I dati sulla pandemia di Covid-19, con i contagi ogni giorno in aumento, ci hanno spesso portato a non dare il giusto rilievo alle storie umane di chi purtroppo ci ha lasciato senza poter riabbracciare i propri cari, come ha ricordato domenica scorsa anche il Papa, ma soprattutto di chi è riuscito, anche tra mille sofferenze, a uscirne fuori. E’ il caso del dottor Paolo Foglia
Paolo Foglia, medico pediatra in pensione, ma ancor oggi stimato professionista nella cittadina di Chiampo, nel vicentino. Uno di quei personaggi che in provincia contano, come il giudice, il farmacista, l’avvocato, il notaio e che necessariamente condividono il proprio privato con la cittadinanza, che vede in loro importanti punti di riferimento sociale. Paolo, sin da dopo la laurea e la specializzazione in Pediatria, con una puntata al 7° Battaglione Carabinieri “Trentino Alto Adige”, come ufficiale medico per assolvere al servizio militare, si dedica alla cura dei più piccoli, garantendo alle famiglie di Chiampo un servizio importante, che sino ad allora le obbligava a raggiungere la città di Vicenza.
Generazioni di bambini sono passate dal suo ambulatorio e sono diventate grandi attraverso i suoi ricostituenti, vaccini, pomate e sciroppi. Poi la pensione, il periodo che dovrebbe essere il più tranquillo e sereno dopo una vita professionale di impegno al servizio della comunità. Ma un imprevisto può sempre capitare e per Paolo Foglia quest’imprevisto ha il nome di Covid-19, il virus che in Italia ha colpito soprattutto il Nord. Per il medico si tratta di un contagio particolarmente virulento, che lo obbliga ad un ricovero di quasi sei mesi, tra terapie intensive, riabilitazioni e il rischio del peggio, che lo ha visto per ben tre volte in fin di vita. Ora Paolo Foglia può parlare di che cosa rimane dopo questa esperienza, nella quale ha avuto la meglio sul coronavirus, un’esperienza drammatica, ma che, sono le sue parole, “ha avuto anche risvolti positivi”:
L’intervista al dottor Paolo Foglia
L’amore del prossimo
Un pensiero particolare il dottor Foglia lo dedica agli infermieri e al personale sanitario, che, durante il lungo ricovero, lo hanno accudito, anche oltre i loro doveri professionali. “Dei veri angeli – dice – che mi hanno accompagnato durante momenti difficilissimi con amore e dedizione, sia dal punto di vista fisico, che psicologico. In sei mesi di ospedale diversi i pazienti compagni di stanza che ci hanno lasciato. E anche per me – afferma – è stata una lotta vissuta tra piccoli progressi e violente ricadute”. Un altro ringraziamento commosso va a parenti e amici e a tutti coloro, che, da lontano e con la preoccupazione che si può immaginare, lo hanno accompagnato con affetto durante il lungo ricovero.
Preghiera, medicina e arte
Nei periodi di immobilizzazione, col corpo inerte, ma la testa affollata di pensieri, “nelle preghiere ho chiesto al Signore il senso di quanto stava accadendomi e l’ho trovato nella riscoperta del rapporto con gli altri. E’ incredibile quanta gente, oltre a parenti e amici, si è informata sulle mie condizioni, ha pianto e pregato per me. Sono cose che sto sapendo giorno dopo giorno, poiché in isolamento non potevo vedere nessuno. Infine ciò che mi ha dato grinta e la voglia di farcela è stato l’amore per la mia professione e il desidero di riprendere ad approfondire la materia medica. Inoltre – sono un appassionato di arte – nelle giornate di ricovero pensavo ad alcuni quadri medievali e, in particolare, mi dava serenità visualizzare l’Annunciazione di Simone Martini e Lippo Memmi, che si trova agli Uffizi di Firenze. Percorrevo centimetro per centimetro con la mente quel dipinto, che conosco a memoria, scoprendone particolari e significati nuovi: un vero compendio, che mi dispiace non aver potuto trascrivere”.
Questa è la mia storia
“Dopo le dimissioni dall’ospedale, più di un giornalista mi ha chiesto di raccontare la mia esperienza col coronavirus – riferisce Paolo Foglia – ma io mi sono sempre rifiutato, un po’ perché gran parte del mio ricovero l’ho trascorso in uno stato di incoscienza, ma anche perché io stesso dovevo metabolizzare quanto avevo vissuto, era forse un qualcosa che volevo tenere per me. Poi quando ho sentito in radio e televisione qualcuno che ha provato a sminuire la gravità del Covid-19, mi sono deciso a raccontare la mia esperienza con il coronavorus. Ecco, questa è la mia storia”.
Giancarlo La Vella
23 agosto 2020
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