A dare ad oltre mille ragazzi una visione a senso unico sulla sessualità umana, sulle malattie sessualmente trasmissibili e sui metodi anticoncezionali come soluzione alla loro diffusione è stata Arcigay Pisa, che ha persino guidato un dibattito seguito alla visione del film Normal Heart, sulla diffusione dell’Aids a New York negli anni Ottanta.
Come mai in una scuola che dovrebbe essere laica, e quindi plurale, è stato consentito ad un’associazione, promotrice di un’ideologia come quella del gender (e le cui idee su un argomento delicatissimo e importante come questo sono contestabili e comunque non condivise da tutti), di parlare a migliaia di giovani, come se questi fossero in grado di discernere pienamente da soli i contenuti di un pensiero quantomeno sovversivo e rivoluzionario?
A stabilire il programma dell’autogestione dell’8 e 9 gennaio scorsi, presso il liceo scientifico statale Ulisse Dini di Pisa, la più grande scuola superiore della provincia, sono stati i rappresentanti degli studenti, i quali, come da regolamento, lo hanno presentato al Consiglio di Istituto (Cdi). Quest’ultimo non potendo entrare nel merito dei contenuti doveva però vigilare sui requisiti formali dei relatori esterni e sulla natura delle associazioni invitate. Per questo, quando il programma è stato presentato al Cdi, un genitore ha fatto giustamente notale l’inopportunità di lasciare che il tema venisse trattato solo da Arcigay, chiedendo che il dialogo si svolgesse almeno alla presenza di altri professionisti in grado di garantire un equilibrio. Peccato, che nonostante il regolamento, nessun membro abbia preso in considerazione la richiesta, lasciando piena libertà di azione all’associazione Lgbt.
Nei giorni dell’autogestione il Comitato “Famiglia, Scuola, Educazione” è intervenuto con le stesse motivazioni di chi si era opposto all’iniziativa nel Cdi, spiegando in un comunicato la scandalo che “a salire in cattedra sia un’associazione omosessualista come l’ “Arcigay”, specialmente “su un tema tanto delicato e sensibile come l’educazione sessuale. I genitori ritengono, infatti, che la trattazione di tematiche riguardanti l’educazione alla sessualità non possa limitarsi alla promozione dei meri “tecnicismi” per evitare gravidanze indesiderate e malattie infettive ma debba necessariamente includere aspetti di affettività e di accoglienza della vita intesa come valore primario e intangibile. L’associazione “Arcigay” non solo non fornisce alcuna garanzia di attenzione a questi fondamentali aspetti, ma è portatrice di una visione quantomeno parziale della sessualità umana”.
C’è poco da sorprendersi, però, perché purtroppo quello che è accaduto al Dini è solo la conseguenza di una visione bacata dell’educazione ereditata dal Sessantotto, quando si cominciò a teorizzare l’assoluta libertà di scelta e di autodeterminazione dei giovani per cui bisognava fornire una visione “neutra” degli argomenti, vietando quindi proposte che offrissero un’ipotesi di verità da verificare. Peccato che questa via di presunta neutralità e di libertà senza vincoli della persona sia servita proprio al contrario. Ossia a plagiare i giovani al solo pensiero ammesso oggi, il relativismo, senza fornire loro uno strumento di verifica di esso e quindi facendo credere loro che non esista alcuna oggettività (un bene ed un male) a cui scegliere o meno di aderire. È per questo che di fronte alla proposta del rappresentante degli studenti di invitare Arcigay il Cdi ha taciuto e per lo stesso motivo sarà difficile, un domani, impedire ad “esperti di pornografia” di entrare a scuola se così decidono alcuni alunni.
Si comprende così quanto sia falsa l’autodeterminazione che negando il bisogno del giovane di ricevere una proposta chiara da verificare, lo lascia solo, senza strumenti critici, davanti alla visione della maggioranza (attualmente pansessualista e contro natura). Motivo per cui oggi, tutto viene ammesso nelle scuole tranne che una proposta che pretenda di offrire una verità e una falsità rintracciabili nella realtà e nell’esperienza della ragionevolezza comune di ogni uomo.
Pertanto, se questa è la condizione della scuola, per cambiarla non è più possibile condurre una battaglia sulla libertà di scelta e di educazione senza chiarire cosa sia la libertà e cosa significhi educare. Dunque, anche in merito al caso pisano, non è sufficiente sostenere che ciascuno debba essere libero di insegnare ed apprendere anche visioni differenti da quella dell’Arcigay. Bisogna tornare a giudicare (insegnando a farlo) se la proposta di Arcigay (e qualsiasi altra) sia degna o meno di entrare nelle scuole e quindi bisogna ritornare a chiedersi se sia credibile la possibilità di un’autoeducazione davvero libera dei giovani in mancanza di adulti che propongano loro una strada realmente provabile dalla ragione umana. Altrimenti li lasceremo in balia di una mentalità dominante che, fino a prova contraria dei laicisti che hanno combattuto la proposta cristiana, pur sorgente della nostra civiltà, li ingloba in sé senza possibilità di essere vagliata e criticata prima di essere assunta come valida.
Benedetta Frigerio
La Nuova Bussola Quotidiana, 11 gennaio 2018