La scoperta è stata fatta da due team di ricercatori europei. Alla guida di uno dei gruppi c’è il palermitano Giuseppe Balistreri. Per infettare le cellule, Sars-CoV-2 sarebbe in grado di utilizzare il recettore neuropilina, presente in molti tessuti del corpo umano.
Che Sars-CoV-2 si leghi al recettore ACE2 per aprire la porta principale delle cellule e iniziare a replicarsi nell’organismo è noto. Ma secondo due nuovi studi c’è un’altra “serratura” che potrebbe garantire al virus l’accesso a numerosi tessuti, cervello incluso. Si tratta di una proteina presente sulla superficie cellulare, chiamata neuropilina-1 (NRP1). E Sars-CoV-2 non è l’unico virus a usare la neuropilina per entrare nelle cellule. La scoperta è stata fatta da due team di ricercatori europei, che lavorano in modo indipendente. Tra loro c’è il palermitano Giuseppe Balistreri, 42 anni, dal 2017 professore aggiunto di Virologia molecolare all’Università di Helsinki, in Finlandia. Gli studiosi hanno individuato quale parte del virus si “attacca” al recettore NRP1 (e questo rappresenta un possibile nuovo bersaglio per farmaci antivirali) e verificato che esiste un anticorpo in grado di interrompere il legame, riducendo potenzialmente l’infezione. I due lavori sono stati pubblicati in preprint sul server bioRxiv: il primo (diretto da Balistreri e da Mikael Simons dell’Università Tecnica di Monaco) è consultabile all’indirizzo bit.ly/2C1nKk4; il secondo all’indirizzo bit.ly/2UE2pDJ.
Professor Balistreri, ci parli dello studio di cui è co-autore.
«Gli esperimenti sono stati condotti in quattro laboratori, tra Finlandia, Germania, Inghilterra e Australia. Tutto è partito da un’osservazione: quando il nuovo coronavirus è stato isolato e descritto nella sua sequenza genetica ci si è resi conto che qualcosa non tornava. Sars-CoV-2 contiene nel suo genoma un “pezzo” in più, una sequenza di amminoacidi in realtà ben nota ai virologi perché comune ad alcuni tra i più devastanti virus che colpiscono l’uomo, anche se per il resto sono parassiti completamente diversi tra loro: Ebola, HIV, ceppi altamente patogeni di influenza aviaria, Zika e persino un altro coronavirus, MERS, che non usa il recettore ACE2. MERS è molto piu letale di Sars-CoV-2 ma per fortuna, per il momento, non si è diffuso nel mondo».
Che cos’è la neuropilina?
«Un recettore cellulare presente in molti tessuti del nostro corpo, al contrario dell’altro recettore di Sars-CoV-2, ACE2 che, pur avendo un’affinità alta per il virus, non è così diffuso nelle cellule (GUARDA L’IMMAGINE). Per dimostrare il coinvolgimento della NRP1 nell’infezione virale, abbiamo utilizzato delle cellule umane prive di entrambi i recettori e poi, con tecniche di ingegneria genetica, abbiamo introdotto il recettore neuropilina-1 e messo le cellule a contatto con il coronavirus. L’infezione si è verificata. La neuropilina si trova nella parte esterna delle nostre cellule e, come dimostrato dal secondo studio, si lega a un tratto laterale della spike, la proteina-uncino del virus. Invece ACE2 si “incastra” con la parte superiore della proteina virale (GUARDA L’IMMAGINE). Se i recettori sono entrambi presenti, come avviene in alcune cellule delle vie respiratorie, la potenza infettiva del coronavirus si esprime al massimo grado».
In che modo la neuropilina potrebbe aprire l’accesso al cervello?
