La crisi politica in cui ci dibattiamo ha due facce. Una grottesca, ed è quella su cui le cronache si dilungano. Raccontare il cozzare di teste più o meno vuote dei leader della maggioranza giallorossa, prendendolo sul serio, sarebbe assecondare un depistaggio intollerabile. Guardiamo piuttosto l’altra faccia della crisi politica, quella tragica. È la totale incapacità dell’assetto di potere che ci siede sulla testa di affrontare efficacemente la realtà. Appuntiamoci su questo lato della questione, perché essa attiene – parlando librescamente – ai principi della nostra democrazia travolti dall’emergenza, ma in concreto significa morti su morti. L’emergenza del Covid oggi coincide – se vogliamo guardarla dal punto di vista del portare a casa la pelle – con l’indecente crollo della qualità intellettuale e operativa dei «decisori». È accaduto che, con inappuntabile aderenza alla Costituzione e alle sue regole formali, le leve del potere finissero in mano a degli incompetenti, per di più incapaci di qualsiasi forma di umiltà. Non si sposteranno da soli da lì. Insomma: occorre un cambiamento. Ma da dove può arrivare? Siamo infatti a questo paradosso. Mai nessuno in Italia ha avuto tanto potere come oggi questo esecutivo, anche se non esegue niente, salvo tutelare la continuità della pandemia che gli garantisce la continuità del potere. Mattarella parla di tempo dei «costruttori». Innestarlo oggi appare pura illusione. Il motore della Repubblica è ingrippato, è impermeabile a qualsiasi inserzione, cambio di direzione, nuova capacità operativa. E allora?
CAROSELLO DI CHIACCHIERE
Per iniziare, occorre individuare di chi sia la responsabilità di questo rotolare del Paese e della sua popolazione verso uno schianto. Si tratta di rispondere a un paio di domande facili. Chi ha comandato e comanda? Chi ha il potere di far seguire alle parole i fatti? Ovvio: il governo. Ha un sinonimo: “esecutivo”. Cos’ ha “eseguito” davvero contro il Covid? In fin dei conti: niente. C’è una evidenza tremenda che sta lì a gridare questa verità: il ritardo nelle vaccinazioni, che ci vede in triste compagnia della Francia in testa alla graduatoria dei Paesi sciagurati. Proprio ora, siamo davanti alla flagranza di un’omissione che è un delitto contro la sicurezza nazionale, misurabile un giorno in cadaveri regalati dal governo ai cimiteri. Dal mese di febbraio tutti, ma proprio tutti, i ministri al governo si sono aggrappati alla speranza del vaccino. Fantasticando i tempi necessari per approntarlo e assicurando che il contravveleno sarebbe caduto a pioggia sui connazionali, bagnando buoni e cattivi con un lavacro di immunità. E invece di fare, eseguire, si sono esibiti in un carosello di chiacchiere. Perfino l’Ue aveva imposto ai governi membri di approntare un piano di vaccinazione entro ottobre. Ottobre! Il super commissario Domenico Arcuri, onnipotente visir del governo, ha confessato in questi giorni di non sapere ancora quali saranno i luoghi dove il siero sarà inoculato. Non è candore ma sfacciataggine.
La pandemia è affare di governo centrale. Invece il commissario ha scaricato le colpe sulle Regioni mentendo. Basta un dato: i medici, gli infermieri appositamente assunti con bando natalizio per disposizione di Arcuri in numero di quindicimila non possono ancora essere in servizio! Bisognava essere pronti da molto prima. Anche solo questa trascuratezza borbonica sarebbe ragione di assalto popolare al Palazzo di questo inverno italiano.
NUOVE STRADE
Spendere denari nella logistica per siringhe e vaccinazioni sarebbe dovuto essere l’unico investimento urgente e sensato. Vaccinare di più e presto è la chiave ovvia per far ripartire il prima possibile l’economia evitando il protrarsi di chiusure e soluzioni arlecchinesche, che costano miliardi al giorno e malati ogni ora. Governo e maggioranza hanno seminato bonus su bonus, banchi a rotelle, monopattini e rubinetti risparmiosi, invece di mostrare uno slancio assoluto, che avrebbe coinvolto tutti, nello sforzo capillare di predisporre postazioni sicure per l’inoculazione, addestrando personale sin da marzo dello scorso anno per praticare il rito della siringa. E qualificando per il compito con apposite legge e manleva giuridica studenti di medicina e operatori sanitari istruiti all’uopo. Niente. Nada de nada. L’unica preoccupazione è stata quella della comunicazione.
Procurarsi il consenso dei media e così indurre popolarità con il trucco di conferenze stampa scenografiche, l’apparenza del cartongesso rispetto alla sostanza. La responsabilità è del governo. Punto. C’è un’aggravante. In passato i premier da noi avevano le mani legate. Dal 31 gennaio 2019 Conte ha di fatto assunto i pieni poteri, esautorando il Parlamento e qualsivoglia livello intermedio, attraverso la pratica dei Dpcm, cioè Decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Ha dato vigore di legge immediata con conseguente applicazione subitanea a fogli firmati da solo o con il ministro della Salute Roberto Speranza. Chiusure, aperture, multe, arresti, diritto di lavoro, di culto. Con una firmetta. Senza possibilità di intervento di nessuno, neppure del Capo dello Stato, il quale peraltro magari avrebbe potuto eccepire ma non l’ha fatto in nome dell'”andrà tutto bene”, una fatalistica consegna di potere a un uomo solo, senza qualità e molti difetti, moltiplicati dai suoi sodali, senza che alcun fremito afferrasse chi lo manteneva lì, cioè i giallorossi. Il governo ha fallito. Chi ha partorito e garantito il governo del disastro non può essere il rimedio. In una situazione di emergenza il Capo dello Stato ha le prerogative per trovare nuove strade.
05 gennaio 2021
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