Dal primo gennaio è obbligatorio imbustare frutta e verdura acquistata nei supermercati in sacchettini di plastica biodegradabile forniti a pagamento. Ma ambientalisti, consumatori e industriali la pensano tutti in modo diverso
Alcuni l’hanno già chiamata “tassa sulla spesa”.
E in effetti così parrebbe l’obbligo, scattato dallo scorso primo gennaio, di imbustare frutta e verdura acquistata nei supermercati solo in sacchetti di plastica biodegradabile “nuovi” e forniti a pagamento. La precisazione non è casuale: accanto all’obbligo dei supermercati, c’è anche un altro obbligo, imposto ai consumatori, di non portarsi da casa sacchetti biodegradabili usati. Tutto è contenuto nel DL Mezzogiorno e precisamente nell’articolo 9-bis della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017. Le regole appaiono piuttosto chiare, in ogni caso il ministero dell’Ambiente ha inviato una lettera al sistema della grande distribuzione organizzata, alla quale si sono aggiunte poi delle precisazioni da parte di quello della Salute.
Dal primo gennaio è obbligatorio infilare frutta e verdura acquistata nei supermercati solo in sacchetti di plastica biodegradabile che dovranno essere pagati (si tratta dei sacchettini bianchi che fino a pochi giorni fa erano forniti gratuitamente); oltre a questo, è vietato il riutilizzo delle buste biodegradabili per motivi igienico-sanitari. Ugualmente è vietato mettere in una sola busta prodotti ortofrutticoli diversi. Questo all’interno del supermercato. C’è da immaginare, quindi, che tutto invece possa avvenire appena fuori i centri commerciali e i punti vendita (con tanto di travasi di prodotti nelle borse casalinghe).
Il ministero della Salute ha precisato però di non essere contrario “al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti”. Le prime indicazioni circolate vietavano di portare dalla propria abitazione i sacchetti per riporre l’ortofrutta fresca acquistata ed evitare così di acquistarne altri. Occorre, però, fare attenzione. Il ministero dalla Salute, infatti, vieta sempre il riuso dei sacchetti per motivi igienico-sanitari. E i titolari dei supermercati devono sorvegliare sul comportamento corretto dei loro clienti. Intanto sul web impazza la polemica, con tanto di prese in giro con la frutta etichettata pezzo per pezzo per evitare i sacchettini.
L’obiettivo è condivisibile – diminuire il più possibile l’uso di plastica -, il percorso per raggiungerlo lascia perplessi molti e ha del contraddittorio. Da un lato, infatti, si vuole ridurre l’uso della plastica, dall’altro si vieta il riuso della plastica biodegradabile. Il tema è solo apparentemente banale ed ha già prodotto schieramenti netti: da un lato gli ambientalisti, dall’altro alcune associazioni dei consumatori. Senza contare la deriva di polemica politica; c’è chi infatti vede dietro questa norma, un favore fatto ad aziende i cui vertici sarebbero legati a filo doppio al centrosinistra.
Stando ai calcoli già fatti, comunque, la “tassa sulla spesa” dovrebbe pesare dai due ai dieci centesimi per busta utilizzata. Parte del ricavo dovrà essere versato dai supermercati allo Stato sotto forma di Iva e di imposte sul reddito. Per chi sgarra ci sono le multe. I supermercati che usano ancora buste non biodegradabili rischiano multe da 2.500 euro a 25.000 euro e fino a 100.000 euro se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica oppure se il valore delle buste fuori legge è superiore al 10% del fatturato del trasgressore.
Ed è naturalmente sul costo dei sacchetti che pare crearsi la spaccatura fra ambientalisti e consumatori. Il Codacons ha già parlato di una “stangata sulle famiglie”. A conti fatti l’associazione indica un aggravio di spesa annuo dai 20 ai 50 euro per nucleo familiare. Si tratta, ha tuonato il presidente Carlo Rienzi, “di una vera e propria tassa occulta a danno dei cittadini italiani che non ha nulla a che vedere con la giusta battaglia in favore dell’ambiente”. Più sfumata Legambiente il cui direttore generale, Stefano Ciafani, ha spiegato che l’innovazione “ha un prezzo” e che è “giusto che i bioshopper siano a pagamento, purché sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2/3 centesimi a busta. Così come è giusto – ha continuato -, prevedere multe salate per i commercianti che non rispettano la vigente normativa”. Per Assobioplastiche (l’Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili), i sacchettini di plastica biodegradabile costituiscono la “naturale conclusione di un percorso virtuoso nel settore della bioeconomia e dell’economia circolare che fa dell’Italia un modello per tutta l’Europa”.
Poi ci siamo tutti noi, quelli che vanno a fare la spesa al supermercato. Che non la pensano poi tanto male. Da un’indagine Ipsos, infatti, il 71% degli intervistati prevede una spesa notevole ma solo il 28% è davvero contrario alle nuove regole.
La “nuova tassa” è ben accetta, servirà ad abbattere davvero il consumo di plastica e a migliorare l’ambiente. Il 58% degli intervistati si è detto favorevole alla legge.
D’altra parte che qualcosa occorra fare ne sono consapevoli tutti. Sembra che in Europa ogni anno siano consumati cento miliardi di sacchetti di plastica (Fonte: EPA), e che una buona parte di questi finiscano in mare e sulle coste. Una situazione non più sostenibile che vede però l’Italia fra i Paesi più virtuosi visto che dal 2011 abbiamo una legge contro gli shopper non compostabili.
Andrea Zaghi
Sir, 4 gennaio 2018