“Ho paura di una guerra nucleare, siamo al limite”, ha dichiarato Papa Francesco in volo per il Cile, ieri. Due giorni prima, un milione e mezzo di uomini e donne, nelle Hawaii, ha creduto che l’incubo atomico si stesse materializzando.
Un falso allarme, durato la bellezza di 38 minuti, ha fatto correre tutti nei rifugi, per poi essere smentito con mille scuse dalle autorità locali.
Alle 8 del mattino, il messaggio fatidico è giunto sulle Tv, le radio e i cellulari di tutti i cittadini delle isole americane del Pacifico: “Minaccia di missili balistici in arrivo sulle Hawaii. Cercate immediatamente rifugio. Questa non è un’esercitazione”. Chi ha potuto, è subito corso in un rifugio, chi non ha avuto questa possibilità, ha cercato una zona sicura della propria casa. Il deputato Matt LoPresti si è rifugiato nel bagno del suo appartamento. Nel periodo dell’allarme ha recitato preghiere assieme alla famiglia. Chi era per strada, quando ha ricevuto il segnale di allarme, spesso ha fermato l’auto e ha informato i passanti ignari del pericolo imminente. Una studentessa universitaria riferisce di essersi comportata come in caso di allarme tsunami. Ha svegliato la figlia e l’ha mandata in bagno a riempire la vasca in modo da avere una riserva d’acqua (in caso di attacco nucleare, l’acqua corrente diventa inutilizzabile, perché rischia di essere contaminata). Un golfista ha inviato un videomessaggio alla sua famiglia, dicendo loro che avrebbe passato i suoi probabili ultimi minuti di vita giocando. Chi aveva parenti lontani, su altre isole, ha subito inviato messaggi urgenti, sollecitandoli a trovare rifugio. Chi aveva parenti negli Stati Uniti continentali o all’estero, ha approfittato di quella mezzora di vita per rivolgere loro un ultimo saluto.
A due giorni di distanza da questo incubo, sappiamo che si è trattato di un errore umano. Un dipendente della Ema (Agenzia per la Gestione delle Emergenze) si è sbagliato per ben due volte di fila durante un’esercitazione. Un errore che dimostra una distrazione rara. Non si tratterebbe di dolo, ma proprio di un errore. Il dipendente dell’agenzia, avrebbe cliccato “sì” a entrambe le domande di controllo che il software gli stava sottoponendo, rendendo pubblico un messaggio di allarme che avrebbe dovuto essere di uso interno, per un’esercitazione. Non è stato licenziato e neppure degradato. Il portavoce della Ema dichiara alla stampa che ora il suo dipendente “si sente male” per quanto accaduto e necessita di un periodo di ri-addestramento. Questo allarme era rivolto ai civili e non ai militari, dunque, fortunatamente, non avrebbe potuto far scattare una rappresaglia ingiustificata. Tuttavia la vicenda si presta a numerose riflessioni.
La prima è la mancanza di responsabilità nelle burocrazie contemporanee. Sulla National Review, l’editorialista John Fund, figlio di un ufficiale dell’Aviazione dell’epoca della Guerra Fredda, ricorda: “Mio padre servì in Aviazione per vent’anni, chiunque avesse commesso un errore simile sarebbe stato degradato o radiato, assieme ai suoi superiori, come Miyagi (responsabile dell’Ema alle Hawaii, ndr) che non ha messo in pista sufficienti salvaguardie per prevenire un errore di queste dimensioni. Questo rigore nel chiedere conto delle responsabilità, mi sembra il modo migliore per ricominciare a ‘rassicurare l’opinione pubblica’”. Anche la leggerezza con cui è stato affrontato l’errore a posteriori, è un “segno dei tempi”. La burocrazia tende a giustificarsi e assolversi, anche quando rovina la vita al popolo che dovrebbe servire.
Il secondo aspetto che colpisce di questa vicenda è la reazione della popolazione. Contrariamente ai film catastrofici, non c’è stato alcun collasso della civiltà (con uccisioni, risse e saccheggi). Vuoi pregando, vuoi con fatalismo, vuoi applicando regole apprese in altre emergenze, gli hawaiani si sono preparati al peggio in modo ordinato e dignitoso.
Il terzo aspetto, collegato al secondo, è che tutti hanno preso sul serio l’allarme. Questo, per tornare alle parole del Papa, vuol dire che la minaccia di guerra nucleare è percepita come concreta. Almeno negli Stati Uniti. Almeno in quell’area degli Stati Uniti maggiormente esposta alla Corea del Nord e ai suoi nuovi missili. Se un allarme simile venisse ricevuto, per fare un esempio, qui in Italia, quanti lo prenderebbero sul serio? Pochi o nessuno? Perché noi non abbiamo mai sentito parlare di una minaccia nucleare concreta al nostro paese almeno fin dalla fine della Guerra Fredda. Oggi il pericolo di una guerra termonucleare globale non è più concreto, da più di vent’anni. Ma la possibilità che scoppino guerre nucleari regionali, alimentate dalle nuove potenze atomiche più imprevedibili (come la Corea del Nord), fa sì che milioni di persone siano a rischio. Come negli anni peggiori della Guerra Fredda.
Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiana, 16 gennaio 2018