CENTRO STUDI LIVATINO – L’attuazione della L. 194: note a margine della recente relazione del Ministro della Salute – 1

1. Anche quest’anno, con considerevole ritardo, il Ministro della Salute ha presentato al Parlamento l’annuale Relazione sull’attuazione della legge n. 194/ 1978 (d’ora innanzi, Relazione), riferita all’anno 2018 e svolta a partire dal complesso di dati forniti dalle regioni al Sistema di Sorveglianza Epidemiologica delle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG), operante presso l’ISS, dati poi elaborati dall’ISTAT. La lettura della Relazione suggerisce preliminarmente la domanda sulla effettiva utilità che la disciplina sta avendo in vista del conseguimento degli obiettivi che il legislatore aveva scelto di darsi all’atto della sua approvazione: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite” (Articolo 1).

La domanda si fa pressante se si riflette su una serie di indicatori sociali – relativi al diffondersi dell’aborto farmacologico, al profilo-tipo delle donne che accedono alla IVG, all’aumento del numero degli aborti clandestini, all’incidenza dell’obiezione di coscienza del personale medico e, infine, al ruolo svolto dai consultori familiari – nella trasparenza dei quali leggere l’adesione, traversale ed acritica, a un’autentica e sempre più diffusa mentalità contraccettiva, a una cultura cioè che mira a sancire su larga scala la definitiva rottura tra il momento unitivo e quello procreativo dell’atto sessuale, alimentando tendenze che, ispirate alla deresponsabilizzazione relazionale e alla strumentalizzazione della persona, alla banalizzazione della sessualità e alla reificazione/sfruttamento del corpo femminile, stanno conducendo verso un vero e proprio abortismo libertario di massa.

2. La Relazione si apre con la conferma dell’andamento decrescente del numero di aborti praticati in Italia; si legge infatti nelle prime pagine: «In totale nel 2018 sono state notificate 76.328 IVG, confermando il continuo andamento in diminuzione del fenomeno (-5,5% rispetto al 2017) a partire dal 1983. […] Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività(N. IVG rispetto a 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia), che è l’indicatore più accurato per una corretta tendenza al ricorso all’IVG, è risultato pari a 6,0 per 1.000 nel 2018, con una riduzione del 4,0% rispetto al 2017 e del 65,1% rispetto al 1982. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale» (Ivi, p. 2).

La lettura corretta dei dati relativi al tasso di abortività impone di considerarne i relativi indici alla luce di altri due parimenti significativi: 1) il persistente calo della natalità in Italia. In particolare, dal 2017 al 2018 i nati della popolazione presente sul territorio nazionale sono diminuiti di 16.698 unità e questo incide sul calcolo del rapporto di abortività (ovvero, sul numero di IVG rispetto a 1000 nati vivi)[1]; 2) la fascia d’età, tra i 25 e i 34 anni, a cui ricollegare non solo i tassi di abortività più elevati, ma anche gli indici di fertilità femminile più elevati[2]. Se quest’ultimo dato viene poi letto in uno con quello relativo alla stato civile delle donne che fanno ricorso alla IVG (nel 2018 la distribuzione percentuale per stato civile mostra un 36,8% di coniugate e un 57,2% di nubili), al tipo di scolarizzazione delle stesse (nell’ultimo «trentennio il tasso di abortività è diminuito tra le donne con il diploma di scuola superiore o laurea [da 14 per 1000 nel 1981 a 6 per 1000 nel 2011], mentre è rimasto costante tra quelle con diploma di scuola media inferiore dal 1991 dopo un’iniziale diminuzione. Il tasso delle donne con titolo di studio basso non si è modificato nel tempo anzi, nell’ultimo anno per cui è disponibile il dato, mostra valori in aumento», ivi, p. 29), e, infine, al loro livello di occupazione (il 45,6% delle donne che hanno abortito nel 2018 risulta occupata, il 20,9% casalinga e il 10,2% studentessa), si hanno elementi sufficienti per delineare un profilo chiaro delle donne che maggiormente ricorrono alla IVG.

3. Salta agli occhi, in particolare, l’aumento, già registrato peraltro nella precedente Relazione, del numero didonne occupate che ricorrono all’IVG, quando invece nei decenni precedenti le motivazioni di ordine economico-sociale finivano per incidere pesantemente sulla scelta dell’opzione abortiva. Sempre più spesso, dunque, donne mature, vicine alla fine dell’età fertile, professionalmente affermate, magari sposate, ricorrono all’IVG, a dimostrazione della diffusione di quella mentalità contraccettiva a cui si accennava in precedenza, che privilegia di fatto la ricerca dell’affermazione personale sulla logica dell’amore come dono e servizio alla vita, in linea con i parametri dell’efficientismo performativo imposti dalla società odierna.

Antonio Casciano

30 GIUGNO 2020

L’attuazione della L. 194: note a margine della recente relazione del Ministro della Salute – 1


[1] «Le variazioni dei rapporti di abortività risentono sia delle variazioni delle IVG che di quelle dei nati, entrambe condizionate dalla presenza in Italia delle cittadine straniere, che tendono ad avere tassi di fecondità più elevati. Nell’interpretazione dei dati bisogna tenerne conto, soprattutto quando si effettuano confronti con gli anni precedenti in cui la loro presenza era minore», ivi, p. 22.

[2] Cfr. i dati del Ministero della Salute su “Età e fertilità” al seguente indirizzo web: http://www.salute.gov.it/portale/fertility/dettaglioContenutiFertility.jsp?lingua=italiano&id=4556&area=fertilita&menu=stilivita.