«Per simulare l’arrivo del virus nelle prime vie respiratorie, abbiamo costruito una nanoparticella sintetica della stessa forma e dimensione di Sars-CoV-2 e rivestita da pezzi di proteine, peptidi, che si legano alla neuropilina. Quando l’abbiamo inserita nel naso di topi anestetizzati il risultato è stato sorprendente: due ore dopo le nanoparticelle erano arrivate al cervello, prima nel bulbo olfattivo e da lì alla corteccia celebrale. Come sappiamo, l’ingresso del virus nel corpo umano avviene anche dal naso e un possibile target sono i neuroni dell’olfatto. Quelli presenti nel naso sono neuroni particolari perché si riproducono per tutta la vita: prova ne è che se perdiamo l’olfatto (per esempio per Covid) poi lo riacquistiamo. Le cellule progenitrici di questi neuroni sono in grado di ricostruire l’assone che collega naso e cervello, dunque tra i due organi esiste una strada diretta che il virus potrebbe utilizzare. A sostegno di questa possibilità, una svolta importantissima dello studio è avvenuta ad aprile, quando, grazie al dottor Simons, la Germania ci ha dato il permesso di analizzare le autopsie di alcune vittime di Covid. Abbiamo trovato la presenza del virus non solo nelle cellule dell’epitelio nasale, ma anche nei progenitori dei neuroni dell’olfatto. Queste cellule progenitrici esprimono alti livelli di neuropilina-1: un campanello d’allarme importante, soprattutto considerando che tra i sintomi di Covid, in alcuni pazienti, si sono riscontrati anche disturbi neurologici».
Esiste un metodo per bloccare il legame tra il virus e la NRP1?
«In teoria più di uno. Noi abbiamo isolato un anticorpo nei topi: bloccando la neuropilina con questo anticorpo, l’infezione in cellule umane si è ridotta del 40-45% perché al virus è rimasta solo una possibilità di accesso alle cellule, quella rappresentata da ACE2. Non siamo però di fronte a una nuova cura contro Covid: bloccare la neuropilina potrebbe avere dei gravi effetti collaterali sull’uomo, dunque un’eventuale terapia basata su questo meccanismo andrebbe valutata con la massima cautela. L’altra opzione, che si evince dal nostro studio, è quella di bloccare la sequenza del virus che si lega a NRP1: un obiettivo interessante, dato che si tratta di una sequenza immutabile. Questo è un punto davvero importante della scoperta».
Ci spieghi.
«Dopo che il virus è entrato nelle cellule e inizia a moltiplicarsi, un enzima cellulare, la furina, effettua una piccola incisione nelle proteine superficiali, le spike dei nuovi virioni. Questo taglio della spike avviene proprio all’altezza della sequenza di cui ho parlato e “prepara” la superficie del nuovo virus al successivo ciclo di infezione. Ed ecco il tallone d’Achille: per poter tagliare le proteine, la furina deve riconoscere una sequenza specifica che il virus non può cambiare, altrimenti il taglio, e quindi l’attivazione del virus, non avverrebbe. Si tratta dello stesso identico fenomeno che avviene durante la maturazione di alcuni ormoni umani che si legano alla neuropilina. La sequenza di taglio di questi ormoni è la stessa: si chiama “sequenza di taglio della furina”. Potremmo ipotizzare che tutti i virus le cui proteine di superficie sono attivate dal taglio della furina abbiano copiato la strategia usata da alcuni ormoni umani per legarsi alle cellule».
Come proseguirà il vostro lavoro?
«La scoperta è appena stata revisionata da parte di una rivista scientifica che ne ha giudicato i contenuti e la rilevanza medico- scientifica. Il lavoro dovrebbe essere pubblicato a breve. In futuro la nostra ricerca si concentrerà su due fronti: validare il potenziale medico di questo nuovo recettore virale e testare una nuova classe di molecole che abbiamo ingegnerizzato per bloccare il legame tra il virus e la neuropilina, limitando al minimo i possibili effetti collaterali. I risultati preliminari in laboratorio sono straordinari, non solo per Sars-CoV-2, ma anche per altri importanti virus umani per i quali al momento non esistono cure. Dovremmo avere le prime conferme in vivo tra qualche mese».
Laura Cuppini
Corriere della Sera
23 Settembre 2020