Iniziamo questo anno sociale trattando un argomento di attualità e che seguiremo con attenzione nel corso dei mesi. Riguarda una crescete anomalia presente nelle società occidentali e che si sta diffondendosi anche il Italia: l’ipocrisia del “politicamente corretto” o “politically correct”. Approfondisci l’argomento leggendo questa “Pillola di saggezza”.
Il “policamente corretto” è sorto attorno agli anni 90’ del XX secolo presentandosi come una nuova norma culturale di approccio alla diversità, con la finalità di eliminare un linguaggio pubblico offensivo e oltraggioso nei confronti delle categorie che vivevano situazioni di emarginazioni o di subalternità.
Un’idea, ovviamente più che condivisibile, ma con il trascorrere del tempo questa tendenza si è ampliata smarrendo la sua originalità, e oggi condiziona e vincola molteplici aspetti della nostra vita: il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero quindi la dialettica e il dissenso; il giudicare e lo stimare nobili e pregevoli valori e istituzioni millenarie, dalla legge naturale alla famiglia; il menzionare le realtà con il loro nome, il narrare i fatti come realmente sono accaduti, l’accogliere gli insegnamenti spesso autorevoli e attuali che il passato e la storia trasmettono.
Ammonì Papa Francesco: “Uno degli indicatori di una colonizzazione culturale è cancellare la storia per togliere la libertà di pensiero. Come a dire: ‘La storia incomincia con me, incomincia adesso, con il racconto che io faccio adesso, non con la memoria che vi hanno trasmesso’ ” (23 novembre 2017). E allora il “no”, in alcune università degli Stati Uniti (e non solo) alle discipline umanistiche valutate discriminanti o ai testi classici ritenuti misogeni o omofobi. Cosa propongono, o meglio vogliono imporre gli “illuminati” del politicamente corretto? Ad esempio, un nuovo vocabolario dove i termini non si riferiscano al sesso o alla condizione psico-fisica della persona o del lavoratore. Quindi, non più: “poliziotto” o “poliziotta” ma “agente di polizia” (police officer); non più “postino” o “postina” ma “trasportatore di posta” (mail carrier); non più “steward di volo” o “hostess di volo” ma “assistente di volo” (flight attendant)… Inoltre, è di pessimo gusto, pronunciare le parole “marito” o “moglie” sostituiti con “coniuge”, oppure “papà” o “mamma” rimpiazzati da “genitore 1” e “genitore 2”, poiché i vocaboli non devono discriminare nessuno. Basta, quindi, a “grasso” ma “uomo in sovrappeso”, a “manicomio” divenuto “un centro di salute mentale”, a “malato” che è una “persona colpita da…” e, il “paralitico”, è un “non deambulante” e, il “povero”, una “persona di modeste condizioni sociali”.
Alcuni ritengono il “problema del linguaggio” un argomento banale; non è così secondo san Giovanni Paolo che II nel Messaggio per la XIII° Giornata Mondiale per la Pace, ammonì: “Restaurare la verità significa innanzitutto chiamare con il loro nome gli atti di violenza, quali che siano le forme che assumono, mentre la cultura attuale abbindola con termini ingannevoli”. Facciamo alcuni esempi. Il termine “aborto” sta scomparendo lasciando spazio all’espressione “interruzione volontaria della gravidanza”. E’ “una sostituzione tutt’altro che innocente; è un modo elegante per creare una cortina fumogena attorno alla tragica realtà in questione. ‘Interruzione’ è un termine per nulla drammatico. S’interrompe una conversazione, una trasmissione televisiva per riprenderla poco dopo, e il carattere omicida dell’azione si dissolve dietro un termine pacifico e innocente”(L. Cicconi, La Vita umana, pg. 102). Lo stesso vale per la conclusione della vita, dove si stanno trasformando “il suicidio assistito” e l’ “eutanasia”, cioè l’uccisione intenzionale di un malato in “aiuto medico alla morte”, pur consapevoli che “aiutare a morire” significhi invece alleviare il dolore al morente, sostenerlo e confortarlo nella sofferenza e accompagnarlo nel cammino al destino eterno.
Attenzione. Le manipolazioni del linguaggio con il trascorrere del tempo modificano anche il “modo di pensare”! Ecco allora, che il politicamente corretto, partendo dal linguaggio, cela la presunzione e l’arroganza di svariate élite, affini a quelle del “1984” di Orwell, che si prefiggono di condizionare i mezzi di comunicazione, la formazione universitaria, il linguaggio della politica e delle istituzioni ma pure il cittadino nel comunicargli come deve essere, cosa deve dire, come deve comportarsi. L’accettazione di tutto ciò esime dalla fatica del ragionare e dell’esprimere giudizi etici, ma chi non condivide alcuni “dogmi odierni” dall’aborto come diritto all’ideologia gender, dall’autodeterminazione alle verità indiscutibili riguardanti l’ecologia che spesso assumono le caratteristiche di antiumanesimo, è escluso da ogni discussione essendo reputato uno scriteriato e un dissennato. Questo, oltre che condizionare il relazionarsi con sincerità e autenticità sia con gli altri sia con la società, mira ad abolire i millenari valori antropologici, umanistici e anche cristiani.
Il politicamente corretto è l’opposto del #rimaniamoliberi di cui molti si riempiono la bocca e del detto evangelico: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt. 5,37).
PER APPROFONDIRE
Per approfondire la tematica proponiamo il libro di Eugenio Capozzi “Politicamente scorretto. Storia di un ideologia” (ed. Marsilio 2018) e un video con l’intervista a Capozzi che oltre riassumere il testo risponde ad alcuni interrogativi: Chi si giova del tallone di ferro del politicamente corretto? Perché solo l’Occidente è considerato, da questa visione del mondo e si ritiene meritevole di essere distrutto? Quanto di nichilista c’è in questa ideologia? Perché le altre culture rifiutano il multiculturalismo imposto dai mezzi di informazione occidentale?
Eugenio Capozzi è professore ordinario di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Napoli «Suor Orsola Benincasa». Fa parte del comitato scientifico della rivista «Ventunesimo Secolo» e della redazione di «Ricerche di storia politica». È autore di diversi volumi.