ACI STAMPA – Dalle diocesi, i vescovi contro l’aborto farmacologico senza ricovero

E’ come diffondere con una caramella la possibilità di togliere la vita in completa solitudine

In piena estate il ministero della Salute pubblica le nuove linee guida sull’aborto farmacologico, che annullano l’obbligo di ricovero dall’assunzione della pillola Ru486 fino alla fine del percorso assistenziale e allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco fino alla nona settimana di gravidanza.

Una circolare che ha fatto discutere e il tema è stato al centro di alcune prese di posizione di vescovi italiani e da polemiche da parte del mondo “pro life. Linee guida che, secondo il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il card. Gualtiero Bassetti, costituiscono “una duplice sconfitta: per la vita del concepito e per la stessa donna, lasciata ancor più a se stessa, visto che non ne viene mantenuto nemmeno il ricovero, necessario per garantire la sorveglianza sulla sua salute”, scrive in un editoriale sul quotidiano “Avvenire” il giorno della Festa dell’Assunta. Nella stessa giornata il monito del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna affinché “non prevalga mai la logica di morte, per nessuno…Non prevalga la logica di morte quando l’interesse annulla la persona tanto che la speculazione giustifica rendere privato il bene comune. Sentiamo una sfida l’impegno di tanti per una nuova alleanza che non lasci mai sola nessuna donna, nessuna Maria, nell’interruzione di gravidanza e la aiuti a trovare tutte le soluzioni necessarie e possibili perché togliendo la vita muore, oltre che la vita stessa, sempre anche qualcosa in chi non la accoglie”.

“Legare la vita delle persone a una pillola, liberandola da ogni relazione, significa rinunciare a difendere la sua dignità”, è il commento dell’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Gian Carlo Perego. Dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, l’invito a “non spaventare le donne che possono essere mamme” suggerendo che “l’aborto sia una soluzione, mentre è un dramma e una ferita che non guarisce mai”. Da Firenze il card. Giuseppe Betori evidenzia che “non è un segno incoraggiante la logica di privatizzazione che sta dietro alle recenti modifiche normative che permettono di lasciare ancora più sola la donna di fronte al dramma dell’aborto. Farsi carico dell’altro e creare condizioni di condivisione – ha detto il porporato –  è principio che deve valere in tutte le vicende critiche dell’esistenza umana, da quella appena ricordata a quella delle tradizionali e nuove sacche di povertà e di emarginazione, fino al sempre urgente problema migratorio”.  E sempre il 15 agosto, Festa dell’Assunta, il vescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi, evidenzia che “noi cristiani, celebrando con una liturgia solenne l’Assunzione di Maria in cielo, affermiamo la vittoria della vita sulla morte e il valore inestimabile della vita stessa. Purtroppo dobbiamo constatare, con sconcerto, che chi ci governa va in direzione opposta.

Infatti – ha detto – con un atto amministrativo a cura della Direzione generale intitolato Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine, conosciuta come pillola RU 486, il Ministro della Salute ha allargato le maglie dell’interruzione volontaria della gravidanza, cioè dell’aborto, consentendola con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana di gravidanza. Il tutto presentato come una conquista di civiltà. Su questo punto è bene essere chiari. Non c’è nessun progresso umano e civile quando con l’aborto si favorisce l’uccisione di un individuo della specie umana nel grembo che lo accoglie, invece di prodigarsi per la difesa dell’essere più indifeso che ci sia. Non c’è – ha sottolineato il presule triestino – nessun progresso umano e civile quando l’interruzione della gravidanza è talmente banalizzata da essere equiparata a un semplice intervento farmacologico. Non c’è nessun progresso umano e civile quando, soprattutto con le nuove disposizioni, la donna viene abbandonata a se stessa in una solitudine sanitaria, psicologica e morale di fronte alla scelta esistenziale, tragica e pericolosa, dell’interruzione della gravidanza. Non c’è nessun progresso umano e civile quando si percorre la strada dell’aborto al posto di quella dell’aiuto alla maternità, in una situazione di preoccupante contrazione demografica che rende incerto il futuro del nostro Paese”.

“Non ho mai visto pace nel cuore di donne che hanno abortito. Solo chi come noi sacerdoti ascolta e confessa conosce questo dramma per cui tante mamme non riescono a trovar ragione. Altro che conquista di civiltà!”, scrive il vescovo di Ascoli Piceno, Giovanni D’Ercole, aggiungendo in un twitter che “difronte al crollo delle nascite, che ci ha reso Paese di vecchi, chi governa propone l’aborto, nulla facendo per incoraggiare seriamente le nascite garanzia di futuro, pensa così di fare bene alle donne mentre irresponsabilmente prepara un futuro di morte per l’Italia”.

Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio evidenzia una “decomposizione della società civile in nome di diritti” che “nascondono una concezione volontaristica della persona umana e della società sempre più individualistica ed egoistica in cui prevale la dittatura dell’utilitarismo tecno-scientifico”. Il presule chiede il potenziamento del sistema dei consultori” e la necessità di garantire “l’assistenza medico-psicologica come diritto fondamentale”. La pillola Ru486 “risponde – spiega – ad una logica efficientista-utilitarista, che induce lo Stato a risparmiare sui costi assistenziali, agevolando percorsi di completa solitudine delle donne di fronte ad una gravidanza difficile o inattesa”.

L’aborto – evidenzia in una lettera al quotidiano “Avvenire” l’Ordinario Militare per l’Italia, Santo Marcianò – è “il più grande distruttore della pace oggi”, citando Madre Teresa di Calcutta. “Neppure l’angoscia dei mesi scorsi  scrive – sembra aver riportato l’intangibilità della vita umana al centro della politica, dell’economia, della legge, della cultura”. Il presule riafferma che ogni essere umano, dal primo istante nel concepimento fino all’ultimo respiro di vita, “non appartiene a nessuno, neppure alla sua stessa autodeterminazione, ma è affidato alla responsabilità di tutti: famiglia, società, Sato, Chiesa”.

“Di fronte ad un tessuto sociale che si sta polverizzando bisogna ricuperare la consapevolezza che la nascita di un bambino è un dono per tutti e non un peso per pochi”, ha detto – l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, Renato Boccardo. Di fronte alla “bellezza e fecondità” della solennità dell’Assunta, l’invito del vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, è a riflettere sull’uso di una pillola – la Ru486 – che “diffondiamo come una caramella” anche se offre “la possibilità di togliere la vita”. E lo fa “nella solitudine più estrema!”, ha sottolineato Napolioni la mattina del 15 agosto dal pulpito della Cattedrale, richiamando alla mente di tutti “il dramma della solitudine, di chi è morto senza la vicinanza dei propri cari» nelle drammatiche settimane della pandemia che hanno colpito il nostro territorio. Con un ulteriore richiamo di responsabilità da attuare proprio di fronte al virus: la presa di coscienza che dalla nostra salute dipende anche da quella degli altri”.

Di Cesare Bolla

ROMA , 22 agosto, 2020

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