I Paesi ricchi, che avrebbero bisogno di una primavera della natalità, vanno verso un inverno della fertilità. Molti Paesi poveri sono indirizzati verso un’ulteriore crescita.
Juan Antonio Perez III stima che, a causa della pandemia, quest’anno nelle Filippine nasceranno 214 mila bambini in più di quelli prevedibili prima dei lockdown: almeno un milione e 900 mila. Perez è il direttore esecutivo della Commissione sulla Popolazione e sullo Sviluppo di Manila e considera che tra le 400 e le 600 mila filippine siano uscite dal programma di pianificazione familiare nei mesi scorsi: non hanno avuto accesso ai farmaci e agli strumenti contraccettivi che il governo distribuisce. In Italia, invece, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha previsto pochi giorni fa che il numero dei nuovi nati potrebbe scendere da 420 mila nel 2019 a 408 mila quest’anno e a 393 mila nel 2021.
Filippine e Italia illustrano una realtà generale: la Covid-19 sta radicalizzando anche la demografia. I Paesi ricchi, che avrebbero bisogno di una primavera delle nascite, vanno verso un inverno della fertilità; molti Paesi poveri, la maggior parte dei quali avrebbe beneficiato di un raffreddamento, sono in molti casi indirizzati verso una stagione se non di baby-boom almeno di ulteriore crescita rispetto agli anni passati. Con risultati qualche volta solamente negativi, qualche altra volta disastrosi. In Occidente e nelle Nazioni avanzate il periodo 2020-2021 segnerà un gradino all’ingiù che a lungo potrebbe mantenere più bassa del dovuto la tendenza demografica già negativa. Negli altri Paesi potrebbe vedere messo sottosopra l’impegno di molti governi nella pianificazione familiare e portare a ondate di aborti non ufficiali, a nascite premature, a un aumento della mortalità infantile.
All’inizio della circolazione del virus in Europa, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, tre demografi italiani — Francesca Luppi, Bruno Arpino, Alessandro Rosina — hanno utilizzato dati del Rapporto Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo per stabilire come le persone tra i 18 e i 34 anni hanno reagito alla pandemia quando si tratta di maternità e paternità. E li hanno poi confrontati con pari età di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Tra gli italiani che prima del virus avevano intenzione di procreare, il 26% era deciso ad andare avanti con il progetto, il 38% intendeva rinviarlo, il 36% aveva deciso di abbandonarlo. Tra i cinque Paesi, la quota di abbandoni degli italiani era decisamente la più alta: 14% tra i tedeschi, 17% tra i francesi, 29% tra gli spagnoli, 19% tra i britannici; i quali preferivano mantenere l’obiettivo o si limitavano a posporlo.
«Abbiamo continuato a studiare la situazione — dice Francesca Luppi — . A ottobre la quota degli italiani decisa ad abbandonare è calata di qualche punto, mentre è aumentata quella di chi rinvia». Le persone hanno preso maggiore confidenza con la pandemia, commenta la demografa, sono forse meno ansiose ma il dubbio se diventare genitori o meno resta forte. «Ora, non è tanto il timore del virus in sé a frenare la decisione di avere figli — sostiene Alessandra Kustermann, primario alla clinica Mangiagalli di Milano — . È il clima di incertezza economica e sociale a influire sui programmi di vita e in molti casi anche sui rapporti interni alla coppia».
Dati ufficiali su cosa stia accadendo nel mondo a causa della pandemia ovviamente non ci sono: la gran parte dei bambini concepiti lo scorso marzo nascerà in dicembre e solo nei prossimi mesi si potrà quantificare la tendenza. Al momento si possono fare previsioni. La Brookings Institution stima che l’anno prossimo negli Stati Uniti nasca mezzo milione meno di bambini di quanti sarebbero nati senza la pandemia. Uno studio britannico prevede un calo del 15% dei nati in America tra novembre 2020 e il prossimo febbraio. Il minor numero di nuove nascite, il maggior numero di morti e il rallentamento dell’immigrazione potrebbe portare al tasso di crescita della popolazione Usa più basso da cento anni. Il Giappone è in una crisi demografica endemica (un abitante su quattro ha più di 65 anni) e le gravidanze sono scese dell’11% tra marzo e maggio: il governo è così preoccupato da avere alzato il contributo ai nuovi nati a 600 mila yen (4.800 euro) e da avere introdotto i trattamenti della fertilità nell’assistenza sociale. L’Australia calcola un chiaro calo delle nascite, così come altri Paesi sviluppati del Pacifico: Singapore promette tremila euro a chi avrà un figlio nei prossimi due anni.
È che nei momenti d’incertezza le persone preferiscono non programmare il futuro. La crisi dell’economia, l’aumento della disoccupazione, le cattive prospettive che i giovani ritengono di avere sono alla base della crisi demografica che si annuncia. A questo si aggiunge la difficoltà ad accedere alla fertilizzazione in-vitro durante i lockdown, una procedura che, per esempio negli Stati Uniti, ogni anno porta a più di 80 mila nascite.
In teoria, lo stesso dovrebbe valere per i Paesi poveri o a medio sviluppo, soprattutto tra le popolazioni che abitano le città. In realtà, il caso delle Filippine non è unico. In India, lo scorso maggio 25 milioni di coppie non hanno potuto accedere ai contraccettivi, calcola la Foundation for Reproductive Health Services di Delhi. E durante i lockdown le cliniche Marie Stope International — i maggiori fornitori di servizi di pianificazione familiare non statali in India e Nepal — hanno dovuto chiudere. In Indonesia, dieci milioni di donne in aprile e durante i confinamenti non hanno avuto accesso alla contraccezione. Il Gutmacher Institute ha calcolato che, in 132 Paesi a reddito basso o medio, un calo del 10% dell’utilizzo dei servizi di controllo delle nascite a causa delle restrizioni Covid-19 provocherebbe più di 15 milioni di nascite non volute: il problema è che gli operatori «sulla frontiera» dicono che la quota di donne senza accesso a questi servizi in certi casi arriva all’80%.
La demografia dei Paesi ricchi è da tempo preoccupante: si va verso società con sempre più pensionati e sempre meno lavoratori che sostengono il peso delle pensioni e creano ricchezza. La demografia dei Paesi poveri è più articolata ma in molti Paesi l’alto numero delle nascite e i cattivi servizi sanitari mantengono alta la mortalità delle madri durante il parto e quella infantile. La pandemia non cambia le tendenze, le radicalizza: inverno della fertilità al Nord, stagione sempre calda al Sud.
Danilo Taino
Corriere della Sera
30 Novembre 2020