In tempi di crisi le masse nella società civile tendono inevitabilmente a far convergere illusoriamente in politica le proprie speranze di salvezza in un demiurgo, un taumaturgo, un “salvatore della patria”, che risolva provvidenzialmente, con granitica certezza, la matassa inestricabile dei funesti guai che le affliggono.
Sono trascorsi più di centovent’anni dalla pubblicazione di un fondamentale saggio per la storia politica mondiale del XX secolo, Psicologia delle folle, del celebre sociologo e storico francese Gustave le Bon. L’autore rappresentava acutamente l’inconscia responsabilità criminale delle masse, che, caratterizzate da emotività, ed irrazionale forza distruttiva, rinunziano all’esercizio della propria autonomia di giudizio e di discernimento, divenendo facile preda di ideologie-feticci in grado di suggestionarle verso idee-immagini, e slogan suggestivi, che in realtà tradiscono una volontà di sopraffazione politica della dignità della persona umana. E’ cosa ben nota alla storiografia che i grandi dittatori ispiratori delle criminali ideologie totalitarie del XX secolo, Stalin in URSS, Hitler in Germania, applicarono con meticolosa attenzione le riflessioni dell’opera dello studioso francese alle proprie prassi politiche. Nel quadro odierno delle relazioni internazionali in ambito geopolitico e giuridico, è molto preoccupante, agli occhi degli analisti, l’approccio disinvolto, irresponsabile di un eterogeneo milieu intellettuale che guarda al pensiero politico comunista ed alla sua applicazione nella prassi, come ad un fenomeno meritevole di apprezzamento per il futuro politico del terzo millennio. I fatti sono noti: la Repubblica Popolare cinese, retta dal primato del regime totalitario del Partito Comunista cinese è oggi il problema nodale per l’immediato futuro degli assetti politici di pace e sicurezza internazionale. Lo è per gli USA, per la UE, per la Russia, per l’India, per i principali modelli politici sociali ed economici liberali del pianeta. Impossessatosi delle tecniche economico finanziarie dell’economia di mercato capitalista, il Partito Comunista cinese ha da tempo sfidato concettualmente il sistema dei trattati giuridici che sono alla base della comunità internazionale e che garantiscono i diritti e le libertà civili e politici della persona umana secondo la piattaforma culturale di impronta occidentale, in nome del primato virtuoso della dittatura del partito unico di ispirazione marxista. L’Italia in particolare, brilla in questa sciagurata opera di “revisionismo” storico politico a favore di una delle ideologie più criminali e anticristiane che la Storia abbia mai subito, come dimostra un’intervista di Antonio Polito all’ex leader comunista, poi del PD, Massimo D’Alema, apparsa di recente sulle pagine del Corriere della Sera.
Polito è notoriamente un giornalista garbato e moderato, pur nella palude del mainstream postmarxista e globalista che guida quello che un tempo era il giornale più autorevole d’Italia. Di D’Alema, in verità con ironico sfottò, la stampa italiana coniò un celebre motto, ovvero che è il leader che “non ha mai perso occasione di perdere”, alla luce di tutti i fallimenti dei suoi autoreferenziali progetti di leadership come Primo Ministro, Presidente della Repubblica, leader della sinistra europea.
Purtuttavia l’ex leader comunista è ad oggi membro di un noto think tank politico-economici proglobal, consulente del governo cinese a livello internazionale nello sviluppo del faraonico programma di dominio economico politico mondiale noto come il trattato Silk Belt Road, la “nuova via della seta cinese”, che mira a creare una rete di Paesi strettamente dipendenti dal Dragone di Pechino nel quadro della cooperazione economica, militare, politica.
Ebbene, alla domanda del giornalista Polito sulla crisi strutturale dell’Europa e della sinistra italiana, D’Alema racconta che un nuovo partito di sinistra «in più dovrebbe avere una ideologia», «Una visione del mondo, un insieme di valori e un’idea del futuro». E che tale impronta ideologica si può trovare nell’esempio del defunto Partito comunista italiano (sic!). Dice infatti D’Alema che: «La serietà, il metodo, la responsabilità dei dirigenti, la qualità della loro formazione. Fu questo a trasformare un partito (il PCI, ndr) che era nato per fare la rivoluzione in un pilastro del sistema democratico». Questa è la lungimiranza strategica, il grado di discutibile maturità politica, il livello di pochezza culturale che traspare da una delle presunte “teste pensanti” del pensiero postmarxista in Italia nel nuovo millennio.
Polito, con sorniona abilità polemica fa presente nel corso dell’intervista che D’Alema tiene ancora nel suo ufficio, seppur pudicamente poggiato per terra, un ritratto del criminale dittatore sovietico, Iosif Stalin. Ora, al netto dell’aneddoto, è altrettanto comprovato che a livello di analisi accademica, diplomatica e istituzionale, presso i centri di ricerca politologica e giuridica, sia riconosciuto che il sistema della democrazia occidentale liberale, liberista, laicista, perda sempre più fascino. In questo frangente più importante di tutte è la questione della identità: culturale, politica, religiosa, storica. La crisi politica internazionale, un vero e proprio conflitto “freddo” che purtroppo volge sempre più, giorno dopo giorno – come ben si legge nelle veline riservate delle diplomazie occidentali, da Washington a Bruxelles, in India come in Giappone, in Australia – verso un confronto in chiave militare con regimi aggressivi e criminali come quello di Pechino è infatti in primo luogo una crisi occidentale: come osserva il celebre politologo USA Samuel Huntington mentre la Cina ha continuato a crescere in modo impetuoso, proprio perché unificata dal granitico suggestivo diktat politico comunista e dal collante religioso del confucianesimo, l’Europa ha abbandonato la coscienza della propria identità.
In verità nessuno ha voglia di abbandonare la propria identità in modo semplice, poiché l’elemento identitario è il collante che da senso al vivere comune di una società: di fronte al nihilista dramma della rinunzia in ambito giuridico istituzionale al patrimonio delle radici culturali, politiche, sociali cristiane, il risultato è l’approdo disperato di masse e di intellettuali alla D’Alema alle sirene distopiche di modelli liberticidi come il comunismo cinese in salsa capitalista.
Altre prove di questo preoccupante processo di de-formazione e dis-informazione delle masse? La redazione di Rai News, l’organo di informazione pubblica dello Stato italiano proprio martedì 22 scorso se ne è uscito con questo degradante inno al criminale regime comunista cinese: «La Cina, già con la Nuova Via della Seta, con questa “globalizzazione con caratteristiche cinesi”, propone una visione inclusiva, in un certo senso di integrazione per il futuro del pianeta, pur tutelando beninteso, le sue ambizioni di grande potenza in grado di competere con gli USA. Laddove l’Occidente continua a rivolgere lo sguardo verso se stesso e a chiudersi per certi versi nella cultura dell’individualismo, di contro l’Oriente, l’Estremo Oriente, privilegia la collettività, quel senso del bene comune di origine confuciana per cui l’individuo mette da parte se stesso per migliorare la società».
Se rileggiamo le altrettanto irresponsabili, grossolane dichiarazioni pubbliche di mons. Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, secondo cui «in questo momento quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi», ci si rende conto senza difficoltà come la drammatica crisi etico-culturale strutturale del pensiero politico europeo e della Santa Sede possa far scivolare le masse verso il piano inclinato delle sirene del comunismo del terzo millennio, nonostante la certificazione storica del fallimento dei sistemi sociali d’impronta comunista.
23 Dicembre 2020
Luca Della Torre