Probabilmente si è ecceduto nel tiro al piccione contro l’Olandese Rutte, qualificato «disinvolto opportunista». Opportunismo di cui sarebbe prova il fatto che il primo ministro olandese «pur di restare al potere si è alleato con destra, centro, ecologisti e sinistra». Ricorda qualcuno?
Al di là dell’esito del vertice di Bruxelles, una cosa sicuramente il nostro presidente del Consiglio è riuscito a portare a casa: potrà infatti esibire la foto in cui sedeva sereno (ancorché non sorridente) accanto ai grandi d’Europa: Merkel, Macron, Sánchez e Ursula von der Leyen. Per contro i «frugali» — Olanda, Svezia, Danimarca e Austria, ai quali si è aggiunta la Finlandia — sono apparsi isolati. Ancor più quando a sostegno di Giuseppe Conte (e su sua sollecitazione) è sceso in campo Viktor Orbán che a voce alta si è schierato al fianco dell’Italia puntando l’indice contro Mark Rutte da lui accusato di essere «responsabile del caos» prodottosi al vertice europeo. Poi però Orbán ha aggiunto che Rutte è colpevole ai suoi occhi di «odiare» lui e l’intera Ungheria. La prova di questa avversione consisterebbe nella pretesa olandese del rispetto dello Stato di diritto da parte del regime di Budapest. Parole dalle quali si potrebbe intendere che Orbán si aspetti una qualche «restituzione» del favore fatto oggi a Conte e ai quattro della foto. Che dire? Speriamo che nessuno abbia preso impegni in tal senso.
Il nostro presidente del Consiglio con fair play ha cercato di giustificare Rutte soffermandosi sulla imminenza di elezioni nei Paesi Bassi e sul fatto che in quella circostanza il primo ministro olandese dovrà vedersela con gli ultras sovranisti di casa sua, Geert Wilders e Thierry Baudet («Ognuno ha i suoi Salvini», ha detto Conte). Forse però questa battuta non tiene conto di due circostanze che rendono le situazioni alquanto diverse: 1) in Olanda più rigorista e allarmato della gestione disinvolta del debito pubblico nel nostro Paese è l’attuale ministro delle Finanze, cristiano democratico, Wopke Hoekstra; 2) in Italia non è per timore di Salvini che il governo rifiuta di mettere in discussione provvedimenti quali il reddito di cittadinanza o quota cento che gravano non poco sui nostri conti pubblici e hanno allarmato l’Europa. Provvedimenti di grande spesa intestati, tra l’altro, allo stesso Conte quando era a capo del governo precedente.
Quanto alle categorie mentali con le quali seguiamo questa disputa si è ecceduto, a nostro avviso, nel tiro al piccione contro Rutte qualificato da «rozzo egoista» a «disinvolto opportunista». Opportunismo di cui sarebbe prova il fatto che il primo ministro olandese «pur di restare al potere si è alleato con destra, centro, ecologisti e sinistra». Ricorda qualcuno?
C’è poi da notare che ben tre dei cinque Paesi frugali venuti allo scoperto nel vertice europeo sono guidati da socialdemocratici: la Svezia con Stefan Löfven più la Danimarca e la Finlandia con due giovani donne (Mette Fredriksen e Sanna Marin) fino a oggi considerate l’orgoglio della sinistra europea. Sarebbe forse il caso che i leader nostrani si confrontassero con questi rappresentanti di una tradizione che fa onore alla storia della socialdemocrazia. Può darsi che tutti e tre questi eredi della lunga storia che fu di August Palm e di Olof Palme siano stati contagiati dal virus dell’insensibilità sociale e dell’assenza di carità; ma può anche darsi che abbiano da fare considerazioni sui comportamenti economici del nostro Paese meritevoli di essere ascoltate.
Infine c’è qualcosa da osservare in merito al rifiuto a ogni ipotesi che l’Europa possa verificare come noi spendiamo i soldi che ci vengono prestati o dati «a fondo perduto» (ossia senza che li dobbiamo poi restituire). Ha scritto bene ieri Mario Monti su questo giornale che l’atteggiamento negoziale più proficuo non dovrebbe essere mai quello di respingere le «condizionalità» come se fossero «lesioni della sovranità nazionale». Dopodiché ha anche aggiunto che bene ha fatto Conte a sollevare il caso di Paesi come l’Olanda che si atteggiano a rigoristi ma lucrano sull’essere divenuti quasi dei paradisi fiscali. Però forse affrontare tale questione in un momento come questo – e senza l’adeguata preparazione di un dossier che possa essere discusso, trovare alleati per essere infine approvato dal Consiglio europeo – può apparire un atteggiamento ritorsivo e un po’ velleitario. Come apparì quello della Grecia allorché, nel pieno della crisi del 2015, chiese alla Germania di Angela Merkel la riparazione per i danni subiti dal Terzo Reich hitleriano nella Seconda guerra mondiale.
E visto che parliamo di Germania e della Merkel, sarebbe forse il caso di stabilizzare, per così dire, le nostre valutazioni sia sull’una che sull’altra. Certo, la cancelliera può, come tutti, aver fatto in passato scelte giuste che andavano lodate o aver preso iniziative sbagliate meritevoli di biasimo. Ma, al di là di questo, dobbiamo riconoscere che negli ultimi dieci anni qui da noi – e non stiamo parlando dei sovranisti – si è ampiamente diffuso un pregiudizio antitedesco sul quale, anche alla luce di quel che è accaduto a Bruxelles in questo weekend, varrebbe la pena di aprire una discussione.
Paolo Mieli
Corriere della Sera
20 Luglio 2020