Certo che se quel premier che avrebbe lasciato la politica se avesse perso il referendum, che voleva abolire il Senato perché era inutile e dannoso e ora si candida al Senato, che ha detto di avere rilanciato l’economia quando invece i dati ufficiali indicano che siamo andati peggio degli altri paesi dell’area euro,
che ha dichiarato che sulle unioni gay non avrebbe posto la fiducia e poi le ha imposte a colpi di fiducia dopo che nel 2007 era sceso in piazza col Family day contro i Di.Co., se questo politico venisse iscritto alle balliadi, le olimpiadi delle balle, i bookmakers darebbero quote solo per il secondo posto.
Ad un Paolo Liguori che il 20 dicembre gli poneva domande sugli Italiani che si trovano a vivere con un reddito inferiore alla soglia di povertà, lo statista da Rignano sull’Arno rispondeva: “Che cosa è accaduto in questi anni? Quel numero di 10 milioni di persone, chiamiamole ‘a rischio’, è diminuito in modo molto rilevante: siamo passati da 16 a 10”.
Per capire se i numeri siano reali, o se spuntano come quelli che pescava il bambino bendato del Lotto, non resta che consultare i dati ufficiali forniti dall’ISTAT. Ne viene fuori che i numeri dati da Renzi non corrispondono alla realtà nemmeno accontentandosi di una precisione spannometrica.
Poiché il governo Renzi è rimasto in carica dal 22 febbraio 2014 al 7 dicembre 2016, il confronto va fatto tra il 2013, prima che Renzi diventasse presidente del consiglio dei ministri, e il 2016, ultimo anno di permanenza di Renzi a Palazzo Chigi.
Il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, sia assoluta che relativa, non è diminuito di 6 milioni come detto in TV da Renzi, ma è aumentato (di 322.000 e 643.000 persone, rispettivamente). Se Renzi dice che col suo Job act ha fatto un milione di occupati in più, allora dovrebbe prendersi anche il merito di questa prodigiosa fioritura di gente che è stata promossa a povero certificato. Prendersi il merito degli occupati e scaricare sulla congiuntura economica generale i poveri, sarebbe una furbata un po’ troppo grossa persino per uno come lui, che a giochi di prestigio è più bravo di Silvan, Houdini e David Copperfield messi insieme.
Anche le percentuali sono aumentate: dal 7,3% nel 2013 le persone sotto la soglia di povertà assoluta, che non hanno cioè la capacità di spesa necessaria a condurre una vita minimamente dignitosa, sono passate al 7,9%. Per la povertà relativa, indicatore della fascia di persone con consumi sotto la media rispetto alla fascia sociale di appartenenza, la percentuale del 13% nel 2013 è cresciuta al 14% nel 2016.
Renzo Puccetti
Libertà e Persona, 17 gennaio 2018