Gli ultimi dati sugli aborti mostrano l’impressionante trend di crescita nel consumo di farmaci «del giorno dopo» o «dei cinque giorni dopo». Un fenomeno educativo e sociale da capire.
Continua ad aumentare la forbice fra i trend degli aborti volontari (che diminuiscono) e dell’acquisto di pillole potenzialmente abortive (sempre in rialzo). Secondo i dati resi noti l’11 gennaio dal Ministero della Salute, infatti, nel 2016 mentre il numero di interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) è stato pari a 84.926, il 3,1 per cento in meno rispetto al 2015, le vendite di Ulipristal acetato (EllaOne), la cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo, hanno raggiunto quota 189.589: 145.101 erano le confezioni distribuite nel 2015, 16.797 nel 2014, 11.915 nel 2013 e 7.796 nel 2012. «L’andamento di questi ultimi anni, come già presentato lo scorso anno – si legge nella relazione del Ministero –, potrebbe essere almeno in parte collegato alla determina Aifa del 21 aprile 2015 che elimina, per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica».
Il rialzo riguarda anche la cosiddetta pillola del giorno dopo, il Levonorgestrel (Norlevo), disponibile in farmacia anch’esso senza prescrizione medica: 214.532 le confezioni vendute nel 2016, 161.888 quelle del 2015. Il trend in continua crescita nasconde però un imprecisato numero di aborti, numericamente non tracciabile, che è vissuto dalle donne in completa solitudine, e soprattutto senza consapevolezza. «La contraccezione d’emergenza per molte giovani donne rischia di essere adottata come metodo contraccettivo ordinario – spiega il farmacologo Mario Eandi –. Si deve sottolineare che i rischi di un uso prolungato della pillola del giorno dopo, identificata oggi prevalentemente con l’ulipristal, non sono ancora completamente documentati ». Come indica anche la scheda tecnica, «la somministrazione ripetuta di EllaOne durante uno stesso ciclo mestruale non è consigliabile, dal momento che la sicurezza e l’efficacia di EllaOne in queste circostanze non sono state ancora studiate». «Il profilo di sicurezza di ulipristal nella contraccezione d’emergenza – precisa Eandi – è stato descritto dal report 2014 di farmacovigilanza condotto su oltre un milione di donne che ne hanno fatto uso: un totale di 553 donne hanno manifestato 1.049 reazioni avverse al farmaco. La gravidanza indesiderata è stata registrata in 282 casi (26,9%); nausea, vomito, dolori addominali in 139 casi (13,3%); cefalea, vertigini in 67 casi (6,4%); metrorragia, ritardi mestruali e gonfiori e dolori della mammella in 84 casi (8,0%)». Includendo anche i casi riportati negli studi clinici, «il totale delle gravidanze è risultato pari a 376; 232 (62%) con esito noto: 28 nati vivi (29 neonati), 34 aborti spontanei, 151 aborti in- dotti, 4 gravidanze ectopiche e 15 gravidanze in corso al momento del report».
Le donne spesso «non hanno consapevolezza di quello che stanno facendo, non conoscono gli effetti collaterali e non sanno che si tratta di una pillola abortiva, che non provoca solo un blocco dell’ovulazione ma un’alterazione a livello dell’endometrio – rimarca Cleonice Battista, ginecologa del Campus Bio-Medico di Roma – . Ecco perché è fondamentale educare i ragazzi a stili di vita volti al benessere e alla salute, e sensibilizzarli sul fatto che la sessualità dev’essere collocata all’interno di un progetto di vita. Persino l’Oms ora parla non più di educazione sessuale ma olistica: è emerso chiaramente che la massiccia campagna per l’uso del profilattico non ha fatto diminuire le gravidanze in giovane età né le malattie sessualmente trasmissibili».
Del resto, come per la procreazione medicalmente assistita, sottolinea Eugenia Scabini, professore emerito di psicologia sociale e presidente del Comitato scientifico del Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano, «per queste pillole esiste una base di assoluta ignoranza sugli effetti a lungo termine per la salute». A ciò poi si aggiunge «un’incapacità di riflettere sul senso e gli effetti di un comportamento che in questi casi le donne pagano caro: mentre infatti di fronte all’aborto volontario ci sono effetti drammatici, e un ripensamento che viene fuori spesso anche in età adulta, queste pratiche non fanno affrontare neanche una scelta positiva o negativa». Non sapendo se davvero la pillola ha provocato un aborto, «rimane tutto nel dubbio, in una zona ambigua. E l’ambiguità, dal punto di vista psicologico, è uno degli aspetti più terribili, perché non consente neanche di guardare in faccia il problema. Provoca in sostanza un evitamento, un meccanismo molto primitivo che non permette di maturare».
L’aborto, di conseguenza, diventa «assolutamente privato, silenzioso, in sostanza un diritto – ribadisce Maria Teresa Ceni, presidente del Centro di aiuto alla vita di Abbiategrasso, Magenta e Rho (Milano) –. Per di più, ormai si è abbassata notevolmente la soglia del giudizio morale rispetto all’atto che la donna va a compiere». Non potendo disporre inoltre di alcun filtro, «viene eliminato totalmente qualsiasi confronto sociale». Non è secondario poi «dal punto di vista sanitario l’enorme problema cui dovremo far fronte: non sappiamo infatti tra dieci anni quale sarà lo stato di salute a livello dell’utero: non essendo necessaria la prescrizione medica, le donne infatti possono assumere queste pillole senza alcun controllo sanitario».
L’aumento dei farmaci potenzialmente abortivi, come evidenzia Maria Grazia Colombo, vicepresidente del Forum delle associazioni familiari, fa emergere in definitiva «il fallimento nel rapporto educativo». Si tratta di un «procedimento, se possibile, ancora più negativo dell’aborto: sembra meno invadente, invece lo è molto di più. Facendo tutto in solitudine, nel nascondimento, in realtà si va a minare la persona dal di dentro. Per i ragazzi è una situazione molto a rischio, porta all’assenza di decisioni condivise, a un egoismo esasperato. E dentro questa dimensione si creano situazioni difficili da sanare. Per questo, anche se non è affatto semplice, la famiglia dovrebbe intervenire. Ma prima di tutto occorre ristabilire un patto educativo tra genitori e insegnanti».
Graziella Melina
Avvenire.it, 18 gennaio 2018