LIBERO – Coronavirus, la denuncia di Girolamo Sirchia: “Dopo Berlusconi, mai più rifinanziato il centro anti-pandemie”

By 8 Dicembre 2020Attualità

«Se non prepari il Piano, poi ti trovi in mezzo alla bufera. Una colpa gravissima». Girolamo Sirchia è stato ministro della Salute dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2005 (governo Berlusconi). È stato lui il motore dell’ultimo “piano pandemico nazionale”. «Abbiamo preparato il documento nel 2005». Sirchia usa il plurale perché un ruolo determinante lo giocò Donato Greco, allora direttore generale della Prevenzione del ministero: «Lo feci trasferire dall’Istituto superiore di sanità». Fu lui, alla testa del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie – «un organismo tecnico-politico, dove sedevano esperti del governo centrale e delle Regioni» – a preparare, ad esempio, la risposta alla Sars. E poi? «Il Centro era finanziato fino al 2012. Dopo non lo è stato più. Perché? Adesso vediamo il risultato di questa “prodezza”. Le epidemie sono attese: bisogna mettere in atto un sistema adeguato per coglierle sul nascere e contrastarne il rischio. Invece da allora siamo rimasti fermi alla “spera in dio”».

E poiché le brutte figure non viaggiano mai da sole, ecco che grazie alla trasmissione Non è l’Arena, condotta da Massimo Giletti, diventa di dominio pubblico la mail con la quale Ranieri Guerra, uno dei direttori vicari dell’Oms, intima al collega Francesco Zambon, coordinatore della sede veneziana dell’Organizzazione, a cambiare la data – nel dossier che l’ufficio aveva redatto sulla “sfida” italiana al Covid-19 – del «Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale» elaborato dal ministero della Salute. Il documento, del maggio scorso, indicava il 2006 (l’anno del “piano Sirchia”). Ma “Ranieri” – presumibilmente Guerra – in modo ruvido “invita” Zambon a inserire il 2016, data dell’ultimo aggiornamento: «Non farmi casino su questo () così non può uscire». Ma l'”aggiornamento”, in realtà, altro non è che un semplice “copia e incolla” – con aspetti anche grotteschi – dell’ultimo, vero Piano: quello del 2006, appunto. Ma “Ranieri” non vuole sentire ragioni: il testo deve essere corretto. Lui, del resto, dal 2013 al 2017 era stato il direttore generale della Prevenzione del ministero: sarebbe stato poco lusinghiero assistere all’uscita di un “report” che metteva nero su bianco il ritardo italiano nella strategia anti-virus.

Ieri sera Report ha aggiunto che quel testo, impietoso con l’Italia nel giudizio sulla gestione della prima ondata, aveva provocato l’irritazione del ministro della Salute, Roberto Speranza, definito «molto scocciato» – in una mail datata 15 maggio e mostrata ieri sera – da Hans Henri Kluge, responsabile dell’Oms per l’Europa. Era talmente «scocciato», Speranza, dalle critiche all’Italia, da imporre di fatto all’Oms di riscrivere il rapporto. «Dobbiamo fare una nuova strategia (…). Scriverò al ministro per rivedere il documento. Abbiamo bisogno che il Ministero della Salute sia soddisfatto», aggiunge Kluge. Vale la pena ricordare che Speranza, ospite di PiazzaPulita, la scorsa settimana aveva minimizzato la portata del dossier, negando che parlasse «in maniera negativa dell’Italia» e, soprattutto, smentendo qualsiasi pressione sull’Oms per il ritiro. A imbarazzare il governo ci sono anche quattro cifre: 1082. È il numero di protocollo della decisione del Parlamento Ue, e del Consiglio, del 22 novembre 2013, che impegnava gli Stati membri, e quindi anche l’Italia, ad adottare la regolamentazione sanitaria internazionale. A partire dall’aggiornamento triennale del “piano pandemico anti-influenzale” secondo le linee guida dell’Oms.

Ma l’Italia, mentre i partner Ue si adeguavano alle prescrizioni comunitarie, dal 2013 a oggi è rimasta ferma. Al ministero della Salute si sono avvicendati in tre: Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo e Roberto Speranza. Ma il piano pandemico è rimasto quello del 2006. Con risvolti comici: quando nel 2016 arriva la riconferma del documento di dieci anni prima, su carta resta l’impegno a completare l’acquisto del primo stock di armaci entro il 2006. E dire che il piano pandemico aggiornato, come ha denunciato il generale Pier Paolo Lunelli, consulente del comitato dei parenti delle vittime per Coronavirus, avrebbe consentito di salvare almeno «10mila vite». Non ha fatto numeri, ma il concetto è lo stesso, Stefano Merler, il matematico-ricercatore della fondazione “Bruno Kessler” di Trento, ascoltato dal Comitato tecnico-scientifico, per il quale a causa della mancata rivisitazione del “piano” «abbiamo pagato un prezzo altissimo». Se l’Italia avesse adeguato la propria normativa alle prescrizioni internazionali, forse Andrea Urbani, il direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute, componente del Cts, lo scorso 22 aprile non avrebbe ammesso con tanto candore che il piano, in realtà, c’era, ma era stato volutamente tenuto riservato. «Già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito. La linea è stata non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio». Peccato che l’Oms, nelle linee guida del 2009 sulla gestione della “comunicazione del rischio”, prescriva l’opposto. Ovvero di rafforzare, nell’ottica di un processo di «pianificazione efficace», la «comunicazione del rischio a livello nazionale e regionale». Altro che segreto: per una risposta alla pandemia più adeguata «sono necessari i livelli locali». Il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami ha chiesto, tramite l’accesso agli atti, di visionare il “piano segreto”, ma il governo si è opposto e la questione è finita davanti al Tar.

Urbani, l’uomo del piano secretato, siede nel Cts come Francesco Maraglino, direttore dell’ufficio 5 per la prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale del ministero della Salute, di cui a luglio si è occupato il Fatto Quotidiano. Come? Raccontando di come a gennaio il dirigente non avesse partecipato alla “conference call” dell’Health security committee, gruppo consultivo della Commissione, sulla sicurezza aeroportuale perché «non avrebbe visto l’email» della convocazione. «Nel Cts siedono le stesse persone che hanno contribuito a creare il problema e che ora pretendono di offrire soluzioni», scandisce Bignami, che sulla gestione dell’emergenza da parte italiana ha rivolto una decina di interrogazioni a Speranza. Risposte? «Nessuna».

Tommaso Montesano

08 dicembre 2020

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