PROVITA&FAMIGLIA – La dura realtà dell’aborto dalle parole di una donna

By 24 Settembre 2020Articoli Bioetica 2018

«Mi sembra che molti oggi parlino di donne e aborto senza conoscere davvero l’impatto profondo che questa esperienza ha su di loro».

È proprio vero. Quando si pensa a questo tema vengono sempre in mente i vari slogan di partiti che associano tale pratica a una scelta di libertà che non ha la benché minima conseguenza sulla vita di una donna, se non quella di liberarla da un problema e di avvalersi di un suo “diritto”.

Questa è la narrazione politically correct. Ma non c’è solo questa. C’è anche il racconto di donne che hanno abortito e, dopo tanta sofferenza, hanno voluto testimoniare la loro esperienza, affinché altre donne potessero farne tesoro prima di compiere un simile passo.

Franca Franzetti, dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII Servizio Famiglia e Vita, operatrice del Numero verde per le maternità difficili, racconta su Avvenire la sua esperienza al fianco di «donne in conflitto per una maternità inattesa».

«Posso dire che è in nome di una falsa libertà che la donna è lasciata sola nel momento più delicato in cui avrebbe bisogno di trovare uno spazio dove essere ascoltata e aiutata a prendere consapevolezza del figlio che sta crescendo dentro di lei», spiega.

Non sono pochi i casi in cui le donne si accingono all’aborto sole, senza nessuno che offra loro alternative, che spieghi a cosa possono andare incontro, che parli loro dei rischi alla salute fisica e psichica a cui questa pratica espone, che tenda la mano per un aiuto concreto.

«Tante volte ho sperimentato che – con l’ascolto profondo e una reale condivisione delle problematiche – preoccupazioni e paure si ridimensionano e la donna trova fiducia in se stessa e forza per far nascere il suo bambino e non farsi del male. L’aborto infatti, oltre a spegnere la vita del piccolo, è un evento traumatico anche per la mamma che porta questa sofferenza nel silenzio e nella solitudine perché non è un dolore socialmente riconosciuto e accolto».

Dove finiscono, infatti, i sostenitori di questa pratica, sedicenti paladini della “libertà” delle donne, una volta che queste rimangono sole a fare i conti con i traumi post aborto? Di loro non v’è più traccia, hanno raggiunto il loro scopo. Ad ascoltare il dolore di queste donne, senza giudicarle, ma aiutandole a guarire da questa ferita, sono invece tante associazioni pro life.

L’operatrice dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII riporta la testimonianza di Patrizia: «Sono la mamma del piccolo Giovanni: 11 settimane e 4 giorni dopo il concepimento e poi basta. Solo 3 giorni mi separavano dal non poter più decidere che Giovanni sarebbe stato un problema. Sì, perché la legge, giusta per noi donne – così pensavo –, quella che ci permette di essere libere dai ‘problemi’, dice che 11 settimane e 4 giorni non sono vita. Che strano, però… Io una volta, una sola volta ho parlato con Giovanni, che non era vita ma mi aveva fatto venire uno strano svenimento e la nausea, tipico malessere della vita che una donna porta in grembo. Che succede, Giovanni? Perché ti ribelli? Perché mi fai venire un mancamento? Perché la nausea? Scusami piccolino, dissi in bagno a Giovanni, non posso, non posso… Così – era il 2002, giugno – ti ho fatto andare via: saresti nato a dicembre, come Giacomo, tuo fratello maggiore. Troppi impegni, il lavoro, i soldi, la casa, la baby sitter… non potevo, no. Due figli costano sacrificio, ne stavamo facendo di enormi io e il babbo, tu non eri nei nostri piani, adesso… dopo semmai, adesso no. Avevo tanta fretta di eliminare questo ‘problema’, e non avrei permesso nessuna interferenza.

Pensandoci… nessuno ha interferito. Bene. Sono una donna libera di decidere chi e quando far nascere. Se decido che adesso Giovanni non deve nascere, lo farò. Nascerà un’altra volta… magari quando il lavoro si sistema, la casa diventa grande e il fratellone sarà più autonomo. Giovanni, adesso saresti un ragazzo di 19 anni. Mi abbracceresti, lo so… Mi consoleresti e piangeremmo e rideremmo delle difficoltà come facevamo con tuo fratello, Giacomo il maggiore, che un cancro ha portato via. Rideremmo dei problemi che allora sembravano insormontabili… Qualcuno ti avrebbe accudito da piccolo, Giovanni. Ci saremmo stretti nella cameretta, qualcuno ci avrebbe aiutato a pagare le bollette. Tutto passa, i problemi si risolvono, Giovanni. La mamma, te lo prometto, aiuterà come potrà altre mamme, che per paura non conosceranno mai il volto del loro bambino, come io non conosco il tuo. Chi potrà mai ricucire questo strappo al cuore? Perché non guarirà mai, non si dimenticherà una vita che stava crescendo dentro te. Troppo tardi ho capito che dare la vita è la cosa più grande al mondo, che sconfigge ogni difficoltà. E questo Dio lo sa… Sì, Dio lo sa».

Lucia Scalise

24 settembre 2020

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