LIBERO – Gregoretti, Giulia Bongiorno e il video che incastra Giuseppe Conte: “Perché è colpevole anche lui”

By 13 Dicembre 2020Attualità

Giuseppe Conte cammina su due crinali. Uno è politico: sopravvivenza o crisi, con incluso biglietto di ritorno all’attività accademica. Dipenderà da ciò che conviene a Matteo Renzi. Il fiorentino racconta in giro che stavolta è pronto a tutto, ma finché l’alternativa a questo governo sono le elezioni, che per il suo partitino sarebbero un bagno di sangue, nessuno lo prende sul serio. L’altro crinale è giudiziario: nel processo di Catania a Matteo Salvini, imputato per avere “sequestrato” i 131 immigrati a bordo della nave Gregoretti, il presidente del Consiglio è testimone, ma corre il pericolo di ritrovarsi indagato per concorso. Il problema è sempre quel maledetto comma 2 dell’articolo 40 del Codice penale: «Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Se il ministro dell’Interno avesse commesso reato, il presidente del consiglio, che secondo la Costituzione «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile», sarebbe altrettanto colpevole.

E Conte non solo sapeva, ma concordava su tutta la linea, assicura Salvini. Il quale non cerca correi, anzi: proclamando se stesso innocente difende pure il premier, proprio perché le responsabilità dell’uno sono quelle dell’altro. La narrazione che vuole il capo del governo vittima delle trame anti-immigrati del suo vice leghista non sta in piedi dal primo giorno, e ieri ha ricevuto un’altra poderosa picconata da parte di Giulia Bongiorno, che fu ministro proprio in quell’esecutivo e oggi è avvocato difensore del capo della Lega. Tra i tanti documenti da lei depositati nel processo c’è un video risalente a un anno fa, che visto alla luce delle accuse mosse a Salvini pare non lasciare una terza strada ai magistrati: o l’allora ministro dell’Interno è innocente, come la stessa procura va ripetendo dall’inizio, al punto da chiedere l’archiviazione dell’accusa per sequestro di persona, o è colpevole; in tale caso, però, lo è alla pari di Conte e altri ministri. Le immagini sono quelle dell’evento più ufficiale che ci possa essere: la conferenza stampa di fine anno che si è svolta il 28 dicembre nella sede governativa di villa Madama, con la bandiera italiana e quella europea alle spalle del premier. Rispondendo a domanda diretta sul ruolo svolto nei giorni in cui la Gregoretti era tenuta al largo, Conte afferma: «Sicuramente c’è stato un coinvolgimento della presidenza», cioè di lui stesso, «come è sempre avvenuto, per la ricollocazione. Perché abbiamo sempre, a livello di presidenza, anche con l’ausilio del ministero degli Esteri, lavorato noi per ricollocare, e quindi consentire poi lo sbarco».

Distribuire gli immigrati negli altri Paesi e «quindi poi», ovvero solo dopo, farli sbarcare: il punto è proprio qui. Era la linea portata avanti in quei giorni da Salvini, che Conte ha riconosciuto come propria e condivisa con la Farnesina, retta all’epoca da Enzo Moavero Milanesi. La Bongiorno ha depositato tanti altri documenti, inclusi numerosi “tweet” di Conte e Toninelli, ma non serve molto di più. Fiutata l’aria che tirava a Catania, ieri il premier ha pensato bene di non presentarsi nell’aula bunker del carcere Bicocca. Anche perché era sin troppo facile prevedere la figura che avrebbe rimediato Danilo Toninelli, costretto a cercare rifugio in una sequela di «non ricordo», «non so» e «non era mia competenza». Meglio quindi per Conte prendere le distanze, anche fisiche, dall’ex ministro grillino, e scegliere un altro luogo e un altro tempo.

Così si è avvalso di una prerogativa riservata ai «grandi ufficiali dello Stato», le cui testimonianze possono essere raccolte nei loro uffici, «al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti». Eppure, per dirla con un eufemismo, l’agenda ufficiale del capo del governo, ieri, non era fittissima. C’era un unico impegno, alle ore 15,30: «Il presidente Conte interviene in videoconferenza al Climate Ambition Summit 2020». L’udienza del processo era in mattinata e lui avrebbe avuto tutto il tempo per sostenere l’interrogatorio, pranzare e ripetere poi in videocollegamento, dopo il caffè e l’ammazzacaffè, il solito discorsetto sul riscaldamento globale. Ha scelto invece di approfittare della possibilità offertagli dalla legge.

I magistrati e la Bongiorno lo sentiranno quindi a palazzo Chigi il 28 gennaio, ed è inevitabile che lui approfitti di questo mese per studiare la strategia migliore con cui spiegare, contestualizzare ciò che disse in quella occasione e ribattere agli altri documenti prodotti dalla legale di Salvini. Una possibilità negata ai comuni mortali, ma che le altissime cariche hanno a disposizione anche quando manca una oggettiva necessità. Privilegi che male si conciliano con la retorica di chi si proclamava «avvocato del popolo», diventato ormai avvocato di se stesso.

13 dicembre 2020

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