2018 continuano a mostrare un andamento crescente. Come mostrato nel grafico, i dati registrati negli ultimi 4 anni risultano: 145.101 confezioni nel 2015, 189.589 nel 2016, 224.802 nel 2017 e 260.139 nel 2018» (ivi, p. 15). La terminologia utilizzata nella relazione, a proposito dell’Ulipristal acetato (EllaOne) e del Levonorgestrel (Norlevo) appare inesatta. Si parla, infatti, di contraccettivi d’emergenza, laddove è corretto parlare di intercettivi, cioè di farmaci che agiscono impedendo l’impianto dello zigote già formato nella cavità uterina: dunque, andrebbero propriamente definiti abortivi, se vi è stata la fecondazione dell’ovulo. A parte l’aspetto terminologico, il dato che più sorprende è che si continua a far passare sotto silenzio il fatto che il numero assoluto degli aborti non sia affatto calato, se tra le pratiche volte a provocare un’IVG si considerano pure quelle attuate coi farmaci appunto intercettivi, da ritenersi abortivi a tutti gli effetti. Senza dire che il profilo di sicurezza di tali farmaci abortivi è inferiore rispetto al metodo chirurgico, con una mortalità maggiore, a parità di epoca gestazionale, senza dire che eventi avversi, associati all’impiego dell’aborto medico, esordiscono spesso a distanza di tempo dalla procedura, insorgendo subdolamente e progredendo non di rado verso esiti difficili da trattare.
3.Allo stesso modo la Relazione affronta solo superficialmente il dato relativo agli aborti clandestini, la cui piaga l’avvento di una normazione disciplinate il ricorso all’IVG avrebbe dovuto estirpare definitivamente; e che invece permane con indici sostanzialmente invariati negli ultimi anni. Infatti, l’ISS ha stimato che il numero di aborti clandestini per le donne italiane sarebbe compreso tra le 10 e le 13.000 unità, numero decisamente inferiore rispetto a quello fatto registrare negli anni precedenti, ma ancora significativamente alto se si considera che il numero complessivo di IVG effettuate nel 2018 è, come detto, pari a 76.000 unità circa e che dunque la clandestinità incide ancora per quasi il 17% sul numero di aborti ufficialmente registrati in Italia.
Se bastasse davvero una buona legge per bandire il fenomeno della clandestinità, avremmo dovuto trovarci al cospetto di una realtà differente, così come diversi avrebbero dovuto essere i dati relativi tanto agli aborti praticati oltre la 12º settimana di gestazione, il cui indice è invece aumentato[2], al pari di quelli praticati optando per la procedura d’urgenza, il cui numero è parimenti cresciuto[3]. Peraltro, negli aborti oltre le 12 settimane, si è normalmente in presenza di gravidanze, inizialmente desiderate, che si decide di interrompere in seguito a esiti di diagnosi prenatale o per patologie materne. Mentre il primo aspetto tende a ridursi nel tempo grazie alla sempre maggiore propensione a evitare gravidanze indesiderate, il secondo tende a aumentare in seguito al maggior ricorso alla diagnosi prenatale anche in seguito all’aumento dell’età materna (ivi, p. 43).
Antonio Casciano
Lug 2, 2020
L’attuazione della L. 194: gestanti straniere, “farmaci” abortivi, clandestinità – 2
[1] Disponibile all’indirizzo: https://www.centrostudilivatino.it/pubblicata-in-ritardo-la-relazione-sullattuazione-della-legge-194/.
[2] I dati relativi agli aborti praticati oltre la 12º settimana di gestazione per il 2018 sono i seguenti: «5,6% nel 2018 e 2017, 5,3% nel 2016, 5,0% nel 2015, 4,7 nel 2014 rispetto a 4,2% nel 2013 e 3.8% nel 2012», ivi, p. 42.
[3] «Nel 2018 il ricorso al 3° comma dell’art. 5 della legge 194/78 è avvenuto nel 21,3% dei casi (Tab. 18) rispetto al 19,2% del 2017, al 16,7% del 2015, al 13,4% del 2013 e all’11,6% del 2011», ivi, p. 41.