Da qualche giorno è entrata in vigore la nuova norma sulle intercettazioni. Chiunque ora può essere spiato.
Il Fatto quotidiano ha mandato in stampa un lungo peana in favore delle intercettazioni. “Nuove intercettazioni, ecco cosa non funziona” è il titolo di un’inchiesta in cui si dà conto della grande difficoltà in cui si trovano le procure nel gestire «l’archivio digitale segreto che ospiterà tutte le conversazioni, anche non rilevanti» perché tale archivio «non funziona».
L’1 settembre è infatti entrata in vigore la riforma dell’ex ministro Orlando che, col nuovo guardasigilli Bonafede, è stata stravolta, piegando quella che voleva essere una riforma garantista (all’acqua di rose) in una norma giustizialista. Il Fatto, da un lato, si concentra sulle problematiche tecniche vissute dalle procure (che, in sostanza, non sono ancora pronte a gestire i file delle intercettazioni) e, dall’altro, lamenta che, dovendo distruggere le conversazioni irrilevanti, queste poi non potranno finire sui giornali. Bene, direte voi. Malissimo, scrivono quelli del Fatto.
«La nuova legge mira a spezzare questo circuito, vizioso evidentemente per il legislatore ma talvolta virtuoso, come insegnano numerosi casi di cronaca da Consip in giù. Spesso le conversazioni definite irrilevanti dai pm non lo erano affatto per il pubblico. Solo grazie ai giornalisti – che spesso le vagliavano con maggiore attenzione – quelle intercettazioni riprendevano vita nel dibattito pubblico».
Poiché la riforma prevede che sia il magistrato – anziché la polizia giudiziaria come voleva Orlando – a dover custodire e scegliere quali siano le intercettazioni rilevanti e quali no e a dover distruggere queste ultime, i giornalisti del Fatto temono di farsi scappare qualche “scoop”. Per questo, sempre ieri sul Fatto si ricordava in un altro articolo che «Renzi e le trame del Csm non potremo più leggerle».
Non si butta nulla
Si conferma dunque la vecchia regola: per i manettari, lo sputtanamento non basta mai. Nemmeno aver sovvertito l’idea di fondo della riforma Orlando, che era nata con l’intento di trovare un rimedio alla pubblicazione sui giornali di particolari irrilevanti con l’indagine, basta ai nostri giustizialisti.
Nemmeno basta loro che con la riforma Bonafede si possano usare le registrazioni in processi diversi da quelli per i quali sono state autorizzate (come ha detto Giandomenico Caiazza: «Ti autorizzo per il reato A, ma se scopri anche B e C prendi pure, non si butta nulla»). Nemmeno basta loro che grazie a Bonafede ora l’uso dei trojan horse (captatori informatici che entrano nei telefoni e ci spiano in tutto e per tutto) sia stato esteso dai reati di mafia e terrorismo a quelli contro la pubblica amministrazione commessi da chiunque svolga un pubblico servizio.
Intercettateci tutti
E chi svolge un pubblico servizio? Praticamente, chiunque.
«Sono molte ed eterogenee le categorie professionali i cui appartenenti sono considerati incaricati di pubblico servizio: le guardie giurate, i custodi dei cimiteri, i bidelli delle scuole, gli autisti dei mezzi pubblici di trasporto, i portieri di beni immobili di proprietà dello Stato, i medici di famiglia, i dipendenti delle ASL, gli infermieri degli ospedali, i meccanici delle motorizzazioni, i postini e gli impiegati degli uffici postali, i farmacisti, i conduttori dei programmi televisivi, i sacerdoti, i gestori degli stabilimenti balneari, gli impiegati delle delegazioni dell’Aci per la riscossione delle tasse automobilistiche, gli ausiliari del traffico, i dipendenti dei consorzi agrari, gli esercenti l’attività di soccorso stradale con i loro carri attrezzi, i dipendenti di Trenitalia, i tecnici delle compagnie telefoniche, gli operatori degli obitori, i dipendenti delle ricevitorie del lotto, e molti altri».
Come ha scritto Mattia Feltri in un bell’articolo sull’Huffington Post:
«E, insomma, sorrido ai barricadieri della mascherina nella settimana in cui è entrata in vigore la norma sui trojan, i malware inoculati nei telefonini che consentono intercettazioni ventiquattro ore su ventiquattro, mentre siamo in bagno o facciamo l’amore, a dispositivo acceso o spento, ogni nostro file, ogni nostra foto, ogni nostro sms, ogni nostro piccolo indicibile messo a disposizione della nostra spia e del nostro giudice. Ora intercettateci tutti, dicevano tempo fa i farfalloni dell’onestà: eccoli accontentati».
Oggi chiunque di noi può essere ascoltato 24 ore su 24. Avete presente il film Le vite degli altri? Come ha scritto Cataldo Intrieri su Linkiesta «i cittadini della Ddr godevano di una maggiore riservatezza ai tempi della Stasi».
Redazione
10 settembre 2